«No voy a dimitir!». Questo rappresenta oggi Luis Rubiales: il passato machista che non vuole schiodare. Ma sempre Rubiales diventa per converso anche il simbolo di una Spagna che invece del retaggio machista si vuole a tutti i costi liberare
«No voy a dimitir! No voy a dimitir!». «Non mi dimetto!». Lo ha ripetuto almeno quattro volte, e alzando la voce, il presidente della Federcalcio spagnola al centro di uno scandalo sessista. E del resto – almeno per metafora – questo rappresenta oggi Luis Rubiales: il passato machista che non vuole schiodare. Ma sempre Luis Rubiales diventa per converso anche il simbolo di una Spagna che invece del retaggio machista si vuole a tutti i costi liberare. «O lui o noi», dicono – assieme ad altri colleghi maschi – le giocatrici della nazionale spagnola.
Dopo la loro vittoria al mondiale di calcio femminile di domenica scorsa, la Spagna è stata attraversata da un entusiasmo e da un’indignazione mai visti prima: l’entusiasmo era per l’1-0 segnato sull’Inghilterra da Olga Carmona. L’indignazione è per i comportamenti del presidente.
Al momento della premiazione, mentre il pubblico si esercitava in batterie di applausi, Rubiales ha fatto ben altro: ha trattenuto Jennifer Hermoso stampandole un bacio sulla bocca. L’immagine è finita in pasto alla nazione in diretta televisiva, e ha fatto il giro del mondo pure la scena di lui che dal palco delle autorità se tocó los huevos, si è toccato i genitali platealmente, mentre era al fianco della regina Letizia.
Il caso è diventato eclatante, le reazioni sono lievitate. Non a caso il governo ha reagito all’arroccamento di Rubiales avvertendo che se non sarà Federcalcio, sarà la Moncloa a innescarne la destituzione.
Il presidente fa la voce grossa e lancia accuse contro «il falso femminismo», mentre gli opinionisti spagnoli battezzano il «nuestro Me Too». Il caso è ormai a tutti gli effetti politico, nonché politicizzato. Non c’è da stupirsene, se si pensa al contesto nel quale si sono svolte le ultime elezioni, polarizzate tra il machismo di Vox che negli enti locali assieme ai popolari ha smantellato le Pari opportunità; e una sinistra che sui temi femministi si è giocata la propria rigenerazione, con Irene Montero e Yolanda Díaz. Sul tema del consenso – che è il tema clou di questo scandalo – quest’estate si sono fatte campagne elettorali.
Il crescendo
Mentre il mondo del calcio spagnolo ha tardato giorni prima di reagire, nel frattempo il fronte progressista che adesso è al governo – e che spera di rimanerci – perora le dimissioni già da inizio settimana.
Hermoso ha subito riconosciuto pubblicamente che il bacio le aveva «dato fastidio», e dopo pochi giorni è anche intervenuta con toni netti attraverso un comunicato del sindacato Futpro. Rubiales ha pensato all’inizio di poter cavarsela con delle scuse, ma non è andata così. Martedì ci si è messo il premier stesso, a stigmatizzare il suo comportamento.
Nel frattempo Yolanda Díaz – la vicepremier nonché la leader di Sumar – ha fatto della vicenda Rubiales una sua battaglia politica, e non per caso. Dopo che Pablo Iglesias ha lasciato la leadership di Podemos a Ione Belarra, quest’ultima e Irene Montero – ministra dell’Uguaglianza – hanno puntato su femminismo e diritti lgbt: a Montero si deve la “ley trans” sull’autodeterminazione del genere, e pure la legge sul consenso (ley del "solo sí es sí"). Nei giorni dello scandalo Rubiales, nelle redazioni dei quotidiani spagnoli arrivano lettere di ringraziamento; ma la legge in sé ha dovuto esser rivista per gli esiti imprevisti generati, e su questo le destre hanno fatto la campagna per il voto di luglio.
Nell’assorbire Podemos dentro Sumar, Yolanda Díaz ha cercato di intestarsi le battaglie femministe, al contempo marginalizzando la dirigenza di Podemos, Montero in particolare. Insomma la fida alleata di Pedro Sánchez ha fatto e detto tutto il possibile per stigmatizzare Rubiales; oltre alle dichiarazioni, il 22 agosto «noi di Sumar abbiamo denunciato quanto accaduto al signor Rubiales davanti al Consiglio superiore dello sport per infrazione grave. Le federazioni sportive sono soggette alla Legge sullo sport e il Consiglio deve agire affinché il machismo non rimanga impunito». Parole di Díaz.
Arroccarsi e cadere
Dopo che la Fifa, giovedì, ha aperto una procedura disciplinare contro Rubiales, e con il presidente del Consiglio superiore dello sport che – per ora in un’intervista – bollava come «inaccettabili» i fatti, il governo e i media hanno dato per certo che questo venerdì all’assemblea della Federcalcio il presidente – non godendo più di supporto – avrebbe rassegnato le sue dimissioni.
La cosa era data per fatta: neppure un condizionale, niente periodi ipotetici, solo un concreto e granitico presente indicativo, «oggi Rubiales si dimette», è la prima pagina di El País di venerdì. E invece in tarda mattinata Rubiales ha parlato, ma per dire tutt’altro: non soltanto che «no voy a dimitir!», ma pure che la calciatrice aveva espresso il suo consenso – lei dice tutt’altro – e che c’è una campagna contro di lui mossa da «falso femminismo».
Se l’è presa con Díaz, con Montero, col governo. «Dovrei dimettermi? Coi risultati che ho portato? Con un mondiale vinto? Per un bacio consensuale?». Alle domande ha implicitamente risposto il governo: «Non può restare in carica ancora neppure un minuto», ha detto Díaz, mentre l’esecutivo Sánchez avviava l’iter per la sospensione.
«O lui o noi»
Intanto Hermoso ha negato che il bacio fosse consensuale, mentre anche le sue compagne vincitrici del mondiale hanno fatto sapere che non rientreranno in nazionale finché e se resterà Rubiales.
L’indignazione – e la reazione – attraversa tutto il mondo del calcio, tra dichiarazioni di solidarietà e annunci di dimissioni a raffica. Il calciatore Borja Iglesias ha lasciato la nazionale «finché le cose non cambieranno».
Dopo il discorso di non dimissioni di Rubiales, ha annunciato invece le dimissioni il suo vice, Rafael del Amo, dando segno dell’insostenibilità della posizione del presidente: «Avrebbe dovuto dimettersi, se commetti un errore devi avere la decenza di andartene».
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