Fonti riservate riferiscono a Domani che l’annuncio viennese era stato concordato con la leader francese, che sta lavorando a un ampliamento e a una riformulazione del gruppo sovranista. Ora ci si divide i ruoli: Orbán si prende il protagonismo di facciata, Le Pen orienta davvero i giochi, la Lega punta a mettere qualcuno dei suoi nei ruoli apicali
Con la scadenza per la formazione dei gruppi europei a luglio, c’è grande fibrillazione a destra, e l’annuncio della nuova alleanza politica “Patriots for Europe” fatto questa domenica a Vienna da Viktor Orbán, Andrej Babiš e Herbert Kickl in apparenza sembra aggiungere caos al caos e gruppi a gruppi, mostrando il paradosso di una destra che prima del voto profetizzava grandi unioni e subito dopo non fa che scomporsi. Ma per capire come si riassetterà la destra non bisogna guardare ai singoli scossoni – soprattutto in questa fase di bluff negoziali e di trattative tra partiti – bensì ai movimenti profondi e a chi davvero guida i processi.
Fonti riservate della Lega in Europa riferiscono a Domani che la mossa di Orbán era stata concordata con Marine Le Pen, e che si tratta di un tassello inserito in un più ampio progetto di ampliamento e di rebranding di quello che finora si è chiamato Identità e democrazia. I cantieri per questo nuovo gruppo – o meglio, per il vecchio riformulato – sono al lavoro: pare che giovedì scorso ci sia stato un grande incontro negoziale nel quale oltre ai sovranisti di Id, Salvini incluso, hanno partecipato ungheresi e cechi.
Ora ci si divide i ruoli: mentre Orbán si prende il protagonismo di facciata, è Le Pen a orientare davvero i giochi, e la Lega punta almeno a mettere qualcuno dei suoi nei ruoli apicali della formazione ventura.
Il «razzo vettore» di Vienna
«L’Austria è un paese neutrale che ha sempre avuto la missione storica di costruire ponti, e oggi noi formiamo una prima alleanza che deve funzionare come rakete, come razzo vettore per cambiare la politica europea», ha detto Kickl sul palco dell’hotel viennese InterContinental, dove il suo partito FPÖ si riunisce spesso; è lo stesso hotel dove Heinz-Christian Strache era stato agganciato da una finta oligarca russa nello scandalo Ibiza.
L’FPÖ per ora siede in Id, anche se ha mal digerito la cacciata di Afd; è stato il primo partito d’Austria alle europee e lo sarà verosimilmente alle elezioni nazionali d’autunno. Kickl è già stato ministro degli Interni – con scandali vari legati ai rapporti con Mosca – e punta a diventare cancelliere. Andrej Babis, pure lui firmatario della carta di alleanza, è stato premier, con scandali al seguito per conflitti di interesse – il magnate viene detto «il Berlusconi dell’Est» – e con il suo partito Ano pochi giorni fa ha abbandonato i liberali di Renew.
Poi c’è Orbán, premier in carica, orfano in Ue e profeta eterno dell’unione a destra: l’Ecr di Meloni non ha voluto integrarlo, e lui ora va dicendo che «i partiti di destra dovrebbero creare gruppi forti all’Europarlamento che poi cooperino tra loro». Giovedì nei corridoi del Consiglio europeo il suo braccio destro Balázs Orbán ha parlato di negoziati in corso, e l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, sodale politico di Orbán, sta usando quei negoziati per contrattare posizioni migliori in Ecr, minacciando altrimenti di spostarsi.
La regia di Le Pen
Quanto pesa la carta dei “Patrioti per l’Europa” siglata questa domenica? In sé ben poco. Pure nel 2021 c’era stata la carta di Budapest per un gruppone delle destre poi mai formato, e da soli Fidesz, FPÖ e Ano non hanno i termini per costituire un gruppo. Ma come ha detto Orbán il giorno prima, «domenica bisogna guardare a Parigi e a Vienna». L’operazione viennese gli serve a non apparire come quello che si limita ad accodarsi a Id (ora che Afd è fuori) con la coda tra le gambe.
Ma i fili del vero piano sono tirati da Le Pen, con la quale la mossa comunicativa orbaniana è stata concordata. La leader del Rassemblement National si è messa al lavoro per allargare il perimetro del gruppo, al punto da valutare persino l’ingresso dei neofascisti polacchi di Konfederacja purché si liberino di una delle loro componenti; il cambio di nome sarebbe funzionale al piano di rilancio.
«Vogliamo allargare il più possibile il perimetro di un gruppo forte, patriottico, contro von der Leyen e gli inciuci: valutiamo favorevolmente le parole dei leader che da Vienna si sono detti disponibili», ha dichiarato non a caso questa domenica Salvini.
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