- Il nulla di fatto del governo sulle accise sul carburante è il colpo di grazia per la Lega in vista delle elezioni regionali lombarde.
- Non solo si tratta di una battaglia storica della Lega, ma, in aggiunta alla tensione che si è creata intorno alle liste del Carroccio, che non hanno accontentato tutti coloro che sono rimasti fuori dal parlamento, anche l’autonomia resta al palo.
- La Lega vuole far sentire il fiato sul collo a Meloni e mostrare agli elettori che terrà alta l’attenzione sulle accise, ma il Carroccio è ormai rassegnato a rimanere intorno al 10 per cento in Lombardia, doppiato (o peggio) da Fratelli d’Italia.
Le elezioni regionali in Lombardia si avvicinano (si vota il 12 e il 13 febbraio) e la Lega non ha quasi nulla da offrire al suo elettorato di riferimento. O meglio, questo è il timore dei leghisti lombardi, delusi per il mancato taglio delle accise da parte del governo.
Pur sottolineando ripetutamente che si tratta di un sostegno che finisce in tasca a tutti e non agevola soltanto i redditi più alti, uno dei parlamentari lombardi ammette: «Il problema c’è, anche perché la riduzione delle accise è una battaglia storica della Lega».
In effetti il partito fondato da Umberto Bossi combatte da tempo su questo argomento. Nel 2018 Matteo Salvini, in un video su Facebook, faceva il gesto delle forbici per dare più sostanza alle sue promesse di tagliare almeno sette accise sul prezzo del carburante, come quelle per il finanziamento della guerra d’Etiopia e quella della ricostruzione dopo il disastro del Vajont nel 1963. Non è riuscito a farlo durante il governo Draghi, l’ultimo prima delle elezioni, ma neanche durante quello gialloverde, quando aveva scaricato la responsabilità del mancato taglio sugli alleati di governo di allora, i Cinque stelle.
Anche stavolta i leghisti cercano di prendere le distanze. «Non siamo stati mica noi. La presidente del Consiglio si chiama Giorgia Meloni», dice un funzionario del partito. C’è anche chi spera che il mancato rinnovo dello sconto colpisca maggiormente FdI: «Quel tipo di decisioni toccano il voto d’opinione, che in questo periodo è su Fratelli d’Italia».
Feudo a rischio
Ma i timori in vista delle elezioni regionali aumentano. Anche perché le previsioni sono tutt’altro che rosee. I leghisti hanno messo in conto un risultato elettorale che non supererà il 10 per cento, mentre Fratelli d’Italia potrebbe doppiare il Carroccio, o fare addirittura meglio del 20 per cento. Nel 2018 la Lega sfiorava il 28 per cento e il partito di Meloni si fermava sotto il 4. Una situazione gravissima per quello che storicamente è stato il feudo della Lega – non a caso, dopo la stagione di Roberto Formigoni, i presidenti della regione sono stati i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontanhttp://www.editorialedomani.it/tag/attilio fontanaa, che oggi cerca il suo secondo mandato – dove Salvini cerca di farsi vedere sempre più spesso ultimamente.
«È stato a Lecco, Brescia ma sappiamo che con la testa è a Roma» dice un leghista di lunga data. «Ormai il territorio si fida più di Giancarlo Giorgetti, che almeno ha portato a casa la flat tax. Salvini inaugura cose, il nostro ministro dell’Economia è più concreto». Insomma, in regione il clima è teso: anche perché dalle liste sono rimasti fuori tanti ex parlamentari che non sono stati rieletti e per il momento non hanno trovato ancora una nuova collocazione.
«Il caro benzina non è la cosa che si soffre di più in una regione così ricca» dice un parlamentare lombardo. Eppure, il mancato intervento sulle accise rischia di irritare un elettorato a cui il partito, oggi, ha veramente poco da offire. «Anche sull’altra cosa a cui tengono i lombardi, l’autonomia, non abbiamo fatto passi avanti. È sbagliato l’approccio: avremmo dovuto muoverci come il Trentino-Alto Adige, lavorando su ogni materia singolarmente. Così sono troppo temi – di cui alcuni potrebbero rimanere anche tranquillamente allo stato – e sappiamo chi troppo vuole nulla stringe».
In effetti Meloni ha legato l’autonomia al presidenzialismo. E quello che doveva essere un intervento lampo del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, si sta trasformando in un logorante confronto tra governo, ministero e Conferenza delle regioni.
Un insieme di cose che porta i leghisti a rassegnarsi e a mettere da parte le proprie ambizioni in Lombardia. «Ci vorrebbe un coniglio che esca dal cilindro, a tre settimane dal voto non c’è modo di invertire il trend».
Nel dubbio la Lega promette agli elettori di tenere alta l’attenzione sul tema. «È probabile che nelle prossime settimane, invece, il Consiglio dei ministri vari ulteriori misure che siano più puntuali a favore delle famiglie e dei lavoratori più svantaggiati. Se dovesse perdurare questa situazione, come è successo in queste settimane, il governo interverrà» ha detto ieri il sottosegretario al ministero dell’Impresa e responsabile economico della Lega, Massimo Bitonci. «Devono sapere che teniamo il fiato sul collo a Meloni» spiegano gli uomini di partito. E senz’altro anche l’incontro di ieri tra la premier, i due vicepresidenti del Consiglio, Salvini e Antonio Tajani, e il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sul tema dell’immigrazione è stata l’occasione, per il leader della Lega, per ribadire a Meloni che sul tema della benzina e delle accise è meglio non fare scherzi.
© Riproduzione riservata