- Il primo turno delle amministrative francesi – le «elezioni senza passione» come le ha definite il politologo Yves Sintomer – è un piccolo terremoto.
- La vera vincitrice in questo voto dell’era pandemica è l’astensione: una fuga dalle urne così massiccia è un record per la Quinta Repubblica. La rilevazione più interessante riguarda le fasce d’età: tra i ragazzi fino ai 35 anni, l’81 per cento si è allontanato dalla politica.
- In questo contesto, Marine Le Pen non sfonda come vorrebbe, Emmanuel Macron deve cedere i riflettori a Xavier Bertrand e la scommessa a sinistra è ricompattarsi.
Il primo turno delle elezioni amministrative francesi – le «elezioni senza passione» come le ha definite il politologo Yves Sintomer su Domani alla vigilia del voto – è un piccolo terremoto nella politica di Francia.
La vera vincitrice in queste urne dell’era pandemica è l’astensione: una fuga dalle urne così massiccia è un record per la Quinta Repubblica, non esistono esempi più eclatanti a parte un referendum di ventuno anni fa. Sette aventi diritto su dieci si sono astenuti, solo il 33,7 per cento ha espresso le sue preferenze per il governo di regioni e dipartimenti.
L’opinione sfiduciata
L’Institut français d'opinion publique, che studia appunto le tendenze dell’opinione pubblica francese, ha monitorato in queste settimane l’interesse della popolazione per la campagna elettorale e l’attitudine al voto. Ora che abbiamo conferma dei pochi votanti, è utile ricostruire l’identikit degli astenuti. Il sondaggio dell’Ifop fotografa intanto il calo di interesse rispetto alla tornata di amministrative precedente: nel 2015 gli interessati erano il 41 per cento, questo giugno il 24. La rilevazione più interessante riguarda le fasce d’età: tra i ragazzi di età inferiore ai 35 anni, solo il 19 per cento si interessa alla competizione elettorale. Significa che l’81 per cento, quattro su cinque, si sono allontanati da questa politica. Il politologo Yves Sintomer, che fa la spola tra l’università di Parigi 8 e quella di Oxford, su Domani aveva descritto queste come le «elezioni senza passione» offrendo due linee di analisi: una è il processo in corso già da lungo tempo di «crisi strutturale della politica e diffidenza generalizzata verso partiti e classe politica». L’altro fattore è la pandemia.
Pandemia e desolazione
In teoria, la crisi innescata con Covid-19 richiede a maggior ragione risposte politiche. In Francia peraltro c’è stato un dibattito pubblico sulla malagestione della crisi da parte del governo e dell’Eliseo. Ma Sintomer riscontra «la mancanza di una visione alternativa forte»: questa classe politica non offre visioni diverse sul presente e perciò il sentimento collettivo oscilla tra «l’euforia di poter tornare a uscire e la paura per quel che sarà». Tornare a uscire è più allettante che tornare a votare. A marzo scorso la fondazione Jean Jaurès ha pubblicato un «barometro sentimentale», una analisi del sentimento collettivo. La tristezza è il primo (46 per cento), seguono rabbia (38) e paura (36). Interrogati sulla fiducia nella politica, i francesi si sentono anzitutto stanchi e stufi (la lassitude è al 41 per cento, e cresce di 13 punti rispetto all’anno prima). Jeremie Péltier, che ha guidato la ricerca, la sintetizza così: «Questa è la Francia che se ne frega». Ma forse questa è anche la classe politica che non appassiona.
Le Pen e il costo della «disaffezione»
Neppure a Marine Le Pen è sfuggito il costo politico dell’astensione, e infatti via mail scrive alla base: «Cari amici, il primo turno è stato segnato da un’astensione massiccia, una delle più alte mai registrate. I francesi hanno preferito la disaffezione civica alla partecipazione». Il Rassemblement National guidato da Marine Le Pen è in testa, come avevamo anticipato, nella sua regione-roccaforte, la Paca (Provenza-Alpi-Costa azzurra), con Thierry Mariani al 36 per cento abbondante; ma questo feudo è l’unico a dare sollievo, perché a dispetto delle previsioni dei sondaggisti nel resto di Francia il partito va male, sfiora il 20 per cento su base nazionale ma cala di una decina di punti rispetto alla tornata del 2015. Nella Provenza e dintorni, là dove i lepeniani nel 1995 conquistarono a Tolone il primo sindaco, la scommessa è arrivare per la prima volta al governo di una regione. Marine Le Pen per arrivare all’obiettivo ha mostrato il suo lato moderato: Mariani, il suo candidato, è un ex ministro dei républicains, e la leader in campagna elettorale è arrivata a citare la «force tranquille» del socialista Mitterrand. L’avversario di Mariani, Renaud Muselier, ha circa il 32 per cento. Il Rassemblement National è in testa ma avrebbe potuto andare meglio, notano i commentatori, citando il 2015 in cui Marion Maréchal-Le Pen superò il 40 per cento. Il punto è che però, anche se i risultati con queste amministrative possono sembrare deludenti e c’è già chi dà per fallita la strategia di normalizzazione (di dédiabolisation) di Marine, stavolta vacilla lo storico fronte repubblicano, cioè quel cordone sanitario che tutti gli altri partiti dai tempi di Jean-Marie Le Pen opponevano alla destra estrema. In vista del secondo turno, il partito chiama alla mobilitazione.
La destra e la sua “stella” Xavier Bertrand
Queste amministrative sono considerate un test in vista delle presidenziali del 2022, perciò il primo turno fa buon gioco a Xavier Bertrand. Il presidente della regione Hauts-de-France (“Alta Francia”) aveva scommesso sulla riconferma al governo dei suoi territori e i voti per ora gli danno ragione: è in testa con ampio vantaggio (oltre il 41 per cento di voti) sul candidato lepeniano (Sébastien Chenu, 24 per cento circa). Betrand ora è proiettato verso la competizione per l’Eliseo. In realtà, anche se la destra delusa da Macron vede in lui la nuova stella, Betrand è una vecchia conoscenza della politica di Francia: ministro con Villepin, poi con Fillon, segretario dell’Ump, dentro i Républicains fino al 2017, quando lascia il partito; che ora comunque prova a sedurre per prendersi l’Eliseo. Bertrand punta insomma a mettere insieme tutti, in quella destra che evita Le Pen e disconosce Macron. Il presidente, la cui forza politica da questo primo turno esce con le ossa rotte e come forza minoritaria che si muove attorno al dieci per cento, per paradosso in Alta Francia al secondo turno sarà costretto ad appoggiare il suo competitor e cioè Bertrand stesso. Sempre a destra, il primo turno regala conferme a Valérie Pécresse, che con circa il 36 per cento è in testa nella regione dove già ha governato finora, cioè Île-de-France.
La sinistra ora prova a unirsi
Fino al 2015 le forze di sinistra erano le protagoniste a livello territoriale; poi l’avanzata delle destre ha cominciato a invertire la tendenza. In questo primo turno il partito socialista, che a livello nazionale da lungo tempo arranca, può tirare un sospiro di sollievo: nelle regioni dove già era al governo, trova riconferme. Si posiziona bene ad esempio in Occitania o in Bretagna. Se il primo turno è servito ai socialisti, alla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e agli ambientalisti per testare i propri consensi, al secondo turno – e in vista delle presidenziali – la vera scommessa sarà unire le forze, e i voti. Un primo segnale forte in questa direzione arriva dalla regione Centre – Val de Loire, dove il socialista François Bonneau, che al primo turno ha ottenuto quasi un quarto dei voti, ha appena annunciato che domenica 27 la sua lista comprenderà anche le altre due formazioni; sinistra di Mélenchon e Verdi; al primo turno avevano espresso un proprio candidato, Charles Fournier, ma «adesso stiamo concludendo un accordo» dice Bonneau. A sinistra, l’unione fa la forza, e la sopravvivenza.
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