La responsabile Conversione ecologica del partito, candidata alle europee nella circoscrizione Nord est, racconta la sua sfida: «C’è un’aria di smobilitazione seria, grave, stiamo rimuovendo che la crisi climatica è un problema di salute collettiva, tutto quello che ci hanno insegnato questi anni sembra dimenticato»
Intervista Annalisa Corrado
Annalisa Corrado ha fatto quasi tutta la campagna elettorale per le europee nella circoscrizione Nord-Est con i mezzi pubblici. Questa intervista per esempio si svolge mentre aspetta un autobus, prima di concludere lo prende, scende, corre verso la destinazione finale.
«Non è facilissimo, ho usato solo bus e treni, finora, soprattutto regionali, più qualche passaggio in auto. Per gli ultimi giorni devo raggiungere luoghi più complessi e mi devo arrendere all’automobile».
Corrado è stata una delle scommesse di Elly Schlein per il nuovo corso del Partito democratico. È diventata responsabile Conversione ecologica della sua segreteria dopo una vita spesa nella società ambientalista per la transizione e la lotta ai cambiamenti climatici. In questi ultimi giorni è stata in Emilia-Romagna, a un anno dall’alluvione e sotto nuove piogge torrenziali che hanno riacceso quel trauma collettivo.
Che situazione ha trovato? Com’è l’eredità delle alluvioni del 2023?
Le alluvioni di un anno fa non sono un ricordo brutto, sono ancora una ferita aperta. Non sono arrivati i ristori, ci sono state solo passerelle. Quello che poteva fare, la regione lo ha fatto, ma il governo sembra aver agito solo per far ricadere la colpa sugli amministratori. Sono stata a Faenza, ci sono ancora 500 nuclei sfollati.
In Europa siamo in piena ondata di rigetto antiambientalista. Com’è per lei parlare di clima in questo contesto?
Quando riesci a parlare con le persone, a snocciolare le questioni, c’è un interesse elevato, ma a livello mediatico di queste europee si parla solo come di elezioni di midterm per pesare le forze in campo, e mai di quello che c’è in ballo in Europa.
E allora parliamone, cosa c’è in gioco?
Difendere il Green Deal dall’onda delle polemiche, inclusa la protesta dei trattori. Questo clima politico ha fatto arretrare anche l’Europarlamento uscente. Sintomi: lo stop alla legge sul Ripristino della natura o la retromarcia sui pesticidi. C’è un’aria di smobilitazione seria, grave, stiamo rimuovendo che la crisi climatica è un problema di salute collettiva, tutto quello che ci hanno insegnato questi anni sembra dimenticato.
La transizione è anche un’immensa sfida industriale.
Cina e Usa si misurano sull’industria tech per la transizione. Per l’Europa tornare indietro sarebbe folle, rischiamo di perdere il treno della strategia industriale. È sintomatico l’accordo di Stellantis con Leapmotor: pur di prendersi le briciole dell’industria elettrica si fa un accordo di distribuzione. Siamo a un passo dalla resa. Ci vuole strategia energetica europea che supporti il recupero della competitività internazionale. È un campo sul quale ogni paese singolo da solo è spacciato. Perdere il Green Deal è perdere tutta questa ambizione.
Citava la protesta dei trattori: in che modo la sinistra può parlare a questo blocco produttivo?
C’è stata una semplificazione manipolatoria, è da pazzi mettere le istanze dell’agricoltura contro quelle dell’ecosistema, non esiste l’una senza l’altro. Gli agricoltori sono i primi a essere danneggiati dalla crisi.
Però hanno più paura della transizione. Come si dialoga con loro?
Il problema è la distribuzione, che schiaccia il valore del prodotto su livelli tali che loro non possono fare altro che spingere sulla produzione, mettendo a rischio il loro vero bene, che è la fertilità del suolo e la qualità dell’ecosistema.
La visione reazionaria la conosciamo. Ma quella progressista qual è?
La via tracciata dall’agro-ecologia, che consente all’agricoltura di togliere carbonio dall’atmosfera e potenziare la fertilità dei suoli, l’approccio dei biodistretti e anche la relazione che può essere virtuosa con le rinnovabili: biogas, fotovoltaico integrato, sistemi di monitoraggio per la salute del suolo e tecnologie per agricoltura di precisione. Tante buone pratiche esistono già, per accorciare le filiere, promuovere le aziende territoriali, coinvolgere le città con le food policy, le mense scolastiche, i mercati di prossimità. Serve un intero nuovo paradigma.
Non ci può essere un nuovo paradigma senza una nuova Politica agricola europea.
La Pac è un tassello chiave, deve essere riorganizzata per sostenere le aziende medie e piccole, per evitare che, come oggi, l’80 per cento delle risorse finisca in mano al 20 per cento delle aziende.
A un certo punto si dovrà anche toccare il nodo dei sussidi ambientalmente dannosi al settore.
Quei sussidi sono un tema enorme, che viene sempre buttato lì e rinviato, perché è complesso, ma la complessità deve spingere ad agire il prima possibile. Si deve costruire una strategia per ristrutturarli e uscirne, ma prima bisogna mettere mano alla Politica agricola comune, per trovare nuove risorse e sostenere gli agricoltori che si troverebbero senza sussidi.
Abbiamo imparato la lezione della crisi energetica?
Dopo il Next Generation Eu c’è stato RePower Eu, l’idea dell’Europa era diventare il più possibile indipendenti e alimentati da rinnovabili. Troppi paesi, a partire dal nostro, si sono tirati indietro, e stanno anche rinnegando gli accordi della Cop28. Possiamo essere all’altezza delle nostre ambizioni solo se il piano energetico va insieme a quello industriale. Dobbiamo riportare qui le filiere della transizione, non la possiamo fare acquistando solo tecnologia da altri.
Difficile fare la transizione se l’Eni si mette di traverso.
Se il governo avesse la forza di fare una strategia energetica vera, non come il deludente Piano nazionale energia e clima che hanno presentato all’Europa, Eni dovrebbe adeguarsi. È un’azienda con enormi competenze e risorse, dovrebbe essere la politica a indirizzarla, invece oggi accade il contrario. La strategia di diventare hub del gas ci costringerebbe a un lock-in fuori dalla storia.
Intanto una regione in cui siete arrivati al governo, la Sardegna, ha messo una moratoria alle rinnovabili. Che succede?
Vogliamo approvare il prima possibile un piano energetico che faccia emergere i progetti migliori su fotovoltaico ed eolico e attuare tutto in tempi stretti. Il programma elettorale con cui si sono vinte le regionali prevede un anticipo della decarbonizzazione dell’isola al 2040 e il rifiuto della dorsale gas.
Sul territorio invece c’è un rifiuto delle rinnovabili.
Le tensioni si sono inasprite per la mancanza di pianificazione, che diventa l’ecosistema ideale per sindromi nimby e atteggiamenti negativi. Con una strategia ampia si può recuperare tutto e rispettare gli obiettivi che ci siamo dati.
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