Un milione e trecentomila firme contro l’autonomia differenziata sono state portate a casa, ma ora bisogna «trasformarle in 24 milioni di voti», dice dal palco il costituzionalista Gaetano Azzariti, «nessun dorma». Sabato mattina, Roma, Centro Congressi Frentani (già storica sede sindacale), la Cgil, la Uil e il comitato promotore del referendum hanno chiamato a rapporto tutti quelli che hanno partecipato all’epopea della raccolta delle firme, fortunatissima anche grazie alla piattaforma digitale.

L’assemblea nazionale è annunciata come una festa con tutti i protagonisti, e anche tutti i leader politici, un momento unitario di riorganizzazione della fase due della campagna, in attesa che la Consulta si pronunci sul quesito.

Il presidente del Comitato Giovanni Maria Flick non ha dubbi sull’ammissibilità del quesito: «Sono stato nove anni giudice della Corte costituzionale, pur essendo convinto, non faccio previsioni per rispetto e fiducia nella Corte e nei suoi componenti». Alla fine del dibattito, il cigiellino Christian Ferrari lancia l’idea di una giornata di mobilitazione nazionale.

Sul fronte referendum, dunque, fino a qui tutto bene. Sul fronte delle forze del centrosinistra che si sono lanciate nella battaglia – tutte tranne Azione – invece un disastro: stavolta la foto della coalizione extralarge non scatta. Giuseppe Conte dà forfait. In realtà non è l’unico, marca visita anche Nicola Fratoianni, e anche Maurizio Landini, leader della Cgil, e Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, entrambi sono assenti per malattia. 

Conte dà buca

È sul presidente dei Cinque stelle che aleggia il dubbio dell’assenza diplomatica: ormai il gelo con il Pd è dichiarato, e così la morte del «campo largo». Non avrà voluto incontrare Elly Schlein, che invece c’è e stringe mani e parla alle telecamere? Impegni precedenti, che non ha potuto spostare «dato il breve preavviso», lo giustifica e lo sostituisce la senatrice M5s Alessandra Majorino, giacca rosso Cgil.

Un colore che si nota, e che si vede uscire dalla sala casualmente mentre parla Schlein. Che dal palco invita tutti a spiegare che il ddl Calderoli «spacca il paese in due, e invece il paese avrebbe bisogno di essere ricucito, le diseguaglianze sono già enormi».

Poi attacca la maggioranza, che martedì ha convocato le camere per l’elezione di un giudice della Consulta, fin qui a lungo rimandata: «Non accetteremo alcun tipo di blitz sull’elezione dei giudici della Corte costituzionale. È gravissimo anche solo averlo appreso dalla stampa. Questa concezione proprietaria delle massime istituzioni della repubblica deve finire qui, e vederci tutti mobilitati a difesa delle garanzie democratiche». 

Ma è un messaggio anche alle opposizioni: ci sarà qualcuno che romperà il fronte e consentirà alla destra di portare a casa il risultato? A Conte fischiano le orecchie. Da quando ha votato per il cda Rai, e terremotato le alleanze delle regioni al voto (in Liguria ha fatto cacciare Iv, in Emilia-Romagna si è ritirato per la presenza di Iv, in Umbria non è ancora chiaro che vuole fare) dal Pd lo sospettano di intelligenza con il nemico, cioè con Meloni.

«Non allentare la tensione»

Intanto c’è da mettere insieme un intero popolo referendario, e cioè mezzo popolo italiano. Schlein chiede di «non allentare la tensione», Peppe De Cristoforo crede che il quorum sia alla portata, a patto di spiegare «il vero oggetto del contendere, ovvero la Costituzione repubblicana uscita dalla resistenza, su cui la destra non si riconosce».

Rosy Bindi chiede anche di smetterla con gli eccessi di pentitismo: «L’autonomia differenziata non è figlia della riforma del Titolo V, che pure non ho condiviso: una cosa è l’autonomia che unisce e colma le differenze, un’altra quella che divide, devolve alle Regioni 23 materie e 500 funzioni quindi demolisce la pubblica amministrazione come dice invece la propaganda leghista ma soprattutto buona parte del centrosinistra.

Il ddl Calderoli «è una porcata», dice Enzo Maraio, segretario Psi, la seconda dopo la sua legge elettorale, «Il nostro impegno è che Calderoli non resti alla storia come il ministro delle due leggi porcata». 

Boschi: uniti si vince

Anche Renzi non c’è, però lui non si è mai fatto vedere nel comitato referendario – la Cgil ha raccolto le firme anche su quattro quesiti sul lavoro, uno è per l’abolizione del suo Jobs Act –, la legale rappresentante di Iv qui è Maria Elena Boschi, che chiarisce lo spirito con cui il suo partito è nella compagnia: «Uniti si vince, divisi si perde».

Parla del referendum, ma a occhio anche della coalizione, e precisamente con Conte. Le risponde Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista: «Questa non è la rivincita del centrosinistra ma una battaglia per salvare l’Italia». 

Le risse nel centrosinistra danneggeranno la battaglia? No, giura Christian Ferrari, della segreteria della Cgil, «perché questa non è una battaglia di parte, non è una battaglia di schieramento ma una grande battaglia generale che vuole parlare a tutto il paese.

Abbiamo raccolto firme trasversali, sia geograficamente sia politicamente», «Parliamo a tutti gli elettori, compresi quelli di centrodestra, sappiamo che anche in quell'area politico-culturale c'è grande preoccupazione su questo progetto. Parliamo anche ad esponenti politici e amministratori del centrodestra». «La nostra non è una battaglia che divide sud e nord», insiste. Però il sindaco di Roma Roberto Gualtieri: «I presidenti del Sud hanno capito che è “una sola”, e che ricadrà addosso al loro».

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