- Il no di Mosca sulla Crimea era nelle cose: non si può iniziare dalle rivendicazioni territoriali. L’irrigidirsi fa parte della strategia negoziale e non tutto è perduto.
- L’Italia deve proseguire il suo lavoro di pace confidenzialmente e non sui media. Ciò che avviene in pubblico è tattica o un modo di parlare alla propria parte. Mosca non può mettere in discussione la Crimea.
- Sarebbe saggio iniziare da cessate il fuoco limitati su base umanitaria. Tali cessate il fuoco limitati si connettono con il diritto umanitario che entrambe le parte riconoscono e che preconizza la salvaguardia delle condizioni di vivibilità delle aree in conflitto.
Non si deve disperare per il primo no di Mosca al piano di pace italiano: l’irrigidirsi fa parte della strategia negoziale e non tutto è perduto. Anzi: c’era da spettarsi una reazione pubblica di questo tipo alla proposta, anch’essa resa pubblica perché uscita sui media.
Diverso è ciò che avviene tra cancellerie al riparo dagli sguardi dell’opinione. Infatti una trattativa inizia quasi sempre in maniera riservata e ciò che avviene in pubblico è tattica o un modo di parlare alla propria parte. Mosca non può mettere in discussione la Crimea -che ha annesso- davanti alla propria opinione con il rischio di smentirsi. Meno che mai nel momento in cui aumenta la pressione politica annunciando un referendum in Ossezia (regione della Georgia occupata dal 2008) per un’ulteriore annessione.
I limiti
Ma tutto questo non significa che il Cremlino non sia disposto a negoziare, come del resto Kiev. Anche quest’ultima sta mettendo dei paletti come quello (ovvio) dell’integrità territoriale. Qui il problema è doppio: da una parte c’è il tema pragmatico di cosa si può e cosa non si può negoziare in termini di rivendicazioni territoriali. Dall’altra esiste la grande questione del principio di intangibilità delle frontiere: ammettere che chiunque ne abbia la forza possa cambiarle è molto pericoloso. Questo lo sa anche Mosca che infatti criticò in passato altre modifiche.
Un cambiamento di frontiera può essere concesso dalla comunità internazionale soltanto con il consenso dei popoli coinvolti e il riconoscimento dei propri pari, cioè degli altri stati. Dopo queste prime opposizioni cosa deve fare l’Italia? Proseguire riservatamente i colloqui sia con i russi che con gli ucraini per raffinare la proposta sulla base delle loro indicazioni.
Non si tratta di accettarle in blocco ma prenderle in esame. Poi occorre iniziare da ciò che è possibile e il punto primo dell’idea italiana (le tregue parziali e/o localizzate) resta una buona base di partenza. Tali cessate il fuoco limitati si connettono con il diritto umanitario che entrambe le parte riconoscono e che preconizza la salvaguardia delle condizioni di vivibilità delle aree in conflitto.
Possono essere monitorati anche col contributo di osservatori imparziali (come il comitato internazionale della croce rossa o simili). Inoltre tutti già riconoscono che il meccanismo delle garanzie contenuto nella proposta italiana (paesi garanti ecc.) è accettabile come quadro negoziale. Ciò che serve ora è un punto di avvio. Sarà un percorso lungo ma si può immaginare che tale inizio si svolga a combattimenti in corso: un cessate il fuoco su tutti i fronti è per ora improbabile. L’Italia può chiedere che si inizi dal cessare i bombardamenti sugli obiettivi civili, ad esempio, o dalla questione dello sblocco anche parziale delle esportazioni di grano.
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