Le elezioni europee del 6-9 giugno prossimo sono cruciali, sia perché si prospetta un possibile cambio (o comunque uno scossone) degli equilibri politici interni che hanno assicurato, con alterne fortune, il funzionamento dell’Unione negli ultimi decenni, sia per la magnitudo delle sfide che la congiuntura internazionale pone all’Europa. Nell’ultima legislatura, l’Unione ha dovuto affrontare un tumultuoso tragitto, dallo scoppio della pandemia fino alla guerra all’Ucraina, in un contesto internazionale caratterizzato da una “policrisi”. Ho affrontato più compiutamente questi temi nel mio ultimo libro L’Europa matura, edito da Linkiesta Books e appena uscito in libreria.

Qui mi limito ad osservare che le minacce esistenziali che l’Unione europea si trova davanti sono fondamentalmente due, una interna e l’altra esterna: la formidabile avanzata di forze politiche estremiste ed il ritorno della guerra in Europa ad opera della Russia di Putin.

Sul fronte interno, si prevede un balzo in avanti significativo – se non un vero e proprio sfondamento – dei gruppi Identità e Democrazia (ID), guidato dal Rassemblement National di Marine Le Pen, e quello dei Conservatori e riformisti europei trainato dal successo di Fratelli d’Italia della nostra premier Giorgia Meloni. Questi gruppi sono assai eterogenei – basti pensare alle divergenze sulla questione dell’Ucraina – ma propugnano tutti un euroscetticismo nazionalista e sono antifederalisti. La loro narrativa è intrisa di richiami ideologici e la loro piattaforma politica fa appello alla tradizione, al controllo, alla chiusura.

Abbandonate le velleità di Frexit o Italexit, si propongono di cambiare l’Unione da dentro, in particolare propugnando un modello di “Europa delle patrie” che riaffermi la centralità degli Stati e restituisca competenze agli esecutivi nazionali. Oltre ad essere profondamente antistorico, questo approccio è potenzialmente distruttivo, perché mina le basi del progetto integrazionista europeo e condanna l’Unione all’irrilevanza globale, incapace di agire a nome dei suoi membri e schiacciata dalla competizione tra le grandi potenze. Per non parlare delle conseguenze potenzialmente nefaste per l’Italia di un’Unione non più basata sulla solidarietà e sul sostegno reciproco ma su un approccio rigidamente ed esclusivamente transazionale.

Sul fronte esterno, la Russia porta avanti una politica imperialista aggressiva e violenta attraverso un attacco militare di larga scala in Ucraina e si spinge oltre i confini europei in Polonia e nella regione del Baltico. Lungi dall’essere una pura azione di posizionamento, la guerra all’Ucraina è la sfida della Federazione Russa al modello europeo di democrazia e sviluppo. Questo modello, già contestato a livello globale in particolare da alcuni Paesi del cosiddetto Sud del mondo, è ora minacciato direttamente e fisicamente da Mosca. Dal canto suo, l’Unione europea ha saputo reagire con una unitarietà e una risolutezza inaspettate, attraverso strumenti diplomatici, economici, militari ed umanitari: ma allo stesso tempo si è scoperta vulnerabile e incapace di assicurare la protezione dei suoi cittadini senza l’apporto essenziale della forza militare degli Stati Uniti.

Per superare questa doppia sfida, serve un nuovo patto tra le forze moderate ed europeiste in vista della futura legislatura. Soltanto una rinnovata alleanza tra popolari e progressisti potrà da una parte arginare la minaccia nazionalista e dall’altra neutralizzare la minaccia russa. Questa convergenza non è più scontata come qualche tempo fa e richiederà un investimento politico da parte di entrambi, nel superiore interesse europeo. Il Partito Popolare europeo dovrà rinunciare ad una politica troppo permissiva e aperta alle forze di destra estrema.

Questa politica, a lungo suffragata dall’alleanza con Fidesz di Viktor Orban fino alla scissione, è stata avvalorata negli ultimi mesi da una forte intesa tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, e sigillata con accordi di esternalizzazione della gestione delle migrazioni con varie autocrazie mediterranee.

Da parte dei Socialisti e Democratici, si dovrà superare la tradizionale ritrosia ad affrontare i temi di sicurezza come precondizione di qualsiasi avanzamento sociale e civile e abbracciare una strategia politica che ammetta la necessità di poter esercitare una deterrenza credibile e rispondere agli attacchi esterni con capacità di difesa adeguate. Su queste basi, sarà possibile assicurare all’Unione un futuro prospero e democratico.

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