«Non ci rappresenta», è corso a dire il parterre della politica europea: l’alto rappresentante Ue, la Commissione europea, l’ambasciatore tedesco in Georgia, e così via. Eppure c’è qualcosa di tremendamente rappresentativo, nella nuova provocazione dell’enfant terrible Viktor Orbán, che a dispetto del ruolo di presidente di turno dell’Ue si trova a Tbilisi a recitare la parte di entusiasta di Sogno georgiano, mentre a Bruxelles la vittoria controversa del partito filorusso appare semmai come un incubo geopolitico.

Spostando il limite dello scandalo sempre più in là, dall’inizio della presidenza di turno – prima il viaggio al Cremlino, poi da Xi, da Trump, e adesso dal premier georgiano Irakli Kobakhidze– l’autocrate ungherese, alter ego di Putin in Ue, finisce per rappresentare anche l’inettitudine degli altri leader europei che potrebbero mettergli un limite ma non lo fanno.

Il Ppe potrà anche dire a Orbán che il suo tempo è finito, come ha fatto Manfred Weber in Europarlamento; ma lui continua indisturbato a stringer mani a Olaf Scholz e vantare amicizie con Giorgia Meloni. E al di là dei boicottaggi simbolici dei vertici budapestini (il prossimo summit dei leader è previsto lì l’8 novembre) i governi lasciano inascoltata dal 2018 la richiesta degli eurodeputati perché attivino la leva dell’articolo 7, che depotenzierebbe il premier.

Perciò la comparsata georgiana di Orbán, per quanto a suo modo farsesca, finisce per mettere in scena un’Ue debole e scomposta. Quando in Ue 13 ministri degli Affari europei (tra cui Berlino e Parigi) invocano un’indagine sul voto e dichiarano «prematura» la visita di Orbán, finisce per notarsi la lista degli assenti: fino a questo pomeriggio, pure l’Italia di Meloni.

L’agente provocatore

«Visita ufficiale post voto: la Georgia è uno stato conservatore, cristiano e pro-Europa. Invece di inutili prediche, hanno bisogno del nostro sostegno nel loro percorso europeo», ha detto il premier al suo arrivo a Tbilisi. Pochi minuti dopo gli si sono rovesciati addosso i fischi dell’opposizione. E domenica pomeriggio, dopo che ha postato le sue entusiastiche congratulazioni, è comparsa su X l’allerta degli utenti: «Questo post è stato pubblicato prima che uscissero i risultati».

Schierandosi con Sogno georgiano, l’autocrate fa qualcosa di simile a quanto ha già fatto con il separatista serbo-bosniaco Milorad Dodik (altro amico di Putin): fomenta instabilità in regioni-polveriera per l’Ue (dai Balcani alla Georgia). Per la due giorni a Tbilisi, Orbán ha portato sia il ministro degli Esteri Péter Szijjártó (habitué del Cremlino) che quello delle Finanze: è attraverso i soldi che girano supporto e riconoscenze (come mostrano i finanziamenti ungheresi a Le Pen e Vox).

«Il modo in cui l’Ue risponderà ai brogli georgiani avrà implicazioni per la democrazia in Ungheria, dove si vota nel 2026 e Orbán è superato nei sondaggi dall’opposizione», avverte il giornalista d’inchiesta Szabolcs Panyi. Alle elezioni 2022 l’Osce ha svolto una inedita missione ungherese per «mancanza di condizioni paritarie» tra premier e opposizione; Orbán ha reagito allestendo una contro-missione fake, preparandosi a contestazioni in stile trumpiano.

All’epoca la vittoria si è rivelata così ampia da lasciare l’arma nel cassetto; ma oggi il nuovo anti-Orbán Péter Magyar lo supera nei sondaggi: come ha detto a Domani in un’intervista, «la gente è stufa di corruzione e propaganda. Siamo un’onda che cresce». Dopo la “legge sulla sovranità”, l’autocrate lancia l’ennesima “consultazione” anti Bruxelles: più la situazione si fa aspra per lui, più la tentazione è radicalizzarsi. E cosa fa davvero l’Ue per mettergli un limite?

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