Il 12 gennaio 2023 Roberta Metsola annunciò un piano di contrasto alla corruzione per reagire al Qatargate. Nel corso di quest’anno sono state adottate diverse misure, alcune delle quali sollevano però problemi di applicazione. Le prossime elezioni europee saranno un banco di prova per vagliarne l’efficacia
Un anno fa, il 12 gennaio 2023, la presidente del Parlamento europeo (Pe), Roberta Metsola, presentò un piano per la trasparenza delle attività dei membri del Pe e per il contrasto alla corruzione. Era appena scoppiato il cosiddetto Qatargate, e si sentiva la necessità di una reazione “forte”.
Lo scandalo del dicembre 2022 riguardò non solo il Qatar, ma anche il Marocco. I due Paesi furono sospettati di aver elargito tangenti affinché alcuni soggetti influenzassero a loro favore la politica dell'europarlamento.
Secondo i magistrati, ciò travalicava il semplice lobbying, concretandosi invece in un’attività di corruzione. Furono coinvolti, tra gli altri, il vicepresidente del parlamento europeo, la parlamentare greca Eva Kaili, l’ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri, Francesco Giorgi, compagno di Kaili ed ex assistente di Panzeri.
L’indagine non è giunta a conclusioni certe, ma è finita a propria volta sotto indagine per certi metodi della giustizia belga, dall’uso del carcere preventivo ai sistemi posti in essere per ottenere confessioni.
La reazione del parlamento Ue
Il piano di reazione al Qatargate, articolato in 14 punti, è stato attuato con una serie di misure, alcune delle quali adottate nel corso del 2023 mediante delibere dell’Ufficio di presidenza del Pe; altre, invece, approvate il 14 settembre 2023 (con entrata in vigore da novembre 2023) da parte del Pe mediante modifiche al proprio regolamento interno e al codice di condotta dei deputati.
Tra le misure attuative del piano se ne segnalano alcune. I deputati appena cessati dalla carica non possono esercitare attività di rappresentanza di interessi per 6 mesi, e per lo stesso tempo ai deputati in carica è vietato coinvolgerli in attività che potrebbero consentire loro di influenzare i processi decisionali del Pe.
Gli ex deputati non hanno più i badge di accesso permanenti al Pe. I rappresentanti di interessi hanno l’obbligo di iscrizione al Registro per la trasparenza condiviso tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue, volto a facilitare la conoscenza di informazioni sulle attività di lobbying, e i deputati possono incontrare unicamente lobbisti iscritti nel Registro.
I deputati sono inoltre tenuti a rendere pubbliche online tutte le riunioni, incluse quelle con rappresentanti di Paesi terzi, anche quando vi partecipino loro assistenti e staff.
È stata dettata una definizione più ampia dei conflitti d’interesse, che ora comprende l’indebita influenza di motivi familiari o affettivi, di interessi economici o di qualsiasi altro interesse privato diretto o indiretto (prima si parlava di un generico interesse personale).
Sono state previste dichiarazioni patrimoniali all’inizio e alla fine di ogni mandato. I componenti del Comitato consultivo del codice di condotta sono stati portati da 5 a 8 ed è stato disposto che esso verifichi proattivamente (non più solo su richiesta del presidente del Pe) il rispetto del Codice.
Profili critici delle misure adottate sono stati evidenziati dalla mediatrice europea, Emily O’Reilly. La mediatrice, pur riconoscendo «progressi significativi» a opera degli interventi post Qatargate, ha espresso dubbi circa la loro applicazione.
Se è apprezzabile la definizione più dettagliata del conflitto di interessi e l’obbligo per i deputati di rendere pubblici gli incontri con lobbisti e rappresentanti di paesi terzi, tuttavia non è chiaro come il Parlamento controllerà e farà rispettare regole quali quella sul periodo di sospensione post-mandato per i deputati o sull’obbligo di dare conto delle riunioni con i soggetti indicati.
Inoltre, rimangono poco chiari alcuni profili sull’operatività del Comitato che monitora il rispetto del codice di condotta, ad esempio in quale modo esso potrà ricevere e trattare segnalazioni di irregolarità. Infine, la mediatrice ha rilevato l’insufficiente trasparenza del processo di riforma stesso, specie per le decisioni adottate dall’Ufficio di presidenza.
Insomma, nel passaggio dalla teoria delle regole alla pratica della loro attuazione ci sono pieghe nelle quali potrebbe insinuarsi ciò che si voleva evitare. Le prossime elezioni europee – in vista delle quali la Commissione Ue ha anche varato ulteriori interventi – saranno un banco di prova per verificare l’efficacia delle nuove misure.
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