Dal 2 al 10 gennaio la presidente della Commissione europea era ospedalizzata, ma l’informazione è stata taciuta finché non è tornata a casa. Ennesimo segnale di una gestione controversa del potere
Trasferendo il detto «debole coi forti e forte coi deboli», nelle ultime settimane la presidente di Commissione europea Ursula von der Leyen si sta mostrando «accondiscendente con Washington e accentratrice con Bruxelles».
Il caso della ospedalizzazione tenuta segreta – ma filtrata a una agenzia di stampa tedesca una volta che von der Leyen si è ripresa – sta gettando scompiglio nella bolla brussellese, ma è soltanto l’ultimo episodio eclatante di una tendenza insistente all’opacità e all’accentramento del potere. Mentre von der Leyen non rinuncia a tenere tutto nelle sue mani persino da un letto d’ospedale (nel quale però non ha detto di essere finché non ne è uscita), nel frattempo la futura amministrazione Usa prende a colpi l’Ue più o meno indisturbatamente.
Lo “PneumoniaGate”
Il modo in cui la presidente di Commissione europea ha gestito il potere durante la malattia era controverso già prima che emergesse lo scandalo dell’ospedale.
Il 3 gennaio è stata data l’informazione che von der Leyen soffriva di una polmonite grave e che avrebbe cancellato i suoi impegni per i giorni seguenti, il che implicava il rifiuto di fatto di delegarli ad altri (e presumibilmente alla vice socialista Teresa Ribera); la presidente ha comunque continuato a lanciare qualche sporadico tweet, non ha rinunciato alla telefonata con Meloni prima che la premier volasse da Trump e per giorni ha lasciato che la futura amministrazione Usa sbeffeggiasse l’Europa (prima gli annunci di Trump sulla Groenlandia, poi Musk che sponsorizzava in diretta l’estrema destra tedesca) senza proferire parola.
Solo durante la diretta tra Musk e Weidel, è intervenuta con un post social che più che bastonare accarezzava Washington: «Prospettiamo un impegno positivo con la futura amministrazione Usa» ed «Europa e Usa sono più forti insieme». Negli stessi frangenti Musk diceva a mezzo mondo che «solo AfD salverà la Germania».
Mentre il calendario scorreva, ci si è chiesti chi avrebbe guidato il collegio dei commissari, previsto per ieri; a quel punto i giornalisti hanno appreso che von der Leyen avrebbe delegato Ribera, ma pure che il piatto più succoso in agenda (la competitività) sarebbe stato rinviato ad altra data.
Il 10 gennaio von der Leyen ha pubblicato su instagram una foto domestica davanti al pc, commentando: «Home sweet home… office». Solo in quella data – quando ormai la presidente era a casa – l’agenzia di stampa tedesca Dpa ha avuto la notizia fino a quel momento omessa: per la polmonite, von der Leyen era stata ricoverata in ospedale. Dal 2 al 10, è emerso poi.
La gestione del potere
Dell’omissione è stato chiesto conto alla portavoce Paula Pinho, che si è trincerata dietro un «abbiamo detto fosse grave» e ha sostenuto al contempo che von der Leyen sia «rimasta in contatto col team».
Le risposte hanno scatenato l’indignazione dei cronisti – «Vuol decidere per noi quali informazioni siano rilevanti?» (Politico) – così come ha indignato l’insistenza di Pinho perché i giornalisti cambiassero argomento: «Inaccettabile che un portavoce limiti le domande sulla mancanza di informazioni sulla salute di von der Leyen. Ricorda Pechino» (Laurence Norman, Wall Street Journal).
L’opacità caratterizza von der Leyen sin dal primo mandato e non riguarda solo le sue vicende ma pure la gestione dei contratti pubblici (ne sono nate inchieste e processi). Pure la tendenza accentratrice era già evidente, ma nel secondo mandato è elevata a potenza, come mostra il modo in cui la Commissione è stata strutturata. E il fatto che il 2025 inizi già con uno scandalo.
© Riproduzione riservata