La premier promette nuovi stanziamenti per le regioni meridionali, ma ora il decreto di Fitto cancella i finanziamenti già pronti da tempo. Con la ministra Carfagna, il governo Draghi aveva avviato il percorso per ripartire le risorse stanziate dalla legge sul federalismo fiscale
Il governo conferma il taglio di oltre 3 miliardi e mezzo di euro destinati al Mezzogiorno per la costruzione di strade, aeroporti, acquedotti. Ma anche per la riduzione dei gap sui servizi per la scuola e la sanità. Nessuna marcia indietro sulla cancellazione dell’apposito fondo messo a disposizione per le infrastrutture al Sud.
Dietro la propaganda si svela il volto di una destra che osteggia il Meridione. E, mistificando i fatti, Giorgia Meloni racconta addirittura di aver stanziato delle risorse. In un video, diffuso sui suoi canali social, parla «dell’istituzione del fondo perequativo infrastrutturale». Solo che il fondo è stato solo rinominato per essere svuotato. E cancellato per sempre.
«Con il governo Meloni siamo oltre il gioco delle tre carte. Da mesi denunciamo il taglio del fondo perequativo infrastrutturale e oggi il governo rilancia con orgoglio la nascita di un fondo perequativo infrastrutturale. Peccato che non sia nulla di diverso rispetto al vecchio fondo in cui era rimasto circa un miliardo di euro, che continua a non essere rifinanziato», ribadisce a Domani Marco Sarracino, deputato del Pd.
Addio soldi
L’operazione era stata orchestrata in legge di Bilancio. L’esecuzione è maturata solo ora, tra aprile e maggio, nel decreto Coesione, uno degli ultimi provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri. A oggi non è stata decisa la destinazione delle risorse tagliate.
Resta agli atti il battage di Matteo Salvini e degli alleati sul Ponte sullo Stretto per inseguire una maxi opera dai tempi indefiniti, a discapito di cantieri che potevano essere aperti fin dai prossimi mesi. La firma ufficiale sul taglio di oltre 3 miliardi e 600 milioni di euro è stata apposta dal ministro Raffaele Fitto, competente per materia, che pure ha la sua roccaforte elettorale nel Meridione.
Il testo del decreto Coesione, approvato la scorsa settimana, mette nero su bianco il progetto della destra meloniana: viene abrogata definitivamente la dotazione di 4,6 miliardi di euro prevista da una legge del 2009. La disposizione è stata firmata da Roberto Calderoli, che l’aveva confezionata per dare attuazione al federalismo fiscale varato dal governo Berlusconi.
Le risorse avrebbero dovuto garantire, dal 2022 fino al 2033, degli interventi per costruire o potenziare le infrastrutture di vario tipo nel Mezzogiorno. Al posto di quel fondo il governo Meloni ne ha effettivamente istituito un altro, con lo stesso nome, e che sostituisce il precedente.
La differenza è nella sostanza: ci sono 940 milioni da spendere in totale per il prossimo decennio. Un raffronto impietoso rispetto ai precedenti stanziamenti. Nel 2024 il plafond, indicato dal governo in carica, ammonta a 50 milioni di euro e a 140 milioni nel 2025, calando a 100 milioni annui fino al 2033.
Nella precedente versione, lo stanziamento era di 300 milioni di euro all’anno dal 2024 fino al 2027, per salire a 500 milioni annui dal 2028 al 2033. La cifra che Meloni mette sul piatto in totale vale meno di un triennio rispetto al fondo precedente. Insomma, una mannaia che si abbatte sullo sviluppo del Sud, spazzando via preziose risorse.
Questa volta non funziona nemmeno lo scaricabarile su chi c’era prima, una strategia perseguita costantemente sul Pnrr. Il governo Draghi aveva lasciato una buona eredità, dando la possibilità di rendere esecutivi gli investimenti e recuperando i ritardi accumulati negli anni precedenti.
La norma, in effetti, era stata lasciata a bagnomaria da vari governi ed è stata recuperata dall’allora ministro Francesco Boccia, durante il Conte II. Ma ancora di più Mara Carfagna, da ministra del Sud, ha dato impulso alla ricognizione infrastrutturale prevista dalla legge. Lo scopo era di indicare le priorità degli interventi e collocare le risorse su progetti concreti per offrire delle risposte tempestive. Una sorta di Pnrr in miniatura ante litteram.
Bandiera ammainata
Così, nel giugno del 2022, i decreti attuativi erano dati in dirittura d’arrivo per stabilire una volta per tutte il riparto pluriennale delle risorse. Si attendevano, dunque, gli ultimi passaggi formali. Le tensioni politiche nella maggioranza di larghe intese hanno però bloccato tutto.
La caduta del governo Draghi e le conseguenti elezioni hanno messo il fondo in stand-by. Dalla destra meloniana, che ha sempre sventolato la bandiera del rilancio del Sud, si attendeva però la ripresa di quel filo. Magari con maggiore vigore. La storia è andata diversamente. Nella manovra, come svelato da Domani, il fondo perequativo risultava già depotenziato.
Il partito di Meloni ha sempre negato, nonostante l’evidenza. «I tagli non rappresentano un definanziamento della crescita del Sud, ma fanno parte di una riprogrammazione delle risorse che riguarda anche i fondi del Pnrr», aveva dichiarato il senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini. Nei fatti occorreva il colpo del ko al fondo arrivato nel decreto Coesione.
«Altro che patrioti. Dopo il taglio del reddito di cittadinanza, il no al salario minimo, l’accentramento della zes, la cancellazione di “decontribuzione sud” e l’autonomia differenziata, siamo dinanzi all’ennesimo atto e all’ennesima presa in giro nei confronti del Mezzogiorno», incalza Sarracino.
Insomma, l’ennesimo sgarbo al Sud.
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