In tutto il perimetro del Circo Massimo non c’era un uniforme, un volto rassicurante, un appiglio. E dunque, una volta abbandonata l’area e attraversata la strada che mi separava dall’inizio di via dei Cerchi, ho raggiunto i poliziotti lì fermi e senza alcuna possibilità di vedere la spianata del Circo Massimo.
Pensavo alla storia del Circo Massimo, a quanta vita è passata di lì, alle gare tra quadrighe, alle feste dedicate agli dei, e poi i raduni politici, i mercati, le naumachie, i gladiatori, le mostre, le feste dello scudetto, i concerti.
Finché un giorno, quel prato calpestato dalla storia, è diventato il luogo in cui si incontrano violenti, frustrati, ignoranti, egoisti, disinformati, arroganti e opportunisti, tutti sotto un’unica bandiera: quella di chi cerca un posto nel mondo.
Che poi sia il posto di chi crede che i poteri forti ci stiano iniettando grafene, il ferromagnetismo orbitale ci attirerà ai confini della terra che è ovviamente piatta e oltre le colonne d’Ercole c’è solo Davide Barillari, poco conta.
I “no- tutto” sentono finalmente di esistere in funzione del continuo, petulante, irragionevole no a qualsiasi cosa. «É inutile che insistete, che volete da noi, noi non ci vaccineremo mai, noi combatteremo fino alla morte per il nostro diritto, il diritto di fare quel che cazzo ci pare!», mi ha detto sabato uno di loro al circo Massimo, poco prima della testata del gladiatore di Manziana, Roberto Di Blasio. E quello, forse, tra i tanti momenti “lunari” della giornata, è stato l’unico autentico.
Quell’uomo mi stava spiegando con rara efficacia questo passaggio della storia. Perché dopo averli visti così da vicino, posso affermare con certezza che qualsiasi tentativo di persuasione a vaccinarsi, con questi individui, avrebbe le stesse percentuali di successo di un invito alla finale regionale di pole dance per Mario Draghi.
Dunque, i problemi da risolvere sono proprio la testata, gli insulti, le frasi sessiste, l’atteggiamento intimidatorio, le minacce, l’arroganza di questa gente.
Questi raduni feroci e sconclusionati, che servono solo ad ammantare di senso e lotta politica delle sgangherate gite fuori porta di compagni di scuola troppo cresciuti e troppo assenti a tutte le lezioni, da quelle di italiano a quelle di storia.
Sabato pomeriggio, in assenza di psicologi e fini persuasori che avessero tempo da perdere con questi individui, mi aspettavo almeno di poter contare sulle forze dell’ordine. Le ho cercate più volte, al Circo Massimo, dopo la testata, prima della testata, mentre ero accerchiata da decine di persone che mi urlavano “terrorista”, “infame”, “ammazzati”, quando due energumeni mi inseguivano, quando mi minacciavano di spaccarmi la faccia.
E non c’ero solo io, a fare il mio lavoro. C’erano molti giornalisti di varie testate, forse più al sicuro perché una donna con un telefonino deve aver suggerito meno prudenza nell’esporsi e nell’aggredire di un uomo accompagnato da un operatore con una camera a spalla.
Non ho potuto contare su nessuno.
Senza tutele
I giornalisti, noto bersaglio dei novelli gladiatori più da circo che da Circo Massimo, erano abbandonati al loro destino. Nonostante i precedenti, nonostante il clima, nonostante le liste di proscrizione su Telegram. «Vieni qui. Ti aspettiamo!», mi urlava qualcuno dal palco, dopo che alla fine sono stata identificata.
In tutto il perimetro del Circo Massimo non c’era un uniforme, un volto rassicurante, un appiglio. E dunque, una volta abbandonata l’area e attraversata la strada che mi separava dall’inizio di via dei Cerchi, ho raggiunto i poliziotti lì fermi e senza alcuna possibilità di vedere la spianata del Circo Massimo.
«Sono stata aggredita, i giornalisti rischiano molto laggiù, perché non andate nella spianata?», ho chiesto. «Noi non ci possiamo avvicinare alla piazza per non provocare disordini», mi è stato risposto. E ancora: «Il personale in uniforme non si può avvicinare a meno che non ci sia un ordine diretto».
Dunque, il no green pass non va innervosito, povera stellina. I poliziotti non gli devono rovinare la festa con quelle brutte divise che evocano regole e dittature. Resta solo da capire perché ci ostiniamo ancora a chiamarle forze dell’ordine, se la loro presenza crea disordine. Potremmo ribattezzarle forze del disordine oppure che so, emissari del caos.
Ma soprattutto, resta da capire cosa aspetti la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a comprendere che quel famoso “bilanciamento dei diritti” tra l’ordine pubblico e il diritto di manifestare, dovrebbe includere anche quello dei giornalisti di documentare in sicurezza.
A meno che qualcuno non abbia deciso che debba accadere qualcosa di così grave da rendere poi legittima una decisone più drastica. Nel frattempo, i no pass alzano l’asticella della violenza, i giornalisti cercano di salvare almeno quella degli occhiali.
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