Quale sarà il futuro digitale dell’Europa e soprattutto quali sono i punti in cui il ritardo è maggiore? Secondo un report diffuso dalla Commissione europea, servono investimenti ulteriori in competenze digitali, connettività di alta qualità e una maggiore diffusione dell’intelligenza artificiale entro il 2030. Gli obiettivi si trovano nella “seconda relazione annuale sul decennio digitale europeo”, che valuta appunto lo stato di avanzamento delle politiche adottate degli stati membri in merito a connettività, adozione della tecnologia e aggiornamento delle competenze.

Il report viene pubblicato ogni anno e, in risposta ai risultati, gli stati membri sono tenuti poi a rivedere le loro strategie entro il 2 dicembre. L’obiettivo generale è di costruire un piano d’azione che non soffochi l’innovazione tecnologica nel breve termine. E se da una parte il rapporto dimostra che in questo senso si sta avanzando nella giusta direzione, anche grazie al maggiore coordinamento tra le istituzioni dell’Unione europea e gli stati membri, dall’altra alcuni dati dimostrano che c’è ancora molta strada da fare.

«Sono necessari ancora più impegno e la collaborazione di tutti i paesi europei per raggiungere la trasformazione digitale che vogliamo, che sia dunque sostenibile, equa, e che ci mantenga competitivi sul mercato globale», dice Roberto Viola, responsabile della direzione generale delle Reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie della Commissione europea. «Le principali sfide rimangono nell’installazione di reti di connettività avanzata, che costituiscono le fondamenta della nostra trasformazione digitale».

Ritardi

Al momento in Europa la fibra raggiunge solo il 64 per cento degli utenti e le reti 5G con prestazioni sufficienti a garantire l’adozione di tecnologie avanzate coprono poco più del 50 per cento delle zone abitate. Nell’ultimo anno inoltre l’adozione di intelligenza artificiale, cloud e big data da parte delle aziende europee è stata al di sotto dell’obiettivo del 75 per cento.

Se le tendenze attuali continueranno, entro il 2030 solo il 64 per cento delle aziende utilizzerà il cloud, il 50 per cento i big data e solo il 17 per cento l’intelligenza artificiale, ha avvertito la Commissione europea. Percentuali che si riflettono anche nelle competenze individuali, visto che soltanto il 56 per cento della popolazione dell’Ue possiede competenze digitali di base.

Proprio su questo punto pone ancora l’attenzione Roberto Viola, che sottolinea l’importanza di avanzare nelle conoscenze tech anche tra gli specialisti del settore. «Il rapporto contiene per la prima volta anche un’analisi dettagliata della situazione degli stati membri. Alcuni paesi sono più avanti di altri nel proprio cammino verso la transizione digitale», dice. «Questo ci fa pensare che dobbiamo fare tutti insieme di più».

Promossi e bocciati

Nelle tabelle di marcia nazionali gli stati membri propongono 1.623 misure finalizzate al raggiungimento degli obiettivi del decennio digitale, per un ammontare di 251,9 miliardi di euro di investimenti (di cui 168 miliardi di fondi pubblici). Le misure proposte si concentrano principalmente su semiconduttori, connettività e competenze digitali di base.

Se per esempio Italia, Austria e Grecia sono allineate sulle risorse destinate alla transizione digitale, potendo contare su circa il 25 per cento dell’ammontare del proprio piano di ripresa e resilienza, in Romania, nonostante i fondi stanziati, solo il 59 per cento della popolazione ritiene che la digitalizzazione dei servizi pubblici e privati faciliti la loro vita.

Si tratta di uno dei punteggi più bassi dell’Ue, molto al di sotto della media europea del 73 per cento secondo il sondaggio condotto da Eurobarometro. In Svezia invece il principale punto di forza è rappresentato dai professionisti in campo digitale, unito a infrastrutture ben sviluppate nella maggior parte del paese tali da renderla una dei leader globali del mercato. A questo si aggiunge anche il dato eloquente sull’introduzione nazionale del 5G, che è passato dal 21 al 90 per cento di copertura domestica rispetto all’anno precedente.

Entro il 2030 si prevede che l’Unione europea avrà 20 milioni di specialisti tech occupati, supportando con convinzione anche il coinvolgimento delle donne nelle materie stem. «L’Ue si è dotata di un quadro politico e legislativo che punta a garantire l’innovazione senza sacrificare il rispetto dei diritti fondamentali», conclude Viola. «Ora è il momento di attuare questa visione».

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