- Al senato la prima riunione dei capigruppo sulle leggi bipartisan da portare nelle camere. Solo Fdi dice no. Il rischio è fare nulla o spaccare la maggioranza di governo.
- l Pd ha già individuato una serie di temi, su buona parte dei quali ci sono già testi depositati nelle diverse commissioni, a Montecitorio e a palazzo Madama, ma alcuni sono molto «divisivi» per la maggioranza di governo.
- Insomma, l’oggetto della discussione rischia di essere impalpabile, nel migliore dei casi; in quello peggiore, di mettere in ulteriore difficoltà la già traballante maggioranza. Presto si replica anche alla camera.
Clima «positivo» secondo la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi, ma la prima riunione dei capigruppo in Senato sulla cosiddetta “agenda Mattarella” si è limitata, per ora, a una discussione generale. Il titolo di “agenda” riferito al capo dello stato, è suggestivo ma forzato, come ha spiegato ieri la giurista Vitalba Azzollini.
In concreto si tratta di una proposta di lavoro del segretario democratico Enrico Letta rivolta all’intero parlamento per dar seguito al discorso che il presidente della Repubblica ha tenuto nel giorno del suo secondo giuramento. Il Pd ha già individuato una serie di temi, su buona parte dei quali ci sono già testi depositati nelle diverse commissioni, a Montecitorio e a palazzo Madama: dalla riforma del reddito di cittadinanza alle «autonomie locali» – leggasi autonomia differenziata – all’immigrazione (in commissione giacciono molte proposte di abolizione della legge Bossi-Fini), alla legge sui “caregiver” e quella «salvamare» sui rifiuti raccolti da navi e pescatori; a quella sull’economia circolare dei rifiuti. Ma come è facile capire, alcuni di questi temi sono molto «divisivi» per la maggioranza di governo.
Alla riunione lo ha sottolineato il presidente dei senatori leghisti Massimiliano Romeo, che con Italia viva è tra i responsabili dell’affossamento della legge Zan contro l’omofobia, un testo su una questione squisitamente parlamentare.
Altri invece sono di competenza del governo, come la riforma del reddito di cittadinanza. Insomma, l’oggetto della discussione rischia di essere impalpabile, nel migliore dei casi. In quello peggiore, di mettere in ulteriore difficoltà la già traballante maggioranza del governo Draghi.
Riconquistare centralità
A Montecitorio il presidente Roberto Fico promette una convocazione ad hoc per definire gli strumenti parlamentari e aprire «una sessione di lavoro». Al Senato quella di ieri «è stata una prima riunione interlocutoria per provare a costruire insieme una sorta di prima bozza comune su cui iniziare a lavorare», spiega Malpezzi, «non siamo ancora entrati nel merito dei temi ma abbiamo registrato la volontà di avviare un lavoro che possa concretizzarsi nei prossimi mesi in un percorso comune che veda il parlamento protagonista nell’approvazione di una serie di provvedimenti che affrontino temi sollecitati dal presidente Mattarella».
Magari riconquistando alle camere la centralità persa negli anni della pandemia e dei provvedimenti di urgenza. Che però resta il punto sensibile della discussione: nei mesi in cui viene incardinato il secondo step dei fondi del Pnrr, il lavoro del parlamento è particolarmente intrecciato a quello del governo. E il rischio è che non diventi l’uno intralcio per l’altro.
Le possibilità del pasticcio ci sono tutte: non a caso i Cinque stelle chiedono di rendere permanente il tavolo per «abbinare l’agenda dell’esecutivo a quella del parlamento» sui «45 obiettivi per avere ulteriori 24 miliardi, ed entro dicembre gli altri 55 obiettivi per i successivi 21 miliardi». Fratelli d’Italia, dall’opposizione, è scettica sull’iniziativa e chiede di riversare tutto il pacchetto in una istituzione «neutra», ovvero «un’assemblea costituente per la modifica della seconda parte della Costituzione», da varare con legge costituzionale. Che però è un modo per dire no senza dirlo, e lanciare la palla in tribuna.
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