Con l’aumento dell’aspettativa di vita, aumentano anche i malati, spesso senza una diagnosi: oggi in Italia sono già un milione e 480mila. L’appello dei familiari per il G7 della salute che si terrà ad Ancona: «L’Italia promuova una strategia globale per la malattia»
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo ci sono 55 milioni di persone che hanno una forma di demenza. Diventeranno 78 milioni entro il 2030 e 139 milioni entro il 2050. Ogni tre secondi una persona sviluppa una forma di demenza. In Italia si calcola che i malati siano un milione e 480mila (di cui il 50-60 per cento ha l’Alzheimer). Diventeranno 2 milioni e 300mila entro il 2050.
Ma non è solo questo: dietro a ogni malato c’è almeno un’altra persona che soffre. È il familiare che deve prendersene cura, il caregiver che spesso si trova ad affrontare un inferno senza avere abbastanza supporto. Si trova a vivere una vita annientata, tutta costruita intorno alle nuove esigenze di chi ama. Anche per questo ogni anno si celebra la Giornata internazionale per l’Alzheimer, sempre il 21 di settembre. È un modo per raccontare tutte queste persone che se ne stanno nell’ombra, ma che in realtà sono ovunque, e aspettano risposte dalle istituzioni.
«Quando parlo con i famigliari dei malati mi rendo conto che sono delle vittime nascoste», dice Katia Pinto, presidente della Federazione Alzheimer Italia, che unisce una cinquantina di associazioni in tutta Italia. «Scherzando dico che è come se fossero agli arresti domiciliari: devono sempre restare accanto alle persone che soffrono». Troppo spesso nessuno se ne accorge.
Non mi dimenticare
C’è un un romanzo a fumetti che racconta questa situazione di perenne incertezza, il mondo stravolto di chi vive accanto a una persona con demenza. La traduzione italiana è uscita quest’estate per Bao. Si intitola semplicemente Non mi dimenticare e lo ha scritto Alix Garin. È la storia di Clémence che si trova ad affrontare la perdita di lucidità della nonna.
Alla casa di riposo dove risiede vorrebbero sedarla, mentre lei continua a provare a fuggire. Clémence decide di rapirla perché pensa che ci sia solo un modo per ancorarla alla realtà e così salvarla: facendole rivivere i ricordi del passato, quelli che avevano contribuito a definirne la personalità prima della malattia.
Al di là della trama, affronta i dubbi reali di chi è alle prese con una patologia che molte volte nemmeno è riconosciuta come tale. Secondo una ricerca pubblicata proprio in questi giorni, e promossa sempre da Alzheimer Italia con Alzheimer’s Disease International, l’80 per cento dell’opinione pubblica mondiale pensa che la demenza sia una componente normale dell’invecchiamento piuttosto che una condizione medica, con un drastico aumento rispetto al 66 per cento del 2019. La percentuale è del 65 per cento tra gli operatori sanitari e assistenziali (con un aumento del 3 per cento rispetto al 2019).
L’88 per cento delle persone con demenza dichiara di aver subìto discriminazioni, in aumento rispetto all’83 per cento del 2019. Anche per questo prodotti culturali come appunto un fumetto, o anche un romanzo o un film, hanno un’importanza vitale. «Stiamo combattendo una guerra contro lo stigma», dice Pinto.
L’appello al G7 italiano
Anche perché tutto questo discorso riguarda il presente, ma ha molto a che fare anche con il futuro. L’aumento dell’aspettativa di vita coinciderà anche con un’esplosione di queste patologie. «Ho amiche giovani che giustamente pensano che ci vogliano più asili nido», dice Pinto. «Ma la realtà è che forse i centri diurni saranno ancora più importanti: serviranno sempre più posti dove le persone anziane potranno continuare a vivere». Senza essere un peso costante per i loro familiari.
Il prossimo 8 ottobre ad Ancona ci sarà il G7 della Salute presieduto dall’Italia. «Facciamo un appello alla presidente Giorgia Meloni e al ministro della Sanità, Orazio Schillaci», dice Pinto. «Devono farsi portavoce nel mondo: serve una strategia globale per affrontare le demenze e serve ora. Ci sono troppi paesi dove ancora non esiste un piano nazionale su questo tema». Sono ben 155 dei 194 che compongono l’Oms.
E anche in Italia la situazione è molto varia. «Ci sono regioni dove l’assistenza funziona bene: in Emilia-Romagna, in Veneto o in Lombardia ad esempio e altre dove si è troppo in ritardo, come in Puglia, Basilicata e Calabria», dice Pinto. «Per questo è indispensabile un intervento nazionale. Serve un’alleanza fra istituzioni, medici, operatori sanitari, familiari e comunità».
Diagnosi mancate
La demenza è la settima causa di morte a livello globale. Attualmente il costo annuale stimato della demenza è di 1,3 trilioni di dollari, ma si prevede che raggiungerà i 2,8 trilioni di dollari nel 2030. «Il 75 per cento di coloro che convivono con una demenza lo fa senza una diagnosi», spiega Paola Barbarino, amministratrice delegata di Alzheimer’s Disease International. «Con una diagnosi tempestiva le persone possono accedere al supporto post-diagnostico necessario per consentire loro di vivere bene e in modo indipendente il più a lungo possibile».
«Ma in realtà anche su questo punto c’è molto da fare – dice ancora Barbarino –. L’85 per cento delle persone con demenza, compresi i casi non diagnosticati, non riceve alcun supporto post diagnostico».
Una diagnosi difficile
La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza, ma ancora oggi non se ne conoscono chiaramente le cause. La maggior parte degli scienziati ritiene che non sia dovuta a un unico fattore scatenante ma a un insieme di concause. Non esiste un esame specifico per arrivare a una diagnosi: è anzi un percorso che richiede molto tempo, una valutazione specifica della persona e all’esecuzione di una serie di esami clinici e strumentali.
Anzi, a essere ancora più precisi la diagnosi certa può arrivare solo dopo la morte, con l’autopsia. Prima si parla solo di Alzheimer «probabile». La Lancet Commission ha recentemente aggiornato il proprio rapporto del 2020 sui fattori di rischio perla demenza, aggiungendo la perdita della vista non trattata e l’elevato livello di colesterolo Ldl, il cosiddetto colesterolo cattivo, agli altri già comprovati: l’inattività fisica, il fumo, l’eccessivo consumo di alcol, le lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, insieme a scarsi livelli di istruzione e all’esposizione all’inquinamento atmosferico.
Il 45 per cento dei casi di demenza previsti a livello globale entro il 2050 potrebbero essere ritardati o addirittura evitati intervenendo su questi 14 fattori.
Tre fasi
Ogni storia è diversa, ma esiste poi un percorso abbastanza comune per la malattia, con una divisione in tre fasi. Nella prima sono prevalenti i disturbi della memoria, ma possono essere presenti anche disturbi del linguaggio. La persona è ripetitiva, ha difficoltà a trovare i termini corretti per esprimersi, tende a perdere gli oggetti, non trova la strada di casa. Può avere squilibri emotivi, irritabilità e reazioni imprevedibili.
Nella seconda fase, la persona inizia a perdere l’autonomia, può avere deliri e allucinazioni. Diventa difficile avere una conversazione con lei.
Nella terza fase, quella severa, c’è la perdita completa dell’autonomia. La persona con demenza non si alimenta più con regolarità, non comunica, diventa incontinente, è costretta a letto o su una sedia a rotelle. La durata di ogni fase varia da persona a persona e in molti casi una fase può sovrapporsi all’altra.
Comunità amiche
Questo percorso tortuoso può durare anche una decina di anni. Significa anche che ci sono dei momenti, più o meno lunghi, in cui una il malato è in difficoltà, ma mantiene una certa autonomia. Ed è qui che si può intervenire semplicemente costruendo una realtà capace di comprendere quello che sta capitando.
È un esperimento che in Italia è iniziato ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, nel 2016 e da lì si è diffuso in decine di comunità che sono diventate «amiche della demenza». «Sono posti dove le persone comuni sono formate sulla malattia», spiega Pinto. «Sono preparati i medici, i farmacisti, ma anche i commercianti. Sono in quelli che noi definiamo “negozi gentili”, dove una persona con demenza può andare a fare la spesa e può essere capito. Senza pregiudizi».
Anche questo è un modo per costruire un futuro diverso, in cui non ci siano più vittime nascoste, ma esista una società capace di accogliere anche chi soffre di demenza.
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