Chi sostiene che con la leadership di Giorgia Meloni nella coalizione di centrodestra il tema dell’autonomia differenziata perda di forza si sta illudendo
- La riforma del Titolo V della Costituzione riconosce alle regioni la possibilità di richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Il 22 ottobre 2017 Lombardia e Veneto hanno tenuto un referendum consultivo su tale materia. In Lombardia l’affluenza è stata del 38% (non era previsto un quorum), mentre in Veneto ha superato il 57 per cento.
- A eccezione di Abruzzo e Molise tutte le regioni hanno intrapreso iniziative formali per l’avvio della procedura ex art. 116, comma 3 della Costituzione. Ma la situazione è rimasta in stallo, anche per effetto dell’emergenza sanitaria Covid-19.
- Qualunque sarà l’esito delle elezioni del 25 settembre questo tema si riproporrà. La questione autonomista gode di grande popolarità in Veneto e suscita interesse anche nelle altre regioni.
Ci avviciniamo al voto con la coalizione di destra nettamente favorita secondo i sondaggi. Tale situazione induce a concentrare l’attenzione sui rapporti di forza interni alla coalizione considerata vincente. Secondo alcuni osservatori, l’impetuosa crescita dei consensi per il partito di Giorgia Meloni potrebbe relegare in un cono d’ombra i temi autonomisti cari ad ampi settori dell’elettorato leghista. Invece, a nostro avviso i temi dell’autonomia regionale non sono destinati a scomparire dalla discussione pubblica. Vediamo perché. Il regionalismo differenziato fa riferimento all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione il quale, in seguito alla riforma del Titolo V del 2001, dispone che «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia [...] possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle camere a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa fra lo stato e la regione interessata».
I due referendum
Nel centrodestra ognuno usa il programma per ostacolare gli alleati
L’argomento ha ripreso slancio in seguito al fallimento del referendum di riforma costituzionale voluto dal governo Renzi, nel dicembre 2016.
Il 22 ottobre 2017, Lombardia e Veneto hanno tenuto un referendum consultivo per richiedere una maggiore autonomia. In Veneto l’affluenza ha superato il 57 per cento. Fra i veneti che si sono recati alle urne la proposta autonomista ha conseguito un’approvazione quasi totale (98 per cento). In Lombardia, l’altra regione in cui si è svolto il referendum, con finalità analoghe, i risultati sono stati diversi: l’affluenza è stata del 38 per cento e in Lombardia non era previsto il quorum. In precedenza, l’Emilia-Romagna si era mossa nella stessa direzione, ma senza ricorrere alla consultazione popolare, costituzionalmente non necessaria. Il 28 febbraio 2018, poi, tutte e tre le regioni siglavano con il governo Gentiloni, allora in carica, l’accordo preliminare all’intesa prevista dall’articolo 116. Con la sola eccezione dell’Abruzzo e del Molise, tutte le altre regioni hanno intrapreso iniziative formali per l’avvio della stessa procedura. Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria hanno già formalmente conferito l’incarico al proprio presidente per avviare le trattative col governo. Le regioni Basilicata, Calabria e Puglia, invece, hanno assunto iniziative preliminari che in alcuni casi hanno portato all’approvazione di specifici atti di indirizzo.
Le trattative istituzionali
La negoziazione, proseguita col governo Conte I a guida M5s-Lega, con la ministra degli Affari regionali e le autonomie Erika Stefani, non è giunta però in porto, visto anche l’aspro dibattito generatosi tra le regioni del sud e del centro-nord del paese, ma anche la tensione, interna alla Lega, tra la spinta verso l’autonomia regionale sostenuta da esponenti locali come Zaia e la conversione al sovranismo incentivata dal leader nazionale Salvini. Il governo Conte II, sostenuto da M5s, Pd, Italia viva, Leu e Movimento delle autonomie ha cercato di affrontare tale questione, col ministro Francesco Boccia, che ha scelto di definire una legge quadro per regolare una materia diventata fonte di conflitto fra gli attori politici. Poi l’emergenza sanitaria Covid-19 ha oscurato il tema dell’autonomia regionale e il governo Draghi, con la ministra Mariastella Gelmini, si è limitato a mantenere la linea della necessità di regolare con una legge quadro nazionale questo tema. Qualunque sarà l’esito delle elezioni politiche del 25 settembre, si tratta di un tema destinato a divenire una delle questioni centrali nel dibattito politico-istituzionale della prossima legislatura, con particolare riguardo alla riforma delle relazioni finanziarie tra livelli di governo in Italia. Infatti, il tema dell’autonomia pone al centro del dibattito il riemergere della “questione settentrionale”, dalla quale aveva tratto origine la spinta della federalizzazione della finanza pubblica italiana nell’ultimo decennio del Novecento. Il tema assume peculiare salienza in Veneto, in cui, secondo tutti i sondaggi, nonostante l’assenza di risultati concreti, la questione autonomista rimane estremamente popolare, così come Luca Zaia, l’attore politico che maggiormente la incarna.
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