La vicenda dei messaggini segreti con Big Pharma è approdata alla Corte di giustizia europea. Intanto, con Fitto e Ribera in stallo, si va a rilento sulla futura Commissione. Che è già nata male
«Se voglio parlare con l’Europa, a chi telefono?», si diceva dagli Stati Uniti tempo fa, per indicare con sarcasmo che l’Unione era ancora disunita e senza una rappresentanza chiara. Ora che Donald Trump procede a colpi di annunci graffianti e baldanzose falcate dritto verso la Casa Bianca, l’Europa inciampa ancora sui fili del telefono.
Sono messaggini telefonici introvabili, quelli che hanno portato Ursula von der Leyen nell’agenda della Corte di giustizia europea, per l’audizione del caso portato avanti dal New York Times contro la Commissione Ue. E sono telefonate senza risposta, quelle che Elly Schlein dice di aver fatto per regolare con Giorgia Meloni la crisi politica che coinvolge Teresa Ribera e Raffaele Fitto. Sms che von der Leyen mantiene tenacemente opachi, chiamate a valanga per uscire dallo stallo sui commissari designati... Who do I call if I want to speak to Europe?
Ci si aspetta che il 27 novembre la plenaria dell’Europarlamento garantisca alla commissione von der Leyen 2 di entrare in carica, ma prima ancora che il mandato inizi, la presidente più accentratrice di sempre si trova già con gli stivali nel fango; guada un pantano politico. E dire che appena una settimana fa, a Budapest, leader e vertici dell’Ue sfoderavano inviti all’unità e alla forza, presi dalla vittoria di Trump.
I commissari in stallo
«Giovedì ho chiamato Meloni», ha raccontato in tv la segretaria Pd Elly Schlein. «Volevo chiederle perché continua ad attribuirmi posizioni che non ho mai assunto». La cronistoria della “crisi delle audizioni” in sintesi: il leader del Ppe, Manfred Weber, ha iniziato in più occasioni ad appoggiarsi alle destre estreme (dai Conservatori ai Patrioti fino ad AfD) anche in questa nuova legislatura; i gruppi progressisti hanno vissuto la vicepresidenza assegnata a un meloniano come un segnale di sconfinamento verso le destre estreme.
Alla vigilia della giornata delle audizioni dei vice, Weber si è coordinato con il leader dei popolari spagnoli. Prima di quella telefonata, nel Partido popular si dava per scontato che la sancheziana Teresa Ribera sarebbe passata e Alberto Núñez Feijóo si diceva consapevole di non avere i numeri per farla cadere in Ue. Ma dopo la concertazione con Weber, è andato all’assalto.
Per far digerire ai progressisti la vicepresidenza di Fitto e soprattutto per imporsi come regista unico di maggioranze, il leader del Ppe ha preso in ostaggio Ribera. Mentre il Pd riservava a Fitto in audizione un trattamento garbato, la socialista spagnola veniva presa d’assalto da Pp e Vox, che le rovesciavano addosso le responsabilità per la malagestione di Dana, attribuibile semmai al presidente valenciano, il popolare Carlos Mazón.
Fitto ha comunque i numeri per entrare in Commissione, date le maggioranze variabili di cui dispone la destra; non vale altrettanto per Ribera. Von der Leyen è andata a negoziare per comporre una sintesi tra popolari, socialisti e liberali; ma il Ppe, oltre a blindare la vicepresidenza per Fitto, ha tenuto Ribera appesa al “test” del parlamento spagnolo previsto per il 20; giovedì è pure andato a sabotare una direttiva sulla deforestazione assieme alla congrega di destre estreme. «Non abbiamo mai messo in discussione un portafoglio di peso per l’Italia in quanto paese fondatore. Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe», ha detto Schlein: «Lo stallo l’hanno creato i Popolari che stanno cercando di allargare strutturalmente la maggioranza alla destra nazionalista. Il problema l’hanno creato Weber e von der Leyen».
Mentre i socialisti denunciano l’affronto di Weber, che vuole egemonizzare la legislatura relegandoli a stampella quando utile, intanto si registra uno squilibrio: tanto è aggressivo lo stile a destra (con il Ppe che lancia provocazioni e i meloniani che si appellano a Mattarella), quanto è scivoloso il gioco dei liberali Ue. Diversamente dai Verdi (allineati coi socialisti) giocano ai mediatori per riacquisire un peso («Si voti Fitto», dichiarava Matteo Renzi; «Il Ppe si è spinto oltre», bilanciava Sandro Gozi) e si dividono: sulla deforestazione metà ha votato con le destre, metà con le sinistre.
I fantasmi della presidente
Uscire dall’angolo diventerà sempre più difficile. Una volta superato lo scoglio delle audizioni, la seconda commissione a guida von der Leyen – a partire da come è stata da lei congegnata – sarà persino più accentratrice di prima. Proprio lo stile accentratore e l’opacità della presidente sono all’origine dello scandalo degli sms sul quale si è tenuta l’audizione alla corte di giustizia Ue.
Tra le varie procedure legali avviate riguardo ai rapporti Pfizer-von der Leyen, questa è quella lanciata dal New York Times, che ad aprile 2021 ha rivelato come si fosse arrivati a un nuovo contratto per i vaccini attraverso un intenso scambio personale, anche via sms, tra von der Leyen e l’ad di Pfizer.
Come scritto su Domani sempre ad aprile 2021, in quel nuovo contratto l’azienda aveva spuntato prezzi più alti di circa il 25 per cento a dose. Nonostante anche la ombudsman Ue avesse stigmatizzato il «malgoverno» di von der Leyen, tanto opaca quanto accentratrice, la Commissione insiste nel tenere giornalisti e cittadini europei al buio.
A lungo non ha neppure riconosciuto che gli sms esistessero, poi ha giustificato l’opacità col fatto di reputarli irrilevanti. I difensori della trasparenza ricordano il regolamento del 2001 sull’accesso agli atti. Ci vorrà tempo per un epilogo; quel che è certo è che il von der Leyen bis è pieno di ombre sin dall’incipit.
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