UN Women, il World Future Council e l’Unione interparlamentare l’hanno definita nel 2014 «una delle norme più efficaci a livello mondiale per combattere ed eradicare la violenza sessista».

A poco più di vent’anni dalla sua approvazione, la “Ley Orgánica de Medidas de Protección Integral contra la Violencia de Género” resta infatti una delle maggiori conquiste della politica spagnola. Approvata all’unanimità da tutte le forze politiche nel 2004, è stata non solo la prima legge sulla violenza di genere in Europa, ma anche il primo passo di un lungo percorso che ha portato la Spagna ad adottare alcune delle misure più avanzate al mondo.

Una legge pioniera

Il 4 dicembre 1997, Ana Orantes racconta in diretta i 40 anni di abusi fisici e psicologici che ha sofferto insieme ai suoi otto figli per mano dell’ex marito, José Parejo: è una delle prime donne a farlo in un programma televisivo in Spagna. Tredici giorni dopo, Parejo la cosparge di benzina e le dà fuoco.

Il femminicidio di Orantes porta, dopo l’elezione del primo ministro socialista José Luis Rodríguez Zapatero nel 2004, all’approvazione di una normativa sulla violenza di genere che introduce novità significative, tra le quali la creazione di tribunali specializzati in violenza di genere e quella del primo ministero dell’Uguaglianza della storia della Spagna.

Con questa legge, la Spagna già introduce misure simili a quelle previste dalla Convenzione di Istanbul del 2013, tra cui la creazione di iniziative di sensibilizzazione e intervento nell’ambito educativo, di una linea telefonica antiviolenza gratuita e disponibile 24/7 e di una rete di servizi permanenti che offrono prestazioni specialistiche e multidisciplinari.

In Italia, invece, il riconoscimento a livello legislativo della violenza di genere, intesa come qualsiasi forma di violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce in misura sproporzionata le donne, arriva solo nel 2013, prima con la ratifica della convenzione di Istanbul, e poi con il decreto legge 93/2013. Le prime misure antiviolenza risalgono infatti alla legge 154 del 2001, ma riguardano esclusivamente la violenza domestica: anche la legge 38/2009, che pure prevede l’inasprimento delle pene per la violenza sessuale e l’introduzione del reato di stalking, non accenna alle radici sistemiche di questi abusi.

Dal patto di stato alla legge “solo sí es sí”

A una decina di anni dalla legge del 2004, il movimento femminista e alcune forze politiche in Spagna iniziano a proporre l’elaborazione di una politica pubblica più ambiziosa: i loro sforzi portano alla firma del “Pacto de Estado contra la Violencia de Género” del 2017, un accordo tra partiti con l’obiettivo di indirizzare l’azione di Stato sul lungo termine su questioni ritenute di grande importanza, a prescindere delle vittorie elettorali. Il Patto di Stato è stato rinnovato per altri cinque anni nel 2021, senza la firma del partito di estrema destra Vox, che non riconosce il fenomeno della violenza di genere. Proprio in queste settimane si sta invece discutendo di un nuovo Patto di Stato.

Nel 2016, durante la festa di San Firmino a Pamplona, cinque uomini stuprano una donna di 18 anni: è l’inizio di un altro caso giudiziario, quello della Manada (il branco), che avrà un impatto sulla società spagnola simile, se non superiore, al femminicidio di Orantes negli anni Novanta.

In particolare, il momento di svolta arriva quando gli uomini della Manada vengono condannati per abuso sessuale e non per aggressione, ovvero per un reato minore. È da lì che nasce la necessità di una nuova riforma del Codice penale spagnolo, che arriva nel 2022, attraverso la “Ley Orgánica de garantía integral de la libertad sexual”, anche conosciuta come “ley del solo sí es sí”.

La legge elimina la distinzione tra abuso sessuale e aggressione sessuale, qualificando come stupro qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso positivo ed esplicito di entrambe le parti. Fino a quel momento, infatti, l’aggressione sessuale era punita solo in caso fosse dimostrabile l’uso della forza o della minaccia, secondo il modello di diritto penale in vigore anche in Italia.

Questa modifica ha avuto, tuttavia, alcuni effetti indesiderati. Nella revisione del codice penale è stata infatti introdotta una nuova scala progressiva di sanzioni, che in alcuni casi ha abbassato le pene minime, permettendo anche la revisione retroattiva delle sentenze: secondo gli ultimi dati disponibili, la legge ha portato a 1205 riduzioni di pena e alla scarcerazione di 121 aggressori.

Allo stesso tempo, la normativa introduce alcune misure fondamentali, tra le quali un percorso specifico di protezione per i minori vittime di violenza, il riconoscimento delle molestie stradali (o catcalling) come reato, l’istituzione di almeno cinquanta centri di crisi che offrono assistenza psicologica, legale e sociale alle vittime, ai loro familiari e a chiunque del loro ambiente necessiti di supporto e l’estensione dell’educazione sessuale obbligatoria in tutte le fasi del percorso scolastico.

Il sistema oggi

Negli ultimi vent’anni, la Spagna ha sviluppato e poi introdotto nel suo sistema antiviolenza anche alcune innovazioni tecnologiche uniche al mondo. Nel 2007, infatti, il ministero dell’Interno ha iniziato a utilizzare VioGén, un programma di previsione del rischio che raccoglie dati sulle denunce per violenza di genere e attiva automaticamente le misure di protezione della polizia in base a un punteggio assegnato tramite un algoritmo. Nel 2024, il sistema è stato oggetto di un’inchiesta da parte del New York Times sulla mancata inclusione di 55 donne uccise dal loro partner o ex partner nei programmi di protezione. A inizio anno, il ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska ha annunciato il rilascio di una versione aggiornata del sistema, chiamato VioGén 2, che gestisce attualmente circa 102mila casi.

Nel 2009, l’ex primo ministro Zapatero ha introdotto anche l’uso dei braccialetti elettronici antiviolenza, una tecnologia sviluppata in Spagna che avvisa la polizia quando l’aggressore si avvicina alla vittima. A oggi, questo sistema è stato utilizzato in oltre 12mila casi, senza che in nessuno di essi si sia verificato un femminicidio.

Nonostante questo slancio innovativo e l’insieme di leggi promosse nel tempo, il sistema antiviolenza spagnolo presenta comunque alcune zone d’ombra. La legge del 2004 ha portato alla creazione di tribunali specializzati in violenza di genere, ma i giudici assegnati non sono tenuti ad avere una formazione sul tema. Il superamento di un corso dedicato alla violenza di genere è infatti obbligatorio solo se ci si occupa di diritto commerciale, diritti sociali (lavoro, istruzione, salute) e contenziosi. Anche per gli agenti di polizia, la formazione in ottica di genere è opzionale.

La stessa normativa ha introdotto l’educazione sessuale nelle scuole, senza però creare una materia specifica o assegnare un numero preciso di ore da dedicare al tema, che quindi viene affrontato durante le ore di biologia e di educazione civica, oltre che durante laboratori organizzati da enti esterni alla scuola, che vengono però realizzati a discrezione degli insegnanti e dei presidi.

Nel 2023 è stato poi pubblicato un report di valutazione dell’efficacia del primo “Pacto de Estado”, in vigore dal 2017 al 2021: il 65 per cento delle misure proposte sono state applicate, il 29 per cento  risultano incomplete e il 3 per cento non sono state rispettate. Anche sulla creazione di centri di crisi specializzati, promossi dalla “ley del solo sí es sí”, la strada resta ancora lunga: sono state aperte solo 23 delle 52 unità previste e le regioni, che hanno già ricevuto dal Pnrr 83 milioni di euro per il progetto, avranno fino a giugno 2025 per completarle.

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