Nelle 48 pagine del rapporto Ecri la parola “razziste” non compare mai correlata alle forze dell’ordine, ma media e politica hanno dibattuto su questo per giorni «cancellando la ricchezza e la complessità dell’indagine»
Una singolare sorte è toccata nei giorni scorsi al rapporto sull’Italia pubblicato dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), organismo indipendente istituito all’interno del Consiglio d’Europa. Un surreale dibattito nazionale si è acceso attorno al titolo di un’agenzia di stampa che informava che quel rapporto accusava la polizia italiana di razzismo.
Alla notizia ha subito replicato indignata la premier Meloni dando avvio a una spirale di dichiarazioni dello stesso tenore da parte di esponenti del suo governo.
Peccato che l’aggettivo “razzista” nei confronti delle forze dell’ordine italiane in quel rapporto non ricorra mai e che delle 48 pagine del documento, comprensive delle osservazioni del governo italiano, dai media non sia stato pubblicato praticamente nulla (con qualche felice eccezione). Una bolla mediatica ha così cancellato la ricchezza e complessità di quel Rapporto e ha impedito alla pubblica opinione di saperne di più nel merito e nel metodo.
Provo perciò a fornire qualche elemento utile a capire qualcosa di più. Cos’è l’Ecri? A parte che per Salvini che l’ha liquidato come «un ente inutile», minacciando di portare a Strasburgo «rom e clandestini» l’Ecri è uno degli organi specializzati del Consiglio d’Europa dedicato a svolgere un’azione di monitoraggio sulle discriminazioni relative a “razza”, etnia, genere, cittadinanza, orientamento sessuale, religione. Tutti i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa sono monitorati da commissari rigorosamente di cittadinanza diversa da quella del paese posto sotto osservazione, che raccolgono dati sia attraverso analisi di organismi internazionali, sia effettuando nel Paese osservato visite e interviste a tutti i potenziali soggetti interessati.
Nella sua prima stesura il rapporto viene sottoposto al governo del paese monitorato che ha il diritto di proporre integrazioni e correzioni, nonché contestare formulazioni non condivise. E qui arriva un altro paradossale elemento della vicenda: il governo italiano, che ci ha messo un minuto a indignarsi, ha avuto diversi mesi di tempo per muovere critiche al punto controverso sul rischio di «profilazione razziale» da parte delle forze di polizia, in particolare nei confronti di Rom e di persone di origine africana. Se avesse giudicato inesistente una attività di quel tipo perché non smentirla con argomenti? Sarebbe doveroso che il governo rispondesse ad alcune domande: i ministeri conoscevano quel rapporto? E se sì hanno segnalato ai vertici politici le presunte criticità?
Perché non sono state rappresentate a Ecri le contro deduzioni? Delle molte raccomandazioni a cui il rapporto è finalizzato, l’Ecri rileva, interpretando una preoccupazione che è di tante associazioni del volontariato, che «il discorso pubblico italiano è diventato sempre più xenofobo negli ultimi anni e che i discorsi politici hanno assunto toni altamente divisivi e antagonisti, in particolare nei confronti di rifugiati, migranti, rom, persone Lgbt». Il documento richiama dichiarazioni e commenti considerati «dispregiativi e carichi di odio» pronunciati non dalla polizia, ma da «politici soprattutto durante i periodi elettorali».
Nei giorni successivi alla pubblicazione del testo, Salvini si è precipitato a dare nuove ragioni di allarme in vista del prossimo rapporto. E, dunque, risulta evidente che l’indignazione del governo è stato il modo per nascondere i moniti di Ecri ai discorsi di odio a cui troppo spesso ricorre la destra, così come non sfugge che il governo ha cercato di sviare l’attenzione dalla fallimentare “operazione Albania”.
E si capisce bene perché il rapporto risulti così indigesto visto che tra le principali raccomandazioni contiene quella di istituire una commissione indipendente sui diritti umani, o quella, rivolta ai partiti, ad «adottare codici di condotta appropriati che proibiscano l’uso dei discorsi di odio, invitino i loro membri e seguaci ad astenersi dal pronunciarli, appoggiarli o diffonderli e prevedano sanzioni». Certa di interpretare il sentimento di tanti concittadini, mi sono trovata a immaginare come migliorerebbe la qualità delle relazioni se si prendessero sul serio le raccomandazioni dell’Ecri. Speriamo nel prossimo rapporto.
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