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Nel cerchio magico del leader del M5s ci sono l’avvocato Alpa e Luca Di Donna, un docente che ha incassato milioni in consulenze.
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I rapporti con Centofanti e l’entourage del “suocero”, Paladino. La vera storia di Di Majo, nuovo membro del cda Rai e l’amicizia con il giudice Di Marzio.
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Tra nomine e concorsi universitari, ecco relazioni e conflitti di interesse dell’avvocato del popolo (o del sistema?).
«Quando ho visto che Giuseppe Conte era stato scelto per fare il presidente del Consiglio, ho capito che il M5s come lo conoscevamo era morto: il sistema era riuscito a mettere alla leadership di un movimento antagonista un avvocato d’affari contiguo all’establishment, con l’obiettivo di normalizzarlo. Così è stato».
Ascoltare una fonte che lavora allo studio di Guido Alpa (vecchio mentore dell’ex premier), spulciare contratti riservati e documenti di concorsi universitari permette di analizzare meglio il fenomeno Conte. E il percorso che ha permesso a un barone universitario semisconosciuto, con formazione democristiana e disponibile a chiudere fino al 2017 business milionari lavorando con professionisti condannati per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, di diventare il capo assoluto di un partito giustizialista, nemico giurato dei poteri forti e difensore degli ultimi e dei dimenticati.
“L’avvocato del popolo”, fortunata invenzione di Rocco Casalino, è infatti un avvocato d’affari vecchia maniera, che spesso ha lambito conflitti di interessi plurimi (tanto invisi alla propaganda pentastellata) e frequentatore di salotti che appaiono lontani anni luce dagli ambienti del grillismo doc. Ancora oggi un pezzo dei Cinque stelle teme che la scelta di incoronare Conte nuovo leader sia stata un errore madornale, mentre molti s’interrogano su chi siano davvero i consiglieri dell’ex premier e quali i suoi referenti fuori dal partito.
Domanda che, in vista della riorganizzazione del M5s, si fanno sia i fedelissimi della sua corrente (tra loro ci sono, per ordine di influenza sul leader, Mario Turco e Rocco Casalino, subito dietro svettano Alfonso Bonafede, Vito Crimi, Paola Taverna e Stefano Patuanelli), sia i gruppi rimasti fedeli a Luigi Di Maio e a Beppe Grillo. Garante che solo tre mesi fa dava a Conte dell’assoluto incapace, perché privo di «visione politica e capacità manageriali», e che ha recentemente blindato il comitato di garanzia del M5s – in grado di sfiduciare lo stesso presidente – inserendo due antagonisti dell’ex premier come Virginia Raggi e Di Maio.
Nel regno di Alpa
Partiamo dal vertice della piramide. Nel cerchio magico di Conte il più ascoltato resta Guido Alpa. I rapporti tra i due sono ottimi. La coppia si incontra a cena spesso e volentieri (spesso il mercoledì), dove discutono di alleanze (dal Senato raccontano che anche la presidente Maria Elisabetta Casellati qualche mese fa partecipò a un pranzo a tre) e prospettive politiche: Alpa non ci ha messo direttamente le mani, ma ha dato più di un consiglio anche nella stesura del nuovo statuto del M5s, pietra del rancore mai sopita tra il neopresidente e Grillo.
Quando Conte era a palazzo Chigi i rapporti erano diventati per motivi di opportunità meno frequenti, tanto che i due usavano come ufficiale di collegamento per messaggi e informazioni delicate lo sconosciuto Gabriele Cicerchia, da anni factotum dello studio Alpa, che Conte fece assumere nel suo staff di palazzo Chigi come «collaboratore del capo di gabinetto» Alessandro Goracci. Con uno stipendio da 75mila euro l’anno.
Durante il premierato, i legami hanno avuto anche dei bassi. A causa, dicono i maligni, del timore di Conte di essere associato ai gruppi di potere di cui il maestro è da sempre espressione. Nonostante il rapporto intimo sia stato per il giurista di Volturara Appula assai fecondo: diventato collaboratore preferito del numero uno di una grande scuola giuridica nazionale, ottenuto un ufficio personale nello studio di Alpa a piazza Cairoli, l’ex premier prima di entrare in politica ha accumulato incarichi accademici in progetti spesso curati da Alpa, che ne hanno propiziato la scalata all’università, le buone relazioni. E gli affari.
Tra i tanti, ricordiamo le consulenze da 400mila euro ottenute dal lobbista Fabrizio Centofanti e Francesco Bellavista Caltagirone per il concordato della società Acqua Marcia, finite al setaccio delle procura di Perugia e di Roma dopo le dichiarazioni di Piero Amara (Conte non è indagato, ma c’è un’inchiesta a piazzale Clodio per bancarotta fraudolenta ancora aperta). Oltre la compravendita milionaria dell’hotel di Venezia Molino Stucky. Un affare dove l’integerrimo avvocato, di fronte a una ricca parcella, non disdegnò di lavorare fianco a fianco con un architetto già condannato per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, il pregiudicato Arcangelo Taddeo, consulente con Conte del gruppo Marseglia che si accaparrò l’hotel a prezzi di saldo. Conte ha dato pareri anche al finanziere Raffaele Mincione – ex cliente di Alpa oggi imputato per truffa in Vaticano – impegnato nella scalata Retelit.
Ma dissidi tra l’ex presidente del Consiglio e Alpa ci sono stati anche a settembre 2018, quando l’anziano docente sperava che il suo protegé prendesse la cattedra di diritto privato alla Sapienza di Roma che lui stava lasciando causa limiti d’età. Conte non ritirò la domanda nonostante fosse ormai diventato premier, ma fu costretto a sfilarsi dopo che la notizia del concorso, raccontata da chi vi scrive, fu rilanciata da alcuni media internazionali.
I conflitti di interesse erano tanti, e non riguardavano solo il nuovo status politico di Conte: presidente della commissione che avrebbe dovuto giudicarlo era stato infatti designato Enrico Del Prato, un ordinario che arrivò alla Sapienza grazie a una procedura selettiva vinta anni prima (presidente della commissione che lo premiò era Alpa), e che nel 2017 aveva indicato lo stesso Conte come presidente di un arbitrato milionario alla Camera arbitrale di Milano.
L’amico Di Donna
Intrecci tipici del malcostume accademico italiano, da sempre stigmatizzati dai grillini ma, nel caso di Conte, giustificati o ignorati. Come il tema del merito: il nuovo capo politico non sembra intenzionato a ricorrere, nella struttura del partito che verrà, ai migliori e ai più capaci, ma ai fedelissimi dell’inner circle. Il Fatto Quotidiano ha ipotizzato che nel lancio della nuova scuola di formazione del M5s possa essere coinvolto l’avvocato Luca Di Donna, definito uomo «molto apprezzato dall’ex premier».
Non sappiamo se la nomina andrà in porto, ma certamente Di Donna – anche lui enfant prodige dello studio Alpa – è uno degli amici più cari del neopresidente grillino. «Conte, Di Donna e Guido formano una triade indissolubile», chiosano dallo studio del maestro, da dove Conte ha attinto anche per l’assunzione del 29enne Andrea Benvenuti, suo ex segretario particolare a palazzo Chigi. Anche Di Donna entrò giovanissimo nelle grazie dell’anziano giurista, che prima lo volle come allievo, poi collaboratore di studio. Anche oggi i due sono inseparabili: il nuovo ufficio di Di Donna è a un piano di distanza da quello di Alpa, sempre a piazza Cairoli a Roma.
Un’amicizia che ha portato fortuna: Di Donna, come Conte, ha bruciato tutte le tappe accademiche ed è diventato a poco più di 40 anni ordinario di diritto privato europeo alla Sapienza. Un record, nonostante qualche invidioso creda che le sue pubblicazioni scientifiche non giustifichino una carriera così veloce e brillante. Certamente non la pensava così l’ex sottosegretario Sandro Gozi, che lo volle come suo consigliere giuridico nel 2016-2018 nel dipartimento dove lavorava, come segretario di Gozi, anche Mario Benotti, il giornalista indagato per traffico di influenze per aver ottenuto una mega provvigione milionaria intermediando tra il commissariato straordinario per l’emergenza Covid guidato al tempo da Domenico Arcuri e alcune aziende cinesi di mascherine, che ottennero una commessa superiore al miliardo di euro. «Mai conosciuto Di Donna», dice Benotti a Domani.
L’amico di Conte ha rapporti amicali con Luigi Bisignani, e con un pezzo importante dei salotti che contano. La nuova rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, lo stima così tanto da avergli affidato la responsabilità degli Affari legali dell’ateneo. In attesa di possibili incarichi nel M5s (che lui smentisce ai suoi amici), a gennaio 2021 l’ex ministro Bonafede lo ha nominato presidente della commissione di esami di avvocato a Roma, su proposta dell’ordine degli avvocati di Roma.
Di Donna cura con grande attenzione anche il suo business: dal diritto societario ai contratti del settore delle scommesse, da arbitrati a consulenze varie, il suo conto in banca recentemente si è assai gonfiato. A Domani risulta che tempo fa la lussemburghese Pop 12 sarl di Mincione ha pagato a Di Donna una consulenza per Banca Carige circa 100mila euro, mentre altre 160mila euro sono arrivati da Condotte, una spa immobiliare finita in amministrazione straordinaria per cui il legale è consulente. Soldi a palate sono arrivati anche da società finanziarie straniere (oltre 680mila dalla finanziaria bulgara BN Consulting) e da aziende specializzate in alimenti per neonati. Gli affari dell’amico del presidente vanno così a gonfie vele che in tre anni il secondo allievo prediletto di Alpa è riuscito, a leggere i documenti del catasto, a comprarsi tre meravigliosi appartamenti contigui nel centro di Roma di fronte a Castel Sant’Angelo: 374 metri quadri complessivi, per una spesa di oltre due milioni di euro. Di Donna, sentito al telefono, spiega che per questioni di privacy non può parlare della sua clientela. Ma un’altra fonte a lui vicina dice che «i business di Luca sono tutti puliti e trasparenti, frutto solo del suo lavoro di avvocato. Conte? Non gli ha mai dato nulla, Di Donna s’è fatto da solo con lo studio e il sudore».
Cerchio magico
Gli amici che frequenta dell’avvocato del popolo, di certo, con il popolo inteso in senso grillino sembrano avere poco da spartire. Nell’entourage ristretto del presidente c’è un pezzo dell’establishment nazionale: l’ex capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione, che ha perso il posto dopo i pasticci sul caso Mancini-Renzi ma resta fidato suggeritore del professore, l’ex commissario straordinario Arcuri, anche lui silurato dal governo Draghi dalle inchieste sulla struttura commissariale in seguito alla vicenda Benotti, l’ambasciatore Pietro Benassi ed Ermanno De Francisco. Quest’ultimo è un magistrato amministrativo che Conte conobbe anni fa a casa del potente avvocato Andrea Zoppini, e che con Conte è diventato capo del dipartimento affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi. Per la cronaca, De Francisco la settimana scorsa ha denunciato per calunnia Pietro Amara, dopo che i media hanno pubblicato un verbale dove l’ex legale dell’Eni lo cita tra gli appartenenti della fantomatica Loggia Ungheria.
Ma referenti di Conte sono diventati pure Gerardo Capozza, attuale segretario generale dell’Aci che lavora con il grillino per creare reti relazionali al sud, il padre della fidanzata Olivia (cioè il ricco immobiliarista Cesare Paladino, proprietario dell’hotel a 5 stelle Plaza) e l’aristocratico Giovanni Caffarelli, figlio di un duca e console onorario delle isole di Samoa. Proprietario di palazzi e negozi in via Condotti a Roma, Caffarelli è finito sui giornali per aver organizzato – con il suo comitato R3R Roma Tridente – proteste contro la sindaca Raggi per il degrado del centro storico della capitale.
Un affezionato di Conte è anche Alessandro di Majo, che lo scorso luglio Giuseppe ha imposto come membro del cda della Rai nonostante i mugugni di un pezzo rilevante dei parlamentari pentastellati che volevano eleggere, dopo una serie di colloqui interni, il professore Antonio Palma. Di Majo, infatti, non lo conosceva nessuno. È però certo che è il figlio di Adolfo, noto civilista, ex collega di Alpa alla Sapienza e influente avvocato romano. Alessandro ha lavorato quasi sempre nello studio del papà, fino al gennaio del 2018, quando la famosa terza commissione del Csm (quella finita nella scandalo Palamara) lo nominò consigliere di cassazione per «meriti insigni».
Un incarico importante che a sorpresa Di Majo lasciò dopo meno di un anno con dimissioni irrevocabili che oggi qualche maligno imputa a screzi con la presidente della sezione tributaria Camilla Di Iasi, considerata giudice severa e integerrima. Di Majo junior, che non ha mai preso l’abilitazione all’insegnamento universitario, ha però cambiato idea un’altra volta poche settimane dopo, provando a revocare le sue stesse dimissioni irrevocabili. Dopo il niet del Csm e del ministero di Giustizia, l’avvocato non si è arreso e di recente ha fatto addirittura istanza al Tar per farsi reinsediare. Ma ha perso. Anche il Consiglio di stato nel 2020, in appello, gli ha dato torto. Il mistero sul perché delle dimissioni resta insoluto, così come il motivo per cui Conte nonostante il pasticcio abbia voluto a tutti i costi piazzare l’amico (che secondo la Stampa ha incredibilmente rifatto domanda al Csm per rientrare in Cassazione) nello strategico board della televisione di stato.
Gemelli diversi
Ma il vero gemello diverso di Conte si chiama Fabrizio Di Marzio, un avvocato cassazionista che frequenta l’ex premier da vent’anni, con intrecci relazionali che disegnano una ragnatela di rapporti finora sconosciuti. Se è già noto che i due sono co-direttori della rivista Giustizia Civile edita da Giuffrè e che, come scoprì Domani, l’ex socia di Di Marzio, l’avvocato Giuseppina Ivone, fu assunta insieme a Guido Alpa e Conte dall’imprenditore Fabrizio Centofanti per alcune consulenze per il concordato Acqua Marcia, in pochi sanno che Di Marzio è diventato da poco professore ordinario all’Università di Chieti-Pescara.
Un sogno diventato realtà al fotofinish, dopo che l’abilitazione a professore di prima fascia presa nel 2013 stava per scadere. Nell’ottobre del 2019 l’amico di Conte ha infatti vinto una procedura selettiva sconfiggendo altri agguerriti concorrenti. Presidente della commissione giudicatrice è stato Claudio Scogliamiglio, professore a Tor Vergata e direttore di una delle aree di Giustizia Civile, il giornale diretto da Conte.
Ciascun commissario, Scogliamiglio compreso, ha dichiarato «la non sussistenza di collaborazioni (con i vari candidati, ndr) che presentino i caratteri della sistematicità, stabilità, continuità tali da dar luogo a un vero sodalizio professionale», come si legge nei verbali del concorso. Scogliamiglio non ha dunque ritenuto rilevante il fatto che il candidato che doveva giudicare fosse il capo della rivista scientifica di cui lui è direttore d’area. Di Marzio, sentito al telefono, dice: «Nessuna inopportunità: io e Claudio non abbiamo mai avuto nessun tipo di rapporto economico. Conosco centinaia di colleghi con cui ho lavorato o scritto libri e pubblicazioni: con questo ragionamento mi sarebbe impossibile partecipare a un concorso».
Il rischio di conflitti di interesse riguarda però anche altre evidenze: Renato Scogliamiglio, papà di Claudio, è stato uno dei primi maestri di Conte, co-direttore (seppur autosospesosi tra giugno 2018 e febbraio 2021) con Di Marzio. Mentre qualche mese dopo la promozione di Di Marzio, risulta che Conte abbia piazzato Andreina Scogliamiglio, sorella di Claudio, come membro della Commissione nazionale sulle grandi opere. Oltre a lei l’ex premier ha nominato nell’organismo il capo della protezione civile Fabrizio Curcio e Rosaria Giordano, una ex collaboratrice del suo staff a palazzo Chigi e, ça va sans dire, tra gli animatori della rivista.
Questioni di opportunità ed etica pubblica, nonché guerre alle baronie universitarie, sono state per anni alla base della propaganda grillina. Ma a Conte si perdona tutto. Amici comuni sostengono che l’ex premier avesse promesso a Di Marzio nientemeno che il posto di segretario generale a palazzo Chigi, e che il neoprofessore sia rimasto dispiaciuto per aver avuto nel 2020, su nomina diretta del solito Bonafede, solo una poltrona (comunque prestigiosa) nel comitato direttivo della scuola superiore della magistratura.
Una posizione per cui Di Marzio nel 2016 aveva già fatto domanda, ma che il Csm gli aveva negato. «Conte non mi ha mai promesso nulla. Certo, mi stima molto: sono certo che se avessi chiesto qualcosa, l’avrei ottenuta. Ma ho preferito fare il giudice e non entrare nell’amministrazione pubblica», ragiona il professore.
Tornando a Centofanti, l’Espresso pubblicò qualche mese fa un video dove era in compagnia di Conte e Di Marzio a un vernissage. Il lobbista, che ha da poco patteggiato 1,6 anni di carcere per corruzione nell’inchiesta su Palamara, conferma di conoscere assai bene il presidente del movimento. «Ho frequentato Conte sia prima sia dopo avergli dato la consulenza in Acqua Marcia da 400mila euro. Per cinque anni lui e Di Marzio mi hanno fatto organizzare gli eventi della loro rivista. Loro non mettevano un euro: io guadagnavo solo se trovavo gli sponsor per i loro meeting. Una volta Conte mi ha anche chiesto di fare un convegno al Gran Hotel Plaza. All’inizio non capii perché. Solo dopo ho saputo che era l’albergo era del “suocero” di Conte».
In effetti, una fattura ottenuta da Domani evidenzia che la società Cosmec di Centofanti ha sborsato al Plaza dei Paladino circa 8mila euro per l’affitto di una sala per un convegno di Giustizia Civile intitolato “Concisione e sobrietà negli atti giudiziari”. Era il 5 maggio 2017: Conte non si privò dell’aiuto dell’imprenditore nonostante il nome dello stesso fosse uscito un mese prima su tutti i giornali perché indagato e perquisito per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che porterà i magistrati sulle tracce di Amara.
La presenza di Di Marzio e Conte al vernissage del 2021 non è casuale: oltre alle riviste giuridiche e alle relazioni, la coppia di amici ha in comune la medesima passione per l’arte. Di Marzio, soprattutto, ha un debole per la pittura: artista a tempo perso, da anni organizza mostre personali grazie all’amico Matteo Smolizza, un gallerista che ha curato anche la pubblicazione del catalogo delle opere dell’ex magistrato di Cassazione (ma Di Marzio fu pure giudice fallimentare a Roma). Titolo: “Paradise”.
Smolizza è titolare della casa d’aste Bonino, che – scopriamo – ha lavorato spesso insieme alla ex socia di studio di Di Marzio, la Ivone, anche lei nel comitato scientifico di Giustizia Civile. Come nel fallimento del gruppo Angelini. Ma anche nel concordato Acqua Marcia il mercante d’arte si è trovato consulente. Il suo compito è stato quello di mettere all’asta quadri e mobili degli hotel siciliani a cinque stelle un tempo gestiti da Bellavista Caltagirone e Centofanti.
Il lobbista dice di non conoscere Matteo. Ma certamente conosce assai bene il di lui padre Aldo Smolizza, che fu consulente al personale di Acqua Marcia prima del crac. Smolizza senior fu infatti dirigente della Croce rossa, l’ente di volontariato in cui Centofanti iniziò la sua carriera.
Domani ha scoperto che Aldo è stato condannato di recente dalla Corte dei Conti, insieme all’ex commissario della Croce Rossa Maurizio Scelli, a risarcire in solido un danno erariale da ben 900mila euro. Chi ha difeso in questi anni Smolizza nei vari procedimenti davanti ai magistrati contabili? Naturalmente Guido Alpa e Giuseppe Conte: per gli amici degli amici si fa questo e altro.
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