Parla l’ex presidente della Camera che fu segretario del Fronte della Gioventù all’epoca dei tre ragazzi uccisi a Acca Larentia. «Fdi non c'entra niente con i saluti romani. La presidente del consiglio ha già detto quello che doveva dire. E il comunicato del partito è chiaro. Ragionare su quegli anni è un dovere per tutti. Ma lasciamo perdere gli irriducibili del braccio teso. Quando ero vicepresidente del Consiglio quelle manifestazioni erano anche contro di me»
«Io c'ero, quel giorno ad Acca Larentia. Stefano Recchioni è morto a due metri da me. Conosco quel mondo, quella vicenda dolorosissima. Ero segretario nazionale del Fronte della Gioventù». L’ex presidente della Camera Gianfranco Fini ricorda bene ogni istante di quel lunghissimo 7 gennaio 1978. «Dopo l'uccisione dei due ragazzi, c'era una pozza di sangue davanti alla sezione. Si figuri la tensione. Stefano è morto per un colpo sparato dai carabinieri, ma non era intenzionale, c'era un clima tesissimo. È stata una delle serate più tragiche della destra, una data che ha segnato un tornante. Perché da lì poi sono nati i Nar (i Nuclei armati rivoluzionari, fondati da Giusva Fioravanti, ndr) e il terrorismo neofascista, e le Br che hanno alzato il tiro. È stato per me uno dei momenti più duri, da cui ho tratto tanti insegnamenti. Ma cosa c'entra Meloni?»
Lei in passato ha invitato la presidente del consiglio a pronunciare la parola “antifascista”. Non è successo. Oggi Meloni dovrebbe dire qualcosa a proposito dei saluti romani che si alzano in una commemorazione che lei, la presidente, ha frequentato fino a due anni fa?
«Ma basta. Sono oltre quarant'anni che si ripete questa storia. Ho appena parlato con La Russa, condivido al cento per cento quello che dice. Chiariamo se il saluto romano è un reato, e chiudiamola lì».
Ma la questione giuridica è un conto, quella politica non è un altro?
«È una questione politica, certo. Ma se Fdi non c'entra niente, cosa volete da Fdi? Meloni ha già detto quello che doveva dire. E cioè che Fdi non c'entra con i saluti romani. Il comunicato del partito di cui Giorgia Meloni è presidente dice che Fdi non c'entra niente. E, al netto di qualche aggettivazione, è un comunicato condivisibile. Non mi aspettavo che su una questione drammatica ci fosse una polemica tanto inutile. Ripeto: Fratelli d'Italia, partito al quale non sono iscritto, non c'entra nulla con la manifestazione di Acca Larentia. Lì c'erano gruppi, più o meno numerosi, di irriducibili, estremisti, di giovani e alcuni non più giovani che hanno della destra una visione molto radicale. E purtroppo, anche visto il fatto che per tre decenni non si è mai accertata la verità sulle responsabilità di quella strage, Acca Larentia è diventata un luogo simbolico per certa destra».
Ma proprio se nessun esponente Fdi ha fatto i saluti romani, perché Giorgia Meloni non ha detto una parola?
«Ma che doveva dire? L'anno scorso cosa è stato detto? E ci fu la stessa situazione, e anche l'anno prima. Due righe sul giornale. Quest'anno pagine e pagine. C'è un limite alla faziosità. Fdi non l'ha organizzato. Fabio Rampelli ha fatto una dichiarazione ineccepibile: quelli sono cani sciolti».
Ma non Giorgia Meloni, che è la presidente del Consiglio. E la presidente di un partito che porta la Fiamma nel suo simbolo. Quella fiamma che proprio lei, Fini, voleva togliere dal simbolo.
«Se ne discusse, io dissi di toglierla dal simbolo. È rimasta lì. Ma non è una questione centrale. La sinistra è a corto di idee, per questo si attacca al sempre più stanco tormentone antifascista. E lo dice uno che ha scritto il documento di Fiuggi. Ma non è così che si ragiona sul perché ancora oggi, dopo tanti anni, ci sono giovanotti che si dilettano con il saluto fascista. Semmai c'è da chiedersi perché in tanti anni, di tanti militanti assassinati, anche di sinistra, non si è mai accertata la verità. Altro che il saluto romano di duecento ragazzotti, alcuni ultrà della curva. Vogliono fare il saluto romano? E lo facciano».
Lei cosa pensa del saluto romano?
«Che è un dato identitario di chi ha ancora oggi una concezione della destra collegata al passato».
Secondo lei perché queste parole Meloni non riesce a dirle?
«Ripeto: Fdi ha fatto un comunicato chiaro, certo ispirato a quello che pensa il presidente del partito, Giorgia Meloni. E lei ha fatto benissimo a non parlare: non deve dissociarsi da nulla. Perché né lei né il suo partito c'entrano nulla con questa vicenda. Dopo Fiuggi io ero vicepresidente del Consiglio: nessuno mi chiese cosa pensavo di quelli che facevano il saluto romano. Anche perché io ero un obiettivo di quella destra radicale. Il saluto romano è un dato identitario di chi ha della destra una concezione legata al passato. Piuttosto le do un altro spunto di riflessione».
Prego.
«Lei sa che Meloni non pronuncia il termine antifascista. E sa che io in qualche occasione le ho consigliato di farlo. Ma sa perché non lo fa? Perché per la sua generazione l'antifascismo è “uccidere i fascisti non è un reato”. Una bestialità: un conto è stato l'antifascismo dei partigiani, altro questa nefandezza che però circolava negli anni 70, con molte complicità di chi in fondo lo pensava ma non poteva dirlo. Forse per Giorgia Meloni è un dato più psicologico che politico. Allora la sinistra accetti quello che la destra chiede da anni: fare chiarezza, spiegare perché per il rogo di Primavalle si parlò di faida nella sezione missina, quando era noto a tutti che si trattava di altro. I quindici anni che vanno dal 1970 a metà degli anni 80 sono stati uno dei momenti più tragici della storia italiana del dopoguerra, con motivazioni che ancora oggi è difficile comprendere fino in fondo. Ragionare su quegli anni è un dovere per tutti. Ma lasciamo perdere gli irriducibili del saluto romano».
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