La Germania ha introdotto alcune modifiche alla legge sulla cittadinanza, che sono state molto discusse. Non si tratta di limitazioni della libertà di opinioni, ma di riconoscere le responsabilità storiche del nazismo
Giornali e opinionisti politici di vari paesi al di fuori della Germania, hanno recentemente pubblicato articoli in cui si afferma che la nuova legge sulla cittadinanza tedesca del 27 giugno 2024, imponga a chi vuole ottenere la cittadinanza l’obbligo di “riconoscere il diritto di esistere di Israele” o addirittura di “fedeltà ad Israele”. In realtà questo non corrisponde ai reali propositi del legislatore tedesco, non si tratta assolutamente di obblighi o di una limitazione della libertà d’opinione, ma solo di un invito al nuovo cittadino a riflettere.
Chi riduce questi inviti a riflettere ad obblighi in realtà non vede, o peggio non conosce, l’estrema ritrosia della politica tedesca a formulare divieti ed obblighi; questa estrema sensibilità per la cultura della discussione che esiste in Germania oggi, è dettata dalla sua storia più buia legata al nazionalsocialismo, e viene messa attualmente a dura prova dai conflitti esplosi dopo il 7 ottobre.
Il test
Vediamo cosa nel concreto richiede questa nuova legge sulla cittadinanza tedesca. La prima vera novità della nuova legge sull’emigrazione è l’introduzione degli ampliamenti al test per acquisire la cittadinanza e alla dichiarazione di fedeltà. Così si chiama la dichiarazione che deve firmare la persona a cui si riconosce la cittadinanza tedesca. Ogni persona che vuole acquisire la cittadinanza tedesca deve superare un test a risposta multipla, rispondendo correttamente alla maggioranza di 31 domande, scelte tra più di trecento che mette a disposizione il Bamf, l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati.
Le domande – ma soprattutto il corso che prepara al test – servono a sensibilizzare il futuro nuovo cittadino sui suoi diritti e doveri: per esempio sul fatto che in Germania, i genitori che non apprezzano il compagno della figlia maggiorenne non possono andare dalla polizia e denunciare la figlia, oppure che un uomo non può essere sposato contemporaneamente con due mogli.
In questo modo si cerca di stimolare il futuro nuovo cittadino al rispetto o almeno alla conoscenza delle leggi. La nuova domanda introdotta nel test, e che ha alimentato questa grande ma poco approfondita discussione, riguarda Israele e suona in questo modo: «Quali azioni in riferimento allo stato di Israele sono proibite in Germania?» ed elenca quattro possibili risposte: «1) criticare pubblicamente la politica di Israele 2) issare una bandiera israeliana su un terreno privato 3) una discussione sulla politica di Israele 4) l’appello pubblico alla distruzione di Israele».
L’unica azione proibita è «l’appello pubblico alla distruzione di Israele». Criticare pubblicamente la politica di Israele e discutere su di essa non è assolutamente proibito. Anche questo divieto non è nuovo.
In Germania da tempo (molto prima del 7 ottobre 2023) l’appello pubblico alla distruzione di Israele è un reato punibile penalmente. Lo è sulla base del paragrafo 130 del codice penale che definisce il reato di Volksverhetzung (Istigazione delle masse): secondo questo paragrafo è proibito incitare alla violenza contro gruppi nazionali, razziali, religiosi o etnici o contro singoli per la loro appartenenza a un gruppo predefinito.
Sulla base dello stesso paragrafo è proibito approvare, esaltare, negare o sminuire azioni perpetrate sotto il dominio del nazionalsocialismo; quello che successe ad Auschwitz appartiene a queste azioni. Che sono proibite sempre però a patto che lo si faccia in pubblico o in una assemblea in modo adatto a disturbare la quiete pubblica.
La responsabilità storica
La seconda novità è l’ampliamento della dichiarazione di fedeltà che il nuovo cittadino tedesco deve firmare. In essa la persona dichiara non solo di rispettare l’ordinamento liberale e democratico (quindi la Costituzione) ma anche di riconoscere e fare propria «la particolare responsabilità storica della Germania per il dominio nazionalsocialista basato sull’ingiustizia e per le sue conseguenze, in particolare per la protezione della vita ebraica, per la convivenza pacifica dei popoli e per il divieto di condurre una guerra di aggressione».
Anche il nuovo cittadino tedesco deve quindi farsi carico delle responsabilità che vengono dal passato e che fanno parte del senso dello stato e del senso comune della maggioranza dell’opinione pubblica in Germania.
Il dibattito oggi
Di questo farsi carico della responsabilità storiche deriva non solo la particolare preoccupazione della protezione delle vite ebraiche, ma anche l’estremo rispetto per la libertà d’opinione, l’estrema ritrosia ad emettere divieti od obblighi dall’alto in tutto quello che concerne la vita politica, a combattere le negazioni e le riduzioni della libertà per mezzo di altre riduzioni della libertà. Questa ritrosia, questa sensibilità viene messa a dura prova dai conflitti nati della radicalizzazione della situazione in Medio Oriente dopo il 7 ottobre.
In Germania dal 7 ottobre chi è riconoscibile come ebreo o israeliano corre un alto rischio di essere insultato o peggio picchiato da individui che in questo modo pretendono di esprimere la loro solidarietà ai palestinesi.
È qui, nella vita quotidiana non nei dibattiti tra i politici in parlamento, che viene messa alla prova l’intenzione di «protezione della vita ebraica» da parte dello stato tedesco. A questa situazione veramente drammatica per ebrei o israeliani non si risponde in Germania tanto chiamando la polizia (cosa comunque necessaria in determinate situazioni) ma soprattutto sforzandosi di discutere con i potenziali aggressori e di trasformare i conflitti in dibattiti, in cui tutti, anche i potenziali aggrediti, si sentano sicuri di poter esternare le loro opinioni.
Un esempio è il dibattito sull’uso della kefiah nelle scuole e nei memoriali in Germania. Come può reagire il personale insegnante o chi – come colui che scrive – quotidianamente guida in memoriali degli orrori del nazionalsocialismo davanti a un visitatore o a una visitatrice che porta la kefiah? È uno dei problemi più grossi e discussi in questo momento, tra il personale insegnante e le guide dei memoriali, nelle autorità scolastiche, nelle direzioni dei memoriali e sui giornali; è anche oggetto di continui corsi di formazione e incontri di operatori ed operatrici.
Attorno a questo tipo di problematiche, che sono molteplici e vanno anche oltre l’uso della kefiah, e riguardano anche simboli storici del passato o differenza di approcci storico/sociali e di identità nella società multiculturale, in Germania c’è una pluralità di risposte, ma la discussione è molto aperta. Forse propria questa continua discussione è la forza e la miglior lezione appresa dalla società tedesca all’indomani della tremenda notte del nazismo.
La cultura della discussione è la base della democrazia. Ogni radicalizzazione del dibattito (sulla tematica di Israele e Gaza, ma anche su molte altre tematiche) mette inevitabilmente a dura prova la cultura della discussione. Chi non vuole discutere si affida alla cultura dei divieti, oppure interpreta inviti alla discussione come obbligo.
Quest’ultima posizione è in Germania uno degli elementi culturali di base delle nuove destre che continuamente sostengono che “oggi non si può dire più cosa si pensa” o che “dopo le dittature nere e rosse adesso bisogna battersi contro la dittatura variopinta”, riferendosi alla bandiera arcobaleno. Ed è anche un elemento culturale di base di chi li vota e pretende soluzioni predeterminate invece di discussioni. L’indignarsi sul fatto “che non si può dire nulla contro Israele” o peggio “contro gli ebrei” fa parte di questa critica radicale alla democrazia e alla cultura della discussione e accomuna persone di destra ma anche di sinistra.
Laboratorio fondamentale
La Germania con la sua attuale diffusa ritrosia ai divieti nella politica è in questo senso un laboratorio particolarmente importante. Non sappiamo se ci siano soluzioni ai conflitti in Medio Oriente o se siano realisticamente praticabili.
Queste modifiche nella nuova legge così come gli sforzi di molti nella vita sociale vanno comunque nell’unica strada possibile per non allontanarsi dalle soluzioni. La strada è quella di impegnarsi nella discussione: analizzare gli argomenti, ricercare i fatti, sforzarsi di raggiungere compromessi, rinunciare alle scorciatoie, alle semplificazioni ed ai divieti il cui effetto più rilevante sarebbe quello di impedire la discussione.
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