- I paesi europei che stanno soffrendo di più la crisi energetica si riuniranno per trovare una soluzione: sei sono a favore della proposta, due, Germania e Olanda, frenano.
- Si cerca una intesa tecnica prima del summit del 6-7 ottobre: l’accordo dovrebbe prevedere una forchetta di prezzo, per mettere a tacere i timori di una fuga dei venditori di gas naturale liquefatto
- Intanto arriva il via libera al tetto ai ricavi delle società energetiche e la tassa sugli extraprofitti dei produttori da combustibili fossili.
Alla fine se la dovranno vedere gli otto stati europei più in difficoltà, cioè quelli che stanno soffrendo di più per i prezzi alle stelle delle bollette.
Per accelerare un’intesa condivisa sul gas prima del nuovo vertice informale dei capi di stato e di governo fissato per il 6 e 7 ottobre a Praga, ci sarà un confronto diretto tra favorevoli e contrari al tetto del gas.
Confronto a otto
Tra gli otto stati “energivori”, infatti, ben sei, cioè Italia, Francia, Grecia, Belgio, Spagna e Polonia hanno firmato una lettera alla Commissione europea per bloccare il prezzo del gas, mentre Germania e Olanda temono che il tetto non funzioni e che dirotti le vendite degli esportatori su altri acquirenti.
A fare da sponda alle preoccupazioni tedesche e olandesi ci sono quelle degli alti funzionari della Commissione, timorosi di prendersi la responsabilità di un aggravamento della crisi. Tanto che ieri, al termine del Consiglio Energia da dove è uscita l’idea del negoziato ristretto, la commissaria, Kadri Simson, ha dichiarato che il tetto al prezzo (o la forchetta di prezzo) si farà solo a condizione che tutti si impegnino nell’austerity energetica e riducano i consumi del 15 per cento.
La diplomazia italiana è comunque positiva. L’«intensa» attività in corso tra le rappresentanze e le capitali europee, come l’ha definita la ministra degli Esteri francese, ha fatto sì che la Germania si siederà al tavolo per trovare una soluzione tecnica.
La commissaria Simson nella conferenza al termine del Consiglio ha comunque tenuto aperte tutte le opzioni: un tetto fisso al prezzo, un tetto mobile, cioè un corridoio di prezzo con un minimo e un massimo fissati (al momento la soluzione più quotata), la divisione del prezzo dell’energia prodotta da gas da quella prodotta da altre fonti e una piattaforma congiunta europea per l’acquisto del gas naturale liquefatto.
Molto più netta la presidenza di turno del Consiglio Ue: il ministro dell’Industria ceco, Jozef Sikela, ha esordito presentando la crisi come «una guerra energetica con la Russia», ribadendo che la maggioranza degli stati è a favore di calmierare il prezzo del gas e accantonare l’indice olandese Ttf con la creazione di un riferimento diverso «che rifletta meglio il mercato mondiale».
Una tassa sui veri profitti
Le esplosioni sul gasdotto Nord Stream hanno compattato le posizioni e, dopo la relazione di Svezia, Danimarca e Germania sull’«attacco deliberato» al gasdotto, la Commissione ha annunciato uno stress test sulle infrastrutture energetiche chiave, pipeline e rigassificatori. E intanto il vertice di ieri ha dato il via libera a quattro misure «temporanee e straordinarie».
Primo: la riduzione del consumo dell’energia elettrica a partire dal primo dicembre, con obbligo pari almeno al cinque per cento negli orari di picco, di consumo e prezzo. Saranno gli stati a individuare le fasce orarie, pari al dieci per cento delle ore totali. E con l’obiettivo generale che fino alla fine dell’inverno, e cioè fino al 31 marzo 2023, i paesi Ue dovrebbero ridurre la domanda complessiva di energia elettrica di almeno il dieci per cento.
Secondo: un tetto ai ricavi dei produttori di energia elettrica che hanno costi di produzione minori, come rinnovabili, nucleare e lignite, fissato a 180 Mwh, in modo da «preservare la profittabilità degli operatori ed evitare di disincentivare gli investimenti nelle energie rinnovabili». Sarà temporaneo, fino a giugno 2023, gli stati possono fissarlo anche a livello superiore, differenziarlo tra tecnologie, applicarlo anche ad altri attori, trader inclusi.
Terzo accordo – importante per il governo italiano che ha scritto una norma sugli extraprofitti poco efficace, elusa e molto contestata – i ministri hanno trovato l’intesa su un contributo di solidarietà da far pagare ai produttori di combustibili fossili, con un’aliquota minima al 33 per cento e calcolato sui profitti in eccesso del 20 per cento rispetto alla media degli ultimi quattro anni.
In attesa che il Tar si pronunci sulla norma italiana, il contributo di solidarietà europeo si applicherà in aggiunta a quello nazionale.
Margini di bilancio
Infine gli stati europei hanno imboccato la via del controllo dei prezzi interni: il comunicato del Consiglio dà il via libera al tetto al prezzo per la fornitura di elettricità alle piccole e medie imprese e in generale a un prezzo che sia anche minore del costo di acquisto dell’energia. Senza un meccanismo comune di difesa dai rialzi, per non far fallire i venditori, la differenza o le garanzie anti fallimento ricadono sul bilancio degli stati. La questione su cui ragionano molte capitali è non far dipendere la capacità di resistere alla crisi energetica dallo spazio di bilancio dei singoli.
Gli aiuti tedeschi
Ieri le dichiarazioni del premier italiano Mario Draghi e la paura che la mossa tedesca possa portare a una corsa ai sussidi sono state ricordate dall’austriaco Die Presse: né la commissaria all’Energia né la presidenza di turno hanno voluto rispondere nel merito. Dalla Direzione concorrenza, che appena due settimane fa ha proposto di estendere le norme speciali sugli aiuti di stato per la prosecuzione della guerra, ribadiscono quello che è già noto: tocca alla Germania notificare la misura per una valutazione sugli aiuti di stato e l’Ue è impegnata a limitare le distorsioni del mercato unico.
Una fonte diplomatica italiana però sottolinea che anche la Corte dei conti tedesca ha criticato il governo per il maxi debito mascherato, in teoria vietato dalla Costituzione di Berlino, e ricorda che la Commissione ha in un cassetto il piano per una Sure dell’energia, un sistema di prestiti con garanzia comune. I tempi non sono ancora maturi e toccherà alla sovranista Giorgia Meloni trattare una svolta europeista.
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