«È una grande soddisfazione. La nostra eccezione è stata accolta su basi giuridiche finora inedite. Ora, con l’intervento della Consulta, capiremo se l’abrogazione del reato dei cosiddetti colletti bianchi sia stata frutto di una scelta legislativa corretta o giuridicamente errata». L’avvocato Manlio Morcella non nasconde l’emozione. Grazie alla sua istanza, la Corte costituzionale potrà pronunciarsi sulla legittimità dell’abolizione dell’abuso di ufficio fortemente voluta dal guardasigilli Carlo Nordio.

Martedì 24 settembre, infatti, il tribunale di Firenze ha accolto le tesi del penalista e ha ammesso la questione: la parola passa ora ai giudici costituzionali che dovranno valutare la compatibilità dell’eliminazione del reato col dettato costituzionale. «Una giornata storica, un trionfo», continua il legale del foro di Terni.

Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio la partita pertanto non è finita: la “battaglia” proseguirà nei mesi prossimi nelle aule del palazzo di via della Consulta a Roma. In ballo c’è tanto. Senza reato di abuso d’ufficio, così come prospettato dalla riforma Nordio, potrebbero sanarsi diffuse illegalità e soprattutto potrebbero essere autorizzati eccessi di potere. In tal modo, inoltre, potranno essere cancellate oltre tremila condanne definitive.

L’istanza accolta

«Come è possibile che uno stato come quello italiano, aderente alla Convenzione contro la corruzione di Merida, obbligato a considerare l’inserimento del reato di abuso in atti d’ufficio nel proprio ordinamento, possa risolversi per la sua abolizione?». Partiva da questo interrogativo l’istanza sull’ammissibilità della questione di legittimità presentata da Morcella.

«Secondo i più basici principi della logica, la disposizione convenzionale per lo stato contraente che, al momento della ratifica del Trattato, non annoverava un simile modello penale nel proprio ordinamento nazionale, importa l’obbligo di considerare la sua introduzione, mentre per lo Stato aderente che, alla medesima data, già lo contemplava, si atteggia alla stregua di un obbligo internazionale di stand stile».

Obbligo internazionale a restare fermi, «in forza del quale il quadro normativo interno deve rimanere invariato, non dovendo il legislatore nazionale riconsiderare l’esistenza di tale fattispecie criminosa nel proprio sistema penale», si legge ancora nell’istanza.

In altre parole, se uno stato, nel momento in cui aderisce alla Convenzione di Merida, prevede già nel proprio ordinamento il reato di abuso d’ufficio, dovrebbe limitarsi a “mantenere” quel reato. Non a eliminarlo.
È proprio il caso dell’Italia: nel 2009 il reato di abuso di ufficio esisteva, era regolamentato all’interno del codice penale. Poi cos’è successo? «Ora, abrogandolo - secondo Morcella -, è come se il nostro paese abbia tradito la Convenzione di Merida e sì, la Costituzione. Del resto un trattato va sempre interpretato in buona fede».

L’istanza piu in particolare è stata presentata nel corso del giudizio che riguarda la faida famigliare dei Colaiacovo, la “dinastia” a guida della Colacem spa, una delle più importanti aziende italiane produttrici di cemento. Nel processo è imputata tra gli altri l’ex procuratrice aggiunta di Perugia, ora in pensione e per anni numero uno dell’Antimafia, Antonella Duchini. Un processo in cui sono ipotizzati, per l’appunto, reati di abuso d’ufficio, peculato e rivelazione di segreto.

Un’altra istanza sull’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale circa l’abrogazione dell’abuso di ufficio l’ha anche sollevata la procura di Reggio Emilia nel processo Bibbiano. Il tribunale di Firenze intanto ha già deciso: gli atti saranno trasmessi alla Consulta. Un passaggio, quest’ultimo, che il ministro della Giustizia avrebbe voluto evitare.

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