L’Europa ha molti dubbi sui vaccini russi e su quelli cinesi. Eppure l’Ungheria apre le porte a entrambi. Già da anni ormai Orbán gioca di sponda con Mosca e Pechino
- Budapest, con la motivazione che «è già pronto», non solo ha già ordinato Sputnik, ma gli ungheresi si possono pure già registrare online per prenotare la vaccinazione. Ha potuto farlo sfruttando un varco normativo nelle regole europee.
- Il ministro degli Esteri ungherese ha detto che si è parlato pure di produrre le dosi in Ungheria. Questo venerdì lo stesso ministro si è fatto dare i documenti da Pechino per valutare se approvare pure l’uso di quello cinese.
- Il riallineamento di Orbán nei confronti di Mosca comincia prima ancora della sua rielezione del 2010. Budapest flirta pure con Pechino.
L’Europa ha molti dubbi sui vaccini russi e su quelli cinesi. Eppure c’è un paese, proprio in Europa, che ha già acquistato dosi dalla Russia e che apre le porte pure alla Cina. Quel paese è l’Ungheria di Viktor Orbán. Può farlo? Sì, anche se l’operazione è rischiosa, e quei rischi ricadranno tutti sullo stato ungherese. Dunque perché Budapest corre questo azzardo e fa la pecora nera dell’Unione? La risposta è che già da anni ormai Orbán, pur legato a doppio filo sia politicamente che economicamente con Bruxelles e con Berlino, gioca di sponda anche con Mosca e Pechino.
Cominciamo da Sputnik V, il vaccino russo. Nonostante sia già disponibile, non ha ancora ricevuto il semaforo verde dell’agenzia europea del farmaco (European medicines agency, Ema) e non è stato proprio preso in considerazione dalla Commissione europea, che a nome degli stati membri ha contrattato dosi con Pfizer e Moderna. Budapest invece, con la motivazione che «è già pronto», non solo ha già ordinato Sputnik, ma gli ungheresi si possono pure già registrare online per prenotare la vaccinazione. Ha potuto farlo sfruttando un varco normativo nelle regole europee: è vero, sì, che i vaccini che ricorrono a biotecnologie necessitano dell’approvazione di Ema, ma esiste una clausola di emergenza che consente a uno stato membro di mettere già prima le dosi sul mercato. Quindi sì, Orbán nel suo paese può farlo, ma come gli ha fatto notare Ursula von der Leyen, se lo fa la responsabilità legale di qualsiasi inconvenienza non ricade sull’azienda farmaceutica bensì sullo stato. Vale la pena sobbarcarsi questa responsabilità? Già a fine novembre le prime dosi di Sputnik hanno varcato i confini ungheresi, e assieme alle dosi è arrivata anche una bozza di partnership economica: il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha detto che si è parlato pure di produrre le dosi in Ungheria. Questo venerdì lo stesso ministro si è fatto dare i documenti da Pechino per valutare se approvare pure l’uso di quello cinese. Dunque la collaborazione, e il rischio, si ampliano.
Il sodalizio con Putin
Il riallineamento di Orbán nei confronti di Mosca comincia prima ancora della sua rielezione del 2010. Un primo incontro con Putin nel 2009 e un secondo nell’aprile 2010 gettano le basi di una nuova “alleanza pragmatica” accompagnata pure da una certa ammirazione per la capacità del Cremlino di concentrare a sé tutti i gangli delll’economia del paese. Orbán sceglie di sfruttare un ruolo di mediatore con Mosca, convinto che ciò aumenti il suo potere negoziale anche a Bruxelles e Berlino. Ci sono poi gli interessi economici. L’episodio più clamoroso riguarda l’accordo stretto nel 2013 dal premier ungherese con il colosso energetico russo Rosatom per un nuovo reattore nucleare in Ungheria. Un progetto, quello di “Paks II” , del valore di dodici miliardi di euro, sul quale la Commissione europea ha poi espresso molti dubbi.
«All’epoca Orbán non si fece scrupoli di scavallare le regole europee sulla competitività», dice la europarlamentare ungherese Katalin Cseh, che a Budapest ha cofondato il movimento di opposizione Momentum e in Ue è tra le file dei liberali. «Quel che sta facendo il premier coi vaccini è solo uno dei segnali della sua predilezione per Mosca. Budapest ospita istituzioni finanziare strettamente connesse al Cremlino, come la sede della Banca internazionale degli investimenti russa. Inoltre è l’unico paese che nei suoi media di stato dà risonanza alla propaganda russa». Cseh vorrebbe che il suo paese rimanesse ancorato all’occidente. Ma oltre a Mosca, Budapest flirta pure con Pechino. E anche in tal caso, non solo per i vaccini. C’è l’accordo stipulato con la Cina per la nuova linea ferroviaria Belgrado-Budapest; il “corridoio tra Pechino e l’Europa” è un giro d’affari da due miliardi, in cui l’85 per cento dei prestiti è cinese, mentre sul fronte ungherese gestisce l’affare Lőrinc Mészáros, amico stretto del premier. E poi, per fare un esempio recente, c’è l’università Corvinus di Budapest che stringe partnership con la Fudan University di Shangai.
Martedì sono iniziate le prenotazioni per vaccinarsi, il primo giorno - a detta del governo - la richiesta è arrivata da 100mila ungheresi. Le dosi acquistate dall’Ungheria sono 17 milioni, di produttori vari. Ma gli ungheresi sono i più scettici d’Europa a farsi vaccinare contro il Covid-19: una rilevazione Ipsos dice che soltanto uno su due lo farebbe. Chissà come mai.
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