il segretario del Parti socialiste, Oliver Faure, ha aperto alla possibilità di entrare in un governo con macroniani e repubblicani. Ma non ha trovato grande accoglienza. I veti incrociati bloccano la possibilità di costruire una coalizione in grado di non subire i ricatti di Rn e France Insoumise
A vederli poco più di due anni fa, nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo. Entrambi reduci dalla campagna presidenziale più deludente di sempre: i repubblicani sotto il 5 per cento, i socialisti addirittura sotto il 2 per cento. Anche oggi poi, dando un’occhiata alle rispettive pattuglie all’Assemblea nazionale, i fasti dei giorni migliori sembrano lontani. Eppure, nel momento di caos politico in cui è ripiombata la Francia, la soluzione più in voga nelle ultime ore sembra essere quella di riaffidarsi ai due cardini dell’alternanza politica novecentesca: la sinistra socialista e la destra (post)gollista.
Il calcio d’inizio di questo revival lo ha battuto nella mattinata di venerdì il segretario del Parti socialiste, Oliver Faure, che in vista della sua visita all’Eliseo per le 12 ha aperto alla possibilità che i socialisti entrassero in un governo composto anche dal campo presidenziale e dai repubblicani, basato su «concessioni reciproche» e dal «contratto a tempo determinato».
Una fuga in avanti che non ha trovato grande accoglienza, da nessun lato dell’emiciclo. Non l’hanno presa benissimo gli alleati del Nouveau Front Populaire. La segretaria degli Ecologisti, Marine Tondelier, ha invitato i socialisti alla «vigilanza», sostenendo che quelli di Emmanuel Macron siano «giochetti» nel tentativo di «dividere la sinistra».
Più dure le reazioni da parte de La France Insoumise: il coordinatore Manuel Bompard ha chiesto di «rispettare i nostri elettori», mentre Jean-Luc Mélenchon ha affermato che «La France Insoumise non ha dato alcun mandato a Olivier Faure», per cui «niente di ciò che dice o fa è a nome nostro o del Nouveau Front Populaire».
Visto da destra
Ma anche da destra, dove forse il segretario socialista sperava di incassare qualche mano tesa, sono arrivate soprattutto porte chiuse. Il ministro dell’Interno ed ex senatore dei Repubblicani, Bruno Retailleau, prima ancora dell’incontro di Faure con Macron ha scritto su X che la destra «non potrà fare alcun compromesso con la sinistra» che ha «stretto un patto con gli insoumis e ha votato una mozione di censura irresponsabile»; «la destra può fare dei compromessi, ma non può compromettersi», ha riassunto Retailleau.
E forse è anche per questa mancata disposizione al dialogo verificata a destra, che Faure, all’uscita dal colloquio con il presidente della Repubblica, è tornato su posizioni più arroccate, chiedendo la nomina di «un primo ministro di sinistra» ed esprimendo preoccupazione per il mancato invito all’Eliseo delle altre forze che compongono la coalizione di sinistra, ovvero ecologisti, comunisti, e insoumis.
Nel pomeriggio il leader del Partito comunista, Fabien Roussel, ha fatto sapere di aver ricevuto un invito per un incontro fissato per lunedì, data prima del quale, come affermano diverse fonti, non dovrebbe arrivare la nomina di un nuovo primo ministro.
Dall’entourage di Macron, invece, filtra la conferma che il presidente avrà un colloquio telefonico con i rappresentanti delle altre tre forze politiche della sinistra, ma nessun incontro di persona è ancora confermato. Inoltre, sempre dallo staff dell’Eliseo si apprende che non verrà nominato un primo ministro socialista finché reggerà l’alleanza con gli insoumis. Più diplomatico lo stesso Faure, secondo cui Macron non ha espresso «nessuna precondizione o esclusiva» in merito a possibili soluzioni.
Coalizione centrista
Alle 20, il presidente ha poi ricevuto anche i rappresentanti dei Repubblicani, nelle persone dei capigruppo all’Assemblea, Laurent Wauquiez, e al Senato, Mathieu Darnaud. Da fonti vicine a Retailleau trapelano più dettagli su una possibile formula che avrebbe il sostegno dei Repubblicani: sì a un primo ministro che non venga dalla formazione del centrodestra, a condizione che i socialisti non siano all’interno della coalizione.
Non si esclude la presenza di figure di sinistra che non si sono “compromesse” con il fronte comune con La France Insoumise, come Didier Migaud (già ministro della Giustizia nel governo Barnier) o gli ormai onnipresenti Bernard Cazeneuve e Manuel Valls. Intanto, in un’intervista a Le Figaro, la leader del Rassemblement national, Marine Le Pen, si è detta «pronta a votare una nuova mozione di censura» se non dovessero essere rispettate «le condizioni di luglio», le stesse per cui il Rn ha deciso di votare per la caduta del governo Barnier. Numeri alla mano, però, la soluzione di un governo di coalizione centrista, che raccolga anche i socialisti e i deputati indipendenti del gruppo LIOT, con circa 299 seggi avrebbe i numeri per resistere a un’ipotetica censura proveniente dalle ali “estreme” dell’Assemblea, ovvero il Rassemblement national e La France Insoumise.
Una coalizione centrista che non avrebbe alcun effetto nell’ovviare alla mancanza di un chiaro indirizzo politico, ma riuscirebbe se non altro a garantire con relativa sicurezza l’approvazione del bilancio e un periodo di traghettamento in vista, possibilmente, di un nuovo scioglimento di un’Assemblea paralizzata appena sarà possibile, ovvero tra giugno e luglio 2025.
Un progetto bene in mente ma tutt’altro che semplice da applicare per Macron, che sabato 7 dicembre si appresta ad accogliere Donald Trump e Volodymyr Zelensky, a Parigi in occasione della cerimonia per la riapertura della cattedrale di Notre Dame, senza un premier in carica. Chissà che il coniglio pescato dal cilindro non possa venire, anche in questo caso, da un ritorno alla tradizione.
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