- A Bruxelles nella notte di giovedì l’Europarlamento e il Consiglio hanno raggiunto un accordo negoziale sul fantomatico “Asap”. L’atto «per il supporto alla produzione di munizioni» ha potuto beneficiare di un iter emergenziale, ma la sua gittata strategica va ben oltre l’immediato.
- Presentato all’opinione pubblica come uno strumento per supportare militarmente l’Ucraina, il nuovo regolamento conferma un altro tipo supporto incondizionato da parte dell’Ue: quello ai colossi dell’industria militare.
- «Gli europei finanzieranno ancor di più aziende che fanno già superprofitti», dice a Domani l’eurodeputato Marc Botenga. Le indiscrezioni sul negoziato – dall’utilizzo dei fondi di Recovery alle regole per i lavoratori del settore – e tutte le trappole nascoste dentro Asap.
A Bruxelles nella notte di giovedì l’Europarlamento e il Consiglio hanno raggiunto un accordo negoziale sul fantomatico “Asap”.
Questo nuovo regolamento europeo, che aspetta ormai solo l’imminente via libera di eurodeputati e governi per entrare in vigore, è stato presentato all’opinione pubblica come uno strumento per supportare militarmente l’Ucraina. Ma la verità è che il nuovo atto europeo conferma soprattutto un altro tipo supporto incondizionato da parte dell’Ue: il supporto senza riserve ai colossi dell’industria militare.
Il fatto è che l’Act in Support of Ammunition Production – l’atto «per il supporto alla produzione di munizioni» il cui acronimo evoca non a caso l’as soon as possible, «il più in fretta possibile» – ha potuto beneficiare di un iter emergenziale ma la sua gittata strategica va ben oltre l’immediato.
I giganti dell’impresa
L’eurodeputato belga Marc Botenga, che ha seguito i negoziati interistituzionali su Asap, non ha dubbi sul fatto che dietro la veste emergenziale si celi una visione di lungo raggio. «Da perfetto ex ceo, il commissario Breton ha garantito per l’ennesima volta il trasferimento di fondi pubblici agli azionisti del settore privato», dice Botenga a Domani.
Il grande regista di Asap è appunto Thierry Breton, e prima di essere proiettato da Emmanuel Macron alla Commissione europea era alla guida da un decennio del gruppo Atos, che in Francia è stato definito come «l’Airbus del digitale», e cioè una potente multinazionale. Ora ha la delega al Mercato interno in Ue, e tra i suoi obiettivi chiave c’è quello di sostenere «i campioni industriali», per usare il lessico macroniano: si parla di campioni europei, ma si pensa ai colossi francesi.
E i colossi sono protagonisti quando si parla di finanziamenti europei al settore della Difesa. Nata con l’obiettivo di sradicare conflitti, e cresciuta dovendo rispettare le competenze nazionali in ambito di difesa, l’Unione europea ha sperimentato i finanziamenti all’industria militare anzitutto in chiave di supporto alla ricerca e allo sviluppo. In questa chiave – e sotto una forte pressione lobbistica dei grandi dell’industria militare – è stato concepito nel 2016 il Fondo europeo di difesa (Edf). Da allora è cresciuto, ma ad avvantaggiarsene sono stati pochi paesi e soprattutto i pochi grandi, come Leonardo, Indra, Safran, Thales e Airbus.
Con la guerra della Russia all’Ucraina, Bruxelles ha presentato Asap come una leva «per rafforzare la capacità di reazione e le potenzialità dell’industria della difesa Ue nel garantire la fornitura tempestiva di munizioni e missili in Europa». Bisogna prestare attenzione soprattutto a un punto, che è quello che orienta di fatto il dispositivo Asap: l’Ue intende «supportare finanziariamente il rafforzamento delle capacità produttive dell’industria» militare.
L’aumento delle capacità produttive non è qualcosa di volatile, anche se formalmente Asap si esaurisce nel 2025.
Le trappole e il negoziato
«La cosa impressionante – dice Botenga che siede nel gruppo della Sinistra europea – è che i cittadini finanzieranno l’aumento di capacità produttiva dell’industria militare, settore al quale già finanziano ricerca e sviluppo. A ciò si aggiunge che sono i governi a comprare le armi. Un po’ come è successo con Big Pharma, dopo aver finanziato ricerca e sviluppo, paghiamo la produzione, e poi l’acquisto. E tutti questi soldi pubblici vanno ad aziende che non sono certo in difficoltà, anzi. Fanno già superprofitti».
Quali sono le garanzie che almeno i fondi europei volti ad aumentare la produzione vadano effettivamente a beneficio degli ucraini? Al momento in cui scriviamo, non è ancora stato reso pubblico il testo dell’accordo negoziato giovedì notte, ma da quel che Domani ha potuto apprendere da fonti che erano presenti al trilogo, pare che l’Europarlamento abbia incassato almeno un riferimento. All’articolo 4, dove si esplicitano gli obiettivi dello strumento Asap, si fa riferimento alle capacità produttive tempestive «with a view to, in particular» ovvero «con un occhio di riguardo al rifornimento degli stock di munizioni e missili degli stati membri e dell’Ucraina».
Non significa che altri scenari siano esclusi. L’associazione europea contro il commercio d’armi (Enaat) ha messo in guardia gli eurodeputati con tanto di lettera, a inizio luglio, perché Asap non dava garanzie che le armi prodotte grazie ai fondi non finissero esportate altrove, e più in generale per la mancanza di controllo e di trasparenza sui progetti che l’Ue finanzierà all’industria.
Più che il sogno della difesa comune, a prender forma è il sogno delle multinazionali. L’unica consolazione che resta dopo la nottata insonne del negoziato, il trilogo di giovedì notte, è aver schivato le deroghe ai diritti dei lavoratori inizialmente previste nelle bozze. Inoltre, dalle prime indiscrezioni raccolte da Domani risulta che l’uso dei fondi di coesione per Asap è stato stralciato nella bozza di accordo; ma non l’utilizzo dei fondi di Recovery.
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