I numeri ufficiali parlano di un 25 per cento di popolazione russa. Ma con una stretta sui permessi di soggiorno. Le tensioni tra le comunità attraversano la società lettone, che sta anche affrontando difficoltà economiche
In Lettonia siamo nel pieno dell’annuale esercitazione congiunta con la Nato. “Namejs 2024” – circa 11.000 soldati impegnati, compresi quelli di leva e della riserva – durerà fino all’8 ottobre. L’obiettivo è migliorare le procedure di mobilitazione, rafforzare la sicurezza dei confini, creare meccanismi di coinvolgimento di tutta la società in caso d’invasione. Il convitato di pietra è ovvio: la Federazione russa, o meglio, il suo potenziale di minaccia dopo la guerra in Ucraina.
Le suggestive stradine turistiche di Riga non sembrano conciliarsi bene con la postura da difesa attiva che vorrebbe assumere il paese. Oggetto secolare di tanti e diversi appetiti, forse la piccola Lettonia è tragicamente abituata allo status di preda.
Nel limbo
Oggi, ovunque a Riga, insieme alla bandiera nazionale sventolano quelle dell’Ucraina e dell’Ue. Probabilmente il vessillo ucraino, essendo raffigurato su tutte le porte degli autobus, è addirittura più presente di quello nazionale. Con una grande contraddizione. Perché se si tende l’orecchio, in ogni punto della città la lingua dominante sembra essere proprio quella del vicino scomodo. I bimbi portati in gita nei musei parlano tra loro in russo. Le commesse dei negozi d’ambra parlano russo. I magazzinieri dei supermercati parlano russo. E così via.
I numeri ufficiali dicono che in Lettonia il 25 per cento della popolazione è russa. Il sospetto è che, complice una forte emigrazione lettone, soprattutto giovanile (i cittadini lettoni erano poco meno di due milioni e 400mila nel 2000; oggi sono poco meno di un milione e 900mila), la proporzione, almeno nei centri urbani, sia sensibilmente diversa.
Qui molti russi e bielorussi, a causa di una legge sulla cittadinanza sostanzialmente fondata sullo ius sanguinis, sono intrappolati in una specie di limbo del diritto. I “non cittadini” – così vengono definiti –per arrivare ad acquisire il diritto di voto, alcuni diritti pensionistici, la possibilità di accedere ad alcune cariche pubbliche, devono superare lo scoglio dell’esame di lingua lettone. Essendo però residenti in larga parte dai tempi sovietici, dunque non proprio in età da esame di maturità, hanno davanti un ostacolo non da poco. Lo scorso 20 giugno è infine arrivata un’ulteriore stretta.
Le norme
Una modifica parlamentare alla legge sull’immigrazione ha infatti revocato molti permessi di soggiorno permanenti – in particolare quelli ai residenti lettoni con passaporto russo – e introdotto nuovi obblighi. Ciò significa che decine di migliaia di persone, per conservare gli attuali diritti, dovranno superare il livello base del test di lingua nazionale (ne sono esentati solo coloro che hanno problemi psichiatrici o hanno già compiuto 75 anni) e documentare che hanno mezzi finanziari regolari pari almeno allo stipendio minimo mensile di 700 euro negli ultimi 12 mesi.
Il modulo di domanda per i soggiorni non permanenti (un anno) è ulteriormente rivelatore. Oltre alle informazioni generali, sono richiesti gli eventuali curriculum del coniuge, dei genitori, dei suoceri, di fratelli e sorelle. Occorre disapprovare l’annessione della Crimea, non dare supporto alla Russia sui social, non scrivere contro la Lettonia, approvare lo smantellamento dei monumenti sovietici in Lettonia. Infine, se tutto non fosse già abbastanza chiaro, occorre dichiarare di «non aver partecipato e non aver intenzione di partecipare ad alcun tipo di aggressione militare o di altro tipo contro l’Ucraina, contro la Lettonia e altri paesi dell’Unione europea e della Nato».
Le tensioni
La tensione tra le due principali comunità del paese, anche se ancora parzialmente nascosta e fatta di mezze parole, di mancata solidarietà, di invidia sociale, di supponenza culturale, esiste e cresce nel tempo. Come altrove, sicurezza e convivenza sono percepite in contraddizione. L’economia poi non aiuta. Se fino a qualche anno fa la Lettonia era una destinazione a basso costo, oggi l’inflazione post pandemica si è mangiata tutto. Gli stipendi medi, cresciuti ultimamente fino a circa 1.200 euro netti, devono fare i conti con supermercati che hanno prezzi molto vicini a quelli italiani. L’indice dei prezzi, ora sotto controllo, nel 2022 è salito oltre il 17 per cento.
Per salvarsi, le fasce più povere della popolazione della capitale comprano presso i magazzini all’ingrosso “MERE” (diciamo l’antimateria rispetto a Eataly), uno dei quali è peraltro collocato nel cosiddetto “quartiere moscovita”. Qui, un agglomerato di case desertico, con strade semivuote e sfilze di negozi chiusi, si unisce al coro di quasi tutte le altre zone non centrali della città. È l’altra faccia di un paese che si aspetta di avere, entro il 2030, metà della popolazione con oltre 50 anni d’età.
La Rimini baltica
In questo contesto generale, della Lettonia dei tempi andati spesso rimane solo una cartolina sbiadita. Riga, d’estate, significava l’assalto di massa ai 30 e passa chilometri della vicina spiaggia di Jurmala. Nella Rimini baltica, si accalcavano centinaia di migliaia di vacanzieri. Oggi il posto mantiene tutta la sua bellezza naturale. I fitti pini secolari che anticipano la spiaggia di quarzo bianco sono meravigliosi. Tra di essi, le ville anni Trenta o anche le nuove residenze tutte vetrate e giardini, raccontano un’architettura raffinata e destinata a pochi ricchi. Spesso si vocifera che i proprietari siano facoltosi moscoviti. In assenza di certezze, alcuni indizi sono arrivati dai recenti concerti estivi.
Artisti come Valerij Meladze (popolarissimo cantautore russo di origini georgiane) o come i Bi-2 (band costretta a emigrare dalla Russia per la sua opposizione alla guerra in Ucraina), in un contesto svuotato, con diversi alberghi chiusi, hanno fatto il tutto esaurito. Nel secondo caso, tra il pubblico si è fatto notare persino l’oligarca Evgenij Čičvarkin: ex monopolista del mercato russo dei telefoni cellulari, 15 anni fa emigrato politico a Londra, coinvolto nella Fondazione per la lotta alla corruzione di Navalny ed ex partner politico di Boris Nemcov. Insomma, un possibile obiettivo del Cremlino.
I peccati
Secondo un mito antico, Riga è stata fondata da un gigante buono che aiutava gli altri ad attraversare sulle sue spalle il ruscello Ridzina. Durante una buia notte, il gigante sentì dall’altra sponda il pianto di un bambino. Giunto a lui, riuscì a portarlo dalla parte opposta del fiume con smisurata fatica. Il bambino era Gesù e portava con sé il peso di tutti i peccati del mondo. Per questo battezzò il gigante come “annunciatore di Cristo”, poi San Cristoforo. Il mattino dopo il bambino scomparve ma nella sua piccola grotta venne trovato un mucchio d’oro: una ricchezza che servì a fondare la città.
Ecco, oggi l’oro di Riga non c’è più, ma il peso dei peccati del mondo si sente ancora tutto.
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