Contrordine. Non più una forza di peacekeeping, ma una “reassuring force”. Le truppe che eventualmente potrebbero essere inviate in Ucraina, dietro la proposta di Keir Starmer ed Emmanuel Macron, dovranno infatti costituire una forza “rassicurante” dopo un futuro accordo di pace.

Un cambio di paradigma solo in apparenza simbolico, su cui stanno spingendo diversi funzionari europei e ucraini, secondo la Bbc. Dietro, infatti, ci sono motivazioni ben precise: a partire dal tentativo di far digerire l’iniziativa alla Russia.

L’organizzazione dietro all’invio di soldati

A Northwood, quartier generale della difesa britannica a nord est di Londra, i cosiddetti paesi volenterosi hanno iniziato una sorta di programmazione militare. A riunirsi più di 25 stati per passare a una «fase più operativa», come aveva preannunciato Starmer giorni fa.

Regno Unito, Francia, ma anche Turchia, Polonia, Canada, Australia e tanti altri. Un vertice blindato e a porte chiuse, ospitato dall’ammiraglio Tony Radakin, capo di Stato maggiore britannico. Presenti altri capi di Stato maggiore, ma anche delegati e rappresentanti militari di quei paesi che in una forma o nell’altra sono interessati a partecipare al piano.

Gli alti ufficiali hanno provato ad andare più nel concreto dopo il summit militare in Francia della settimana scorsa. Studiando scenari e dettagli specifici. «Stiamo lavorando a ritmo serrato perché non sappiamo se ci sarà un accordo, io certamente lo spero, ma se ci sarà un’intesa, sarà importante essere in grado di reagire immediatamente», ha sottolineato Starmer. Insomma, non succede ma se succede.

Un esempio di cosa è stato discusso lo ha fornito il viceministro della Difesa britannico Luke Pollard. Parlando ai media ha definito il vertice importante per «un inizio di pianificazione militare». Capire chi può dare cosa e chi può fare altro. «Se una nazione offre i caccia, si deve capire dove potranno rifornirsi, come potranno agire in cooperazione con gli altri alleati», ha riferito Pollard.

La questione non è banale. Se non altro perché la difesa aerea dell’Ucraina e quella del mar Nero sono state le priorità del vertice.

Poi c’è il tema dei soldati sul terreno. Il numero stimato di “boots on the ground” che la coalizione potrebbe inviare varia dai 20mila ai 40mila. È un dato realistico, visto che non tutti i paesi si sono detti disponibili. Ma è troppo esiguo per coprire tutto il fronte in Ucraina e per fermare possibili scontri tra russi e ucraini: l’esercito di Kiev ha circa un milione di soldati, Mosca ben di più.

Quindi per le truppe degli alleati servirebbero regole d’ingaggio e compiti ben precisi. Magari circoscrivendo il loro incarico nel difendere porti, infrastrutture e città lontane dalla linea del fronte. Anche perché Vladimir Putin si è opposto a un coinvolgimento europeo in prima linea.

L’America e l’Italia

Tutto questo però non potrà avvenire senza la copertura degli Stati Uniti. La richiesta di un backstop americano non è solo dell’Ucraina, ma anche degli stessi alleati. Da Londra, è stato lo stesso Pollard a ribadire un concetto già espresso da Starmer: senza il sostegno Usa non saranno inviate truppe. Per adesso quindi si fanno solo supposizioni. L’obiettivo è quello di ripresentarsi da Donald Trump con un programma militare definito e convincerlo a esporsi.

Anche l’Italia era presente a Londra. Non con il capo di Stato maggiore della Difesa Luciano Portolano, la cui assenza era stata confermata dal ministro Guido Crosetto e giustificata dal fatto che fosse solo una riunione tecnica. A Northwood è andato un altro rappresentante italiano, per osservare i lavori più che per prendervi parte attivamente.

D’altronde, Giorgia Meloni e i suoi ministri in più di un’occasione hanno criticato l’iniziativa di Starmer e hanno escluso l’ipotesi di inviare soldati italiani in Ucraina, a meno che non ci sia l’ombrello delle Nazioni Unite.

I segnali del Regno Unito

Al summit si è presentato, per concluderlo, anche lo stesso Starmer. Poche ore prima il premier laburista si era recato a Barrow-in-Furness per salutare il ritorno nelle acque britanniche di un sottomarino nucleare, dopo una missione di oltre 200 giorni nel nord Atlantico. Il premier britannico è salito a bordo dell’HMS Vanguard, insieme al segretario alla Difesa John Healey e a favor di telecamere, in una rara diffusione di video e dettagli di un mezzo considerato altamente sensibile. Tutto per lanciare un messaggio: «Il deterrente nucleare del Regno Unito è la pietra angolare della nostra sicurezza nazionale».

Ed è un avviso rivolto dapprima alla Russia. Ma anche agli alleati europei e della Nato: potete contare su di noi. Il tempismo della visita alla base navale di Barrow, quasi in contemporanea alla riunione militare a Northwood, non è stato casuale. E si intreccia anche con un altro segnale che arriva da Londra. Non da Downing Street, bensì da Buckingham Palace, o meglio da Kensington Palace.

Il principe William è infatti volato a Tallinn per mostrare il sostegno ai soldati britannici stanziati in Estonia. Truppe dispiegate a garanzia della sicurezza del paese contro la minaccia di Mosca, che con l’Estonia condivide quasi 300 chilometri di confine. Quando serve, il Regno si muove unito. 

© Riproduzione riservata