Con la guerra in Ucraina stiamo davvero assistendo a una svolta epocale – una Zeitenwende – per le politiche di difesa italiane e tedesche? I pregressi, e le differenze tra i due paesi, in un estratto del volume sulla “Rimilitarizzazione riluttante”
Negli ultimi tre decenni, in seguito alla fine della guerra fredda, le politiche di difesa di molti stati occidentali hanno subito profonde trasformazioni. In pochi paesi il mutamento è stato più radicale che in Italia e Germania.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, siamo di fronte a un ulteriore momento di svolta in questo processo? Siamo davvero testimoni di una Zeitenwende, una svolta epocale, per le politiche di difesa italiane e tedesche? Il dibattito pubblico di questi mesi - più in Germania che in Italia – ha cercato di rispondere a questa domanda, valutando gli aspetti che possono testimoniare o meno un possibile cambio di paradigma.
La Germania ha annunciato un forte incremento delle proprie spese militari, ha sostenuto l’Ucraina con l’invio di armamenti e aiuti, ha pubblicato la sua prima Strategia di sicurezza nazionale e infine, attraverso attori politici di rilievo, ha adottato una narrazione nella quale il ritorno alla difesa territoriale e la rivitalizzazione delle forze armate sembrano ora essenziali per affrontare un mondo diverso e pericoloso.
Le difficoltà, la lentezza nonché le polemiche che hanno accompagnato la effettiva realizzazione della Zeitenwende hanno alimentato dubbi rispetto al percorso intrapreso.
Un processo complesso anche per la politica di difesa italiana, ancora incerta, a metà la volontà di mantenere il tradizionale approccio post guerra fredda, focalizzandosi sulle sfide del “Mediterraneo allargato” e la necessità (tra vincoli considerevoli, in primis economici) di riorganizzare le forze verso minacce tradizionali (i carri armati acquisiti e ammodernati servono a questo?).
Ci troveremo allora di fronte a una rivoluzione nelle politiche di difesa o a un semplice rafforzamento delle tendenze esistenti a Roma e Berlino da parte di attori in qualche modo “riluttanti” in materia di difesa? È presto per rispondere in modo compiuto, ma uno sguardo approfondito alle dinamiche del percorso di cambiamento della post-bipolare della politica di difesa in Italia e Germania è una premessa senza la quale è arduo capire quel che avviene. Questa analisi ci consente in primo luogo di osservare che l’Italia è stata molto meno riluttante della Germania, nonostante i molteplici aspetti comune.
Dopo la seconda guerra mondiale, Germania e Italia, così come l’altro sconfitto, il Giappone, hanno adottato costituzioni che limitavano significativamente l'uso della forza militare e sviluppato culture e narrazioni strategiche largamente condivise che rendevano l'idea stessa della guerra un tabù.
Le forze armate tedesche e italiane, sebbene ricostruite (più o meno lentamente) dopo la guerra, sono state progettate principalmente per intervenire contro una minaccia sovietica su larga scala, fornendo così un supporto all’interno del sistema di alleanza della Nato. Un approccio che potremmo definire “stanziale”, con spese per la difesa fortemente orientate verso i costi del personale.
Durante la guerra fredda, con alcune limitate eccezioni, le forze armate tedesche, italiane e giapponesi sono rimaste poco attive, a protezione di un confine in attesa di una guerra convenzionale interstatale contro il Patto di Varsavia che, fortunatamente, non è mai arrivata.
Negli anni Novanta, però, il contesto è cambiato profondamente. La fine della guerra fredda e le successive crisi regionali, l'11 settembre, la “guerra al terrorismo” e la rapida crescita della Cina hanno rappresentato momenti di svolta, modificando le percezioni della sicurezza e influenzando la politica di difesa a Roma e a Berlino.
In termini generali, Germania e Italia, così come il Giappone, sono passati da un ruolo di meri "consumatori di sicurezza" a “fornitori di sicurezza regionale" più attivi, di fronte a nuove minacce ma anche a grazie alle pressioni esterne esercitate dagli alleati, Stati Uniti in primis.
Quando le strade si dividono
Tale passaggio è stato però molto diverso, nei modi e nei tempi. Dai primi anni Novanta, la difesa territoriale ha smesso di essere una missione centrale per le forze armate italiane. L'Italia ha subito partecipato alla prima operazione militare del mondo post bipolare (l'intervento contro l'Iraq nel 1990-1991) e svolto un ruolo molto attivo nelle missioni Onu in Somalia dal 1992 al 1995.
È poi intervenuta in Bosnia, in Albania con funzione di leadership, in Kosovo, in Afghanistan e Iraq, in Libia e nel Sahel. Da Haiti a Timor Est sono state decine le missioni condotte dalle forze armate italiane, dal peacekeeping alla controinsorgenza, dalle operazioni umanitarie ai bombardamenti aerei.
In Germania, invece, la difesa territoriale – principale paradigma durante la Guerra Fredda – è rimasta la missione centrale almeno fino all’inizio del nuovo secolo. Tuttavia, in particolare nel tra il 2003 e il 2014, a causa della partecipazione della Germania alla missione Isaf (International Security Assistance Force) guidata dalla Nato in Afghanistan, lo sviluppo di forze e dottrine legate alla gestione delle crisi (il “crisis management”) hanno assunto crescente importanza.
L'annessione russa della Crimea nel 2014 ha poi spinto la Germania a concentrarsi nuovamente sulla difesa territoriale e sulla minaccia rappresentata dalla Russia. In questo processo, i due paesi hanno riformato – con tempi e conseguenze molto diverse – sia la struttura delle loro forze che le loro dottrine militari.
Piuttosto che un completo abbandono di strutture, pratiche e principi del passato (si pensi al pacifismo), attori politici e militari hanno avviato una sorta di processo di rielaborazione e riadattamento (da qui le “missioni di pace”), spinti dalla volontà o dalla necessità di assumere un ruolo più attivo nella sicurezza regionale di fronte a sfide emergenti.
La trasformazione militare in Germania e Italia dopo la fine della guerra fredda è avvenuta in modo diverso. L’Italia ha da subito avviato il percorso di cambiamento, riformando le proprie strutture e sposando un forte dinamismo militare che ha portato le proprie forze armate pressoché ovunque.
Il mutamento, sebbene significativo alla luce del passato, è stato invece più limitato e graduale in Germania. Perché? In che modo le forze armate, e i decisori politici responsabili di esse, hanno modificato in questi anni la visione della loro missione, della natura degli impegni militari da assumere e dell'approccio da adottare in termini di dottrina militare? Se proviamo a rispondere a questa domanda, analizzando le diverse traiettorie di Germania e Italia in materia di dottrina militare e strutture delle forze, possiamo identificare quei fattori che hanno plasmato la trasformazione avvenuta nei due paesi (e che possono plasmarla anche oggi).
Per comprendere questa evoluzione è necessario allora focalizzarsi su una pluralità di elementi, rifuggendo da spiegazioni che si limitano a una singola causa. È l’interazione tra fattori esterni (dalle minacce alle alleanze), vincoli interni (dai - diversi -"poteri di guerra dei parlamenti" alla dimensione culturale) e organizzazioni militari (si pensi ad esempio ai processi di apprendimento) che aiuta a capire modalità e tempi delle diverse traiettorie seguite da Roma e Berlino in materia di difesa.
Proprio il tempo, l’aver iniziato un processo radicale di trasformazione in grande anticipo, aver raccolto e incorporato i feedback derivanti da un constante coinvolgimento in missioni all’estero, appare cruciale per illustrare il percorso difforme seguito in Italia e Germania.
L’invasione russa dell’Ucraina ha oggi accelerato i processi evolutivi nei due paesi. È presto per capire se la “svolta epocale”, la “Zeitenwende” annunciata dal cancelliere tedesco Scholz a febbraio 2022, sia reale. Un singolo shock esterno, come una guerra, o una radicale trasformazione di politica interna difficilmente – da sole – indirizzano il percorso di un paese in materia di difesa.
La ricerca evidenzia infatti l’importanza di osservare attentamente l’interazione tra fattori domestici ed internazionali, nonché valutare le conseguenze della propria legacy, della tempistica che segna ogni percorso e dei meccanismi che ne rafforzano, o meno, la traiettoria.
Il testo è un estratto rielaborato di "Reluctant Remilitarisation: Transforming Defence and the Armed Forces in Germany, Italy and Japan After the Cold War”, F.Coticchia, M.Dian, and F.N. Moro (Edinburgh University Press, 2023)
© Riproduzione riservata