- La nuova coalizione di governo chiede all’Unione europea regole più stringenti per l’autorizzazione all’esportazione di armamenti verso paesi coinvolti in conflitti o che non rispettano i diritti umani.
- L’adozione del progetto tedesco sposterebbe il centro del potere decisionale sull’export militare dai governi nazionali a Bruxelles.
- La proposta però è già stata boccata da Parigi, che a gennaio assumerà la presidenza del Consiglio europeo, ancor prima di approdare in sede europea.
Il nuovo governo tedesco ha intenzione di ridiscutere le regole sull’export di armamenti in sede europea, nonostante le rimostranze già espresse dalla Francia. L’esecutivo guidato da Olaf Scholz vuole proporre dei limiti più stringenti alle esportazioni militari a livello comunitario, a partire da quanto già previsto dalla Posizione comune europea approvata nel 2008.
Il documento lascia agli stati la decisione finale sull’approvazione di licenze d’esportazione, ma prevede dei limiti nei rapporti commerciali con paesi in cui non si rispettano i diritti umani o coinvolti in conflitti. Ad oggi però i suoi criteri continuano a essere scarsamente applicati dai suoi firmatari.
Il mancato rispetto della posizione comune ha generato un dilemma morale di non poco conto: l’Unione europea da una parte si pone quale difensore dei diritti umani e della pace, ma dall’altra i suoi stati membri continuano a fare affari con paesi guidati da dittatori o da governi ben poco democratici. La proposta della Germania permetterebbe quindi di sanare questo divario tra intenzioni e azioni concrete dell’Ue, ma Berlino rischia di essere lasciata sola.
La proposta tedesca
Il programma della coalizione formata da Partito socialdemocratico, Liberal-democratici e Verdi dedica uno specifico paragrafo all’export di armi e alle sue possibili modifiche. Il testo parla di regole più stringenti da concordare con i partner europei, oltre che dell’approvazione di una legislazione nazionale sul controllo di esportazione delle armi, che prenda il via dalla posizione comune Ue e che contempli anche maggiori controlli post vendita.
Inoltre, la proposta prevede il blocco delle esportazioni verso quei paesi direttamente coinvolti nella guerra in Yemen o che più in generale non rispettano i diritti umani. La coalizione di governo propone anche di rendere più trasparenti e comprensibili i dati relativi alla vendita di armi, una misura già prevista dalla posizione comune e da alcune legislazioni nazionali ma non sempre applicata correttamente.
L’adozione della proposta tedesca metterebbe quindi al primo posto la tutela dei diritti umani rispetto alle regole del libero mercato e comporterebbe anche un radicale cambiamento a livello di politica estera comunitaria. Ad oggi, ogni paese membro ha completa autonomia per quanto riguarda le autorizzazioni per le esportazioni di armamenti, salvo il rispetto di embarghi imposti dall’Ue o dalla comunità internazionale.
Il progetto della Germania sposterebbe invece in sede europea il potere decisionale, creando così un unico quadro giuridico valido per tutti i paesi membri e riducendo la concorrenza tra le industrie nazionali della difesa. Molto spesso i governi dei singoli stati si rifiutano di adottare politiche più restrittive in tema di export per non rendere meno competitive le industrie nazionali a vantaggio dei concorrenti. La proposta tedesca però permetterebbe di risolvere questo problema, facendo tra l’altro compiere un grande passo avanti agli stati membri nella creazione di una politica estera comune.
L’opposizione della Francia
Il progetto di Berlino ha però ricevuto un primo importante no ancor prima di approdare in sede europea. In una conferenza stampa del 16 dicembre, la direttrice generale per le relazioni internazionali del ministero della Difesa francese, Alice Guitton, ha dichiarato che il commercio di armi è e resterà una prerogativa nazionale.
Per la Francia, che da gennaio assumerà la presidenza del Consiglio europeo, non sembrano quindi esserci margini di trattativa su una politica comune in materia di export di armamenti. D’altronde Parigi è il maggior paese esportatore dell’Unione e fa spesso affari con paesi in cui il rispetto dei diritti umani non è una priorità.
Di recente la Francia ha siglato un accordo per la vendita di 80 caccia Rafale per un valore di 16 miliardi di euro con gli Emirati arabi uniti, attestatisi nel decennio 2011-2020 quale quinto cliente dell’industria transalpina della difesa.
Ancora più stretti sono poi i rapporti tra Parigi e Il Cairo, suggellati non solo dalla vendita di armi ma anche dal conferimento da parte del presidente Emmanuel Macron della legione d’onore al presidente Abdel Fattah al-Sisi. Durante la cerimonia, l’inquilino dell’Eliseo aveva inoltre affermato di non voler condizionare la politica di difesa al rispetto dei diritti umani, una posizione che trova pieno riscontro nelle licenze per l’export di armamenti francesi.
La Germania di Merkel
Ma a vantare buoni rapporti con l’Egitto così come con altri paesi ben poco democratici è la stessa Germania, almeno fino a quando a ricoprire la carica di cancelliere era Angela Merkel. Nei suoi ultimi giorni al governo, la Grosse Koalition ha venduto ad al-Sisi tre fregate del Thyssenkrupp Marine Systems e 16 batterie antiaeree prodotte da Diehl Defense, tenendo il parlamento all’oscuro fino all’ultimo momento.
Anche i dati sulle autorizzazioni per gli armamenti approvate nel 2020 non sono meno problematici. Ben 1.16 miliardi di euro di export si sono diretti verso paesi coinvolti nelle guerre in Yemen o in Libia, mentre altri 752 milioni riguardavano le sole autorizzazioni verso l’Egitto. Un dato che conferma un trend già registratosi negli anni precedenti e che evidenzia quanto poco conti il rispetto dei diritti umani, nonostante la Germania vanti una delle legislazioni nazionali più stingenti in termini di export di armi.
Negli ultimi tempi le decisioni prese dal governo tedesco in termini di vendita di armamenti ne hanno anche incrinato i rapporti con Atene. La Germania, nonostante le rimostranze della Grecia, ha venduto sei sottomarini U-214 prodotti dalla Thyssen alla Turchia, rafforzando così la Marina di un paese che da più di un anno minaccia gli interessi greci ed europei nel Mediterraneo.
La proposta del nuovo governo, se approvata, comporterebbe importanti cambiamenti prima di tutto per la stessa Germania, rivoluzionandone il modello di esportazione e la politica estera, ma il progetto sembra destinato a fallire.
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