- Claudio Pavone, attraverso il suo testo più importante Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, ha rivoluzionato il paradigma resistenziale che si era consolidato nell’immediato dopoguerra.
- La definizione di guerra partigiana come conflitto civile fu aspramente osteggiata da sinistra e da molti partigiani, questo perché in quella formula molti vedevano una comparazione tra resistenti e repubblichini, mettendoli, a loro avviso, sullo stesso piano.
- Lo storico romano è andato al cuore della guerra partigiana, mettendo in luce le motivazioni che hanno portato migliaia di giovani a combattere in quella guerra, in nome di nuovi ideali e di una nuova etica, rompendo con il fascismo che li aveva precedentemente indottrinati.
Prendiamo a prestito le parole di Claudio Pavone nell’introduzione a Una guerra civile, I edizione, per avviare al meglio quello che vorrebbe essere un omaggio allo storico che ha saputo rileggere, ridare senso e riscrivere la Resistenza italiana, in maniera innovativa dal punto di vista delle interpretazioni e dell’uso delle fonti, partendo da posizioni che andavano controcorrente rispetto agli orientamenti più diffusi in quegli anni.
«Molti anni or sono Ferruccio Parri mi propose di scrivere un libro sull’esempio di due opere che qualche tempo prima erano state pubblicate in Francia: Les courants de pensée de la Résistance di Henri Michel e, dello stesso Michel e di Boris Mirkine-Guetzévitch, Les idées politiques et sociales de la Résistance. [...] mi venni convincendo della difficoltà di isolare, in un discorso sulla Resistenza italiana, le idee e i programmi politici, sociali e istituzionali. La selezione delle fonti era resa difficile dal clima politico in rapido mutamento e dalla necessità di interrogare i comportamenti dei protagonisti per risalire da essi alle idee che li avevano ispirati».
«L’obiettivo della ricerca venne così spostandosi dalle idee agli uomini: alle loro convinzioni morali, alle strutture culturali presenti in esse, alle preferenze emotive, ai dubbi e alle passioni sollecitati da quel breve e intenso giro di avvenimenti. Su che cosa gli uomini avevano fondato il loro agire quando le istituzioni nel cui quadro erano stati abituati a operare scricchiolarono o si dileguarono, per poi ricostituirsi e pretendere nuove e contrapposte fedeltà?».
«La parola che mi è parso riassumere meglio quello che era venuto così configurandosi come l’oggetto della ricerca è stata “‘moralità”. Non “morale”, termine che da una parte isolava il dato di coscienza individuale, dall’altra rischiava di scivolare nella retorica resistenziale. Non “mentalità”, parola sulla quale si sono in breve tempo accavallati molteplici significati e polemiche nelle quali non intendevo addentrarmi […] Moralità è parola particolarmente adatta a disegnare il territorio sul quale si incontrano e si scontrano la politica e la morale, rinviando alla storia come possibile misura comune. Si trattava, fin dove era possibile, di calare in contingenze storiche, presentatesi in prima istanza in veste politica, alcuni grandi problemi morali e, reciprocamente, di mostrare come le stesse contingenze storiche rinviassero necessariamente a quei problemi».
Pavone, di formazione cattolica e socialista - fu amico di Eugenio Colorni e nel dopoguerra fu vicino allo stesso partito socialista - grazie anche all’affinità con il filosofo Norberto Bobbio, si mostrerà capace di dialogare e confrontarsi proficuamente con intellettuali di diversa estrazione.
Uno studioso militante
Le fonti di ispirazione in Pavone sono ulteriori, infatti non possiamo dimenticare un certo retaggio crociano, come si ricorderà, Pavone fu arrestato nel settembre 1943 mentre tentava di nascondere una borsa in cui era contenuto il libro di Croce, Etica e politica.
Nel suo percorso di studioso “militante” Pavone ha sottolineato l’importanza della Resistenza nella fondazione della Repubblica e oltre, rivendicando per la guerra di Resistenza anche l’eredità del Risorgimento.
Attraverso il suo testo più importante Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, egli ha letteralmente rivoluzionato il paradigma resistenziale che si era consolidato nell’immediato dopoguerra. Il vecchio modello legato unicamente alla guerra di liberazione, ai fascisti e ai tedeschi, non viene negato, ma ulteriormente problematizzato e ampliato, anche grazie a un’enorme mole di materiale documentario con il quale si riconsidera il termine di guerra civile, alla luce della ridefinizione del concetto di moralità nella Resistenza.
Egli utilizzerà fonti documentali inedite per la costruzione di un saggio di portata nazionale, quali lettere personali, diari e testimonianze orali che gli permetteranno di approfondire nella maniera migliore il tema della scelta. Materiale che invece era già stato lavorato e proposto in varie pubblicazioni di taglio locale, prodotte dalla rete degli istituti storici della Resistenza, attraverso il suo lavoro egli riuscirà nella colossale impresa di sintetizzare questi contributi in un’ottica nazionale.
Un lavoro molto simile a quello che sul fronte della Shoah ha fatto Saul Friedländer, realizzando una sorta di storia integrata della Resistenza, intendendo con quel termini mettere assieme vari aspetti e prospettive storiche.
La guerra civile
La definizione di guerra partigiana come conflitto civile fu aspramente osteggiata da sinistra e da molti partigiani, questo perché in quella formula molti vedevano una comparazione tra resistenti e repubblichini, mettendoli, a loro avviso, sullo stesso piano. Un timore che nasceva anche dall’uso strumentale che la destra faceva di questo termine, un modo improprio per dare pari dignità ai due contendenti.
Tuttavia, dal nostro punto di vista, l’interrogativo al quale Pavone aveva cercato di rispondere è meglio indicato nelle parole sopra ricordate: anzi, in quella parola al centro del sottotitolo: moralità. Un termine importante, come lo sono i comportamenti che decidono la soppressione o meno di un altro essere umano.
Lo storico romano è andato al cuore della guerra partigiana, mettendo in luce le motivazioni che hanno portato migliaia di giovani a combattere in quella guerra, in nome di nuovi ideali e di una nuova etica, rompendo con il fascismo che li aveva precedentemente indottrinati.
Il quadro generale che verrà delineandosi sarà il frutto dell’intreccio tra la soggettività delle scelte e l’andamento del movimento di liberazione nazionale. Pavone era convito che da quei comportamenti si potesse risalire alle idee che poi avevano alimentato, almeno in parte, lo sviluppo democratico che trasformerà l’Italia in una Repubblica parlamentare.
Le scelte personali
L’importanza della sua opera sta nel fatto che, mettendo al centro della ricerca la scelta personale e individuale di ogni partigiano, ripulita da tutte le sovrastrutture politiche e ideologiche createsi negli anni del dopoguerra, egli riesce a far emergere la cristallina ispirazione democratica di quei combattenti per la libertà.
Ideali tanto forti e puri, e se vogliamo ingenui, al punto che secondo Pavone, non vi era contraddizione nella frase urlata, spesso in punto di morte da molti partigiani, “Viva Stalin, viva la libertà”. Ed è questa la sua grande eredità: andando controcorrente e assumendosi la responsabilità di rompere i vecchi schemi, egli ha dato alle successive generazioni di storici, politici e addetti ai lavori, la forza intellettuale di contrastare i nemici della Resistenza che attraverso strumentali vulgate, sono sempre pronti a screditare i partigiani e inquinare le conquiste democratiche a loro attribuibili.
Un perfetto esempio di raccordo tra micro e macro storia, di ricerca storica che coniuga rigore scientifico e impegno civile. Alla luce di nuove letture, non solo storiografiche, ma anche di tipo sociologico e antropologico, Pavone ridefinisce il nesso tra conflitto sociale, civile e militare, nonché la collocazione di quella guerra civile nella storia d’Italia.
Al di là delle contestazioni ricevute da questa interpretazione innovativa, nel corso di numerosi dibattiti già negli anni Ottanta, il terreno su cui Pavone ha ricollocato la storia della Resistenza rappresenta un punto di avvio ineludibile per chiunque voglia misurarsi con la storia d’Italia e quindi d’Europa nel Novecento.
«Pavone scrive il più grande libro di storia sociale e culturale della guerra civile italiana ed europea, trasformando la Resistenza in un lieu de mémoire attorno a cui si era costruita una comunità, non solo nazionale, ma anche, egli sperava, europea. Del resto, questo era il senso di quella locuzione (luogo di memoria) per Maurice Halbwachs, che la teorizzò in campo di concentramento, alla vigilia della sua morte, avvenuta a Buchenwald, il 16 marzo 1945» (M. Salvati in Parole chiave).
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