Il capitano di fregata Walter Biot due giorni fa aveva detto alla moglie che sarebbe tornato a casa per la cena. Solo un po’ più tardi del solito. Il tempo di andare a rinnovare il pass per il parcheggio per disabili della figlia più piccola, pratica da fare in un ufficio comunale di Pomezia. In realtà l’ufficiale della marina classe ’66, imbarcato per vent’anni su cacciatorpedinieri e navi lanciamissili e distaccato, una decina di anni fa, negli uffici dello stato maggiore della Difesa e del ministero, aveva omesso un dettaglio: sulla strada doveva fare tappa in un parcheggio di Roma per incontrare un funzionario russo. A lui doveva consegnare una pennetta contenente fotografie di documenti militari segreti che aveva scattato – questa l’ipotesi degli inquirenti – nelle stanze del terzo reparto del dicastero. Quelle dove lavora e dove si classificano carte top secret. In cambio l’ufficiale avrebbe ottenuto cinquemila euro in contanti.

I due uomini sono stati colti in flagrante dai carabinieri del Ros, attivati dall’Agenzia informazioni sicurezza interna (Aisi) guidata da Mario Parente che seguiva il marinaio da qualche settimana. Biot è stato arrestato dopo aver effettuato lo scambio, e adesso è in carcere accusato di reati gravissimi inerenti lo spionaggio militare e la sicurezza dello stato. Se le imputazioni venissero confermate rischia di rimanere in cella per un bel po’.

Segreti militari

«Io non so nulla della vicenda, so che non sono ancora riuscita né a parlare con lui né con l’avvocato d’ufficio» dice a Domani Claudia Carbonara, psicologa e moglie del capitano. «Con l’arrivo del Covid e lo smart working le entrate della nostra famiglia sono diminuite molto. Io non lavoro quasi più, e Walter non riusciva più a ottenere gli straordinari. Penso che i nostri problemi economici l’abbiano portato a fare questa scelta assurda, fosse vero quello che raccontano i giornali».

I contorni della vicenda – che ha pochi precedenti nella storia recente – sono ancora oscuri. Sappiamo che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha subito convocato l’ambasciatore Sergej Razov, a cui ha notificato l’espulsione del militare russo al quale Biot ha dato la pennetta e di un suo superiore che, almeno secondo le prime indagini della procura di Roma e del Ros, era al corrente dell’operazione. Non si sa ancora, invece, quale sarà la risposta politica di Mosca («la “spiomania” è arrivata anche in Italia, l’espulsione dei nostri diplomatici è un passo estremo, sono sicuro che non vi erano ragioni così forti», ha detto il presidente della commissione della Duma per gli Affari internazionali, Leonid Slutsky) né se era la prima volta che Biot consegnava documenti riservati all’agente straniero.

Fonti vicine agli investigatori ipotizzano che il materiale consegnato riguardi dettagli di alcuni sistemi di telecomunicazione militare. Certo è che il capitano aveva accesso ad archivi in cui sono depositati fascicoli di ogni tipo, compresi quelli inerenti la pianificazione degli interventi Nato in Iraq e Afghanistan.

Problemi economici

Ma come mai un «riservato e iperteso» militare che vive in una vecchia casa di campagna a Campo Jemini, frazione di duemila anime di Pomezia, con quattro figli e quattro pastori tedeschi che fanno da guardia al suo giardino, pieno di encomi e stimato da superiori e politici (è stato anche nella squadra dell’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti come addetto alla comunicazione e alle relazioni istituzionali) avrebbe deciso di “vendersi” ai russi, tradendo il suo paese per quelle che sembrano cifre modeste?

Secondo la moglie eventuali errori del marito sono dovuti solo ai problemi economici di una famiglia numerosa che da un anno, con l’arrivo della pandemia, vive momenti difficili. La causa è delle spese mediche della figlia più piccola, del mutuo da oltre mille euro da pagare ogni mese, dei prestiti da restituire. «Vorrei sapere qualcosa anche io di quello che è successo martedì sera. Di russi non so nulla. So che Walter era angosciato da mesi per le spese che non riusciamo più ad affrontare», aggiunge Carbonara, che spiega di non essere riuscita, a causa del coronavirus, nemmeno a ottenere quei piccoli contratti dalla Asl che aiutavano le finanze famigliari. «Un militare come lui quanto guadagna? Poco più di 3mila euro al mese. Il nostro nucleo familiare è grande, e i figli ancora non lavorano. Stanno tutti da noi. Forse qualcuno si è approfittato di questo suo stato di frustrazione: ultimamente era sempre preoccupato, sempre nervoso. Potevamo chiedere prestiti? Certo che lo abbiamo fatto, ma prima di accenderli bisogna estinguere quelli vecchi. Mio marito non è uno sprovveduto».

I due coniugi hanno anche fondato un’associazione culturale chiamata “Pharaos”, di cui Biot era presidente, che si occupava di dare sostegno psicologico alle famiglie, dei rapporti tra studenti e il mondo della scuola, di psicoterapia. «L’associazione è in sonno da un po’ di tempo» dice la psicologa. «Alcuni soci sono deceduti e altri se ne sono andati. L’unica entrata sicura è lo stipendio di Walter. Con lo smart working abbiamo perso anche mille euro di straordinari che ci facevano respirare un po’».

La vita del militare accusato di spionaggio sembra quella di un impiegato modello: sveglia alle sette, zero gite e zero cene, nessuna palestra né viaggi di lusso, il tempo libero passato con i figli, oppure in giardino a giocare con i cani e tagliando l’erba. L’idea era quella di riparare il tetto: la casa è grande ma malandata, e va continuamente sistemata. «Walter non ha mai parlato con me di documenti classificati. Mai visto di recente gente strana in casa. È un bravissimo padre. Se ha fatto qualcosa, l’ha fatto solo ed esclusivamente per la famiglia. Non ci sono altri fini o altri scopi sono sicura».

L’inchiesta ora dovrà chiarire se davvero la presunta spia di Pomezia che ha aperto una delle più gravi crisi diplomatiche tra Italia e Russia dalla caduta del muro, l’ha fatto solo per disperazione da Covid. O se la vicenda è più complessa e ampia, come teme più di un investigatore.

 

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