In Austria un incendio e svastiche sui muri del cimitero ebraico. Nella capitale vandalizzate alcune “pietre d’inciampo” . Aumentano gli episodi di antisemitismo. È bastato il pretesto dell’invasione di Gaza per riesumare gli antichi demoni
Con una frase semplice e giusta pur nella sua banalità si ammonisce Israele, lo si invita a moderare la sua offensiva su Gaza, già costata migliaia di morti, perché «non tutti i palestinesi sono Hamas». Si dice: non fare di tutta l’erba un fascio. Sacrosanto. Ma bisognerebbe ricordarlo sempre.
È lecito ovviamente criticare il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, scendere in piazza per chiedere che siano risparmiati i civili della Striscia, invocare una misura nella reazione all’orrore del 7 ottobre. Ma che c’entrano gli ebrei sparsi nel mondo con quanto succede in Terrasanta?
A Vienna qualche disgraziato se l’è presa persino con i morti, un incendio e svastiche sui muri del cimitero ebraico. A Vienna, la patria di Adolf Hitler dove cominciò la sua ascesa e dove l’esperienza avrebbe dovuto seminare anticorpi più robusti.
E nella Germania che più di tutti ha cercato e cerca di lavare le colpe degli antenati con massicce dosi di lezioni di storia sul male assoluto, un uomo ha cercato di incendiare una sinagoga a Berlino, i casi di antisemitismo sono aumentati del 240 per cento quest’anno mentre prendono piede persino nelle urne formazioni neonaziste.
Nel Caucaso la spirale di odio antiebraico riguarda tutti gli stati che lo formano, con l’aberrazione del Daghestan, aeroporto di Makhachkala, dove una folla inferocita ha cercato di linciare i passeggeri di un volo proveniente da Tel Aviv e la caccia è continuata negli autobus e negli hotel.
Le pietre d’inciampo
Nell’Italia della brava gente, le offese alle pietre d’inciampo a Trastevere, a Torino sono state vandalizzate le fotografie degli ostaggi di Hamas, analogamente a Milano con il sovrapprezzo di svastiche e graffiti contro il popolo della Torah sul ponte della Darsena. Scritte infami pure ad Alessandria, Ravenna, Firenze, Livorno. L’Osservatorio sull’antisemitismo ha registrato 278 casi da inizio anno, 42 dall’inizio del conflitto.
L’atto simbolicamente più odioso resta quello di Parigi, le case e i palazzi marchiati con la stella di Davide, il rimando a un passato che non passa, «qui abita un giudeo», nella Francia che ha perso la contabilità delle aggressioni e delle intimidazioni, avviate verso quota mille nel breve volgere di poche settimane. La Francia, sismografo di ogni crisi mediorientale per la presenza di cinque milioni di musulmani e della terza comunità ebraica del mondo, circa 500mila persone, dopo Israele e Stati Uniti.
La ricapitolazione serve per dare le dimensioni un fenomeno non nuovo ma in crescita esponenziale, dunque allarmante. Dove si mescolano elementi di antigiudaismo (gli ebrei uccisori del Cristo), antisemitismo (gli ebrei in quanto tali, ritenuti corpi alieni e dominanti in patrie che non sono la loro), antisionismo (l’opposizione all’esistenza stessa dello stato d’Israele). Un misto tra una malintesa analisi del passato, pregiudizi profondi, prima occultati per pudore e ora tornati alla luce per il clima del tempo, il sovranismo dominante, la caduta del tabù di Auschwitz che, assieme a quello dell’uso dell’atomica, aveva segnato la seconda parte del Novecento. «Mai più», aveva detto Primo Levi ed è ricomparso invece un grumo di Shoah nei kibbutz assaltati dai tagliagole di Hamas.
La fine del senso di colpa?
È bastato il pretesto dell’invasione di Gaza, sulla modalità della quale beninteso la critica è lecita, per riesumare demoni che aspettavano solo di essere dissepolti. C’erano state molte altre crisi a Gaza e in Cisgiordania, molti morti palestinesi dopo vendette israeliane che avevano passato il segno pur se non nelle dimensioni attuali.
Avevano prodotto manifestazioni contro Israele, critiche, slogan estremi, ma non era partita una caccia universale di queste dimensioni. Come se dopo ottant’anni fosse ora di finirla con il senso di colpa dell’Olocausto, come se fosse permesso derubricarlo e storicizzarlo. Come se potesse essere catalogato come qualsiasi altra sciagura di un tempo andato che non necessita più di memoria.
Se questo è il sostrato culturale, frutto di ignoranza, emotività, irrazionale, c’è da augurarsi che il tutto non degeneri. I segnali sono inquietanti. Meglio far scattare l’allarme prima che sia troppo tardi.
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