Opposizioni all’attacco: martedì il consiglio regionale in attesa dell’addio del presidente della regione, arrestato con le accuse di corruzione e corruzione elettorale. L’ex ministro dem: «Cortocircuito grave, non pregiudichi gli investimenti in Liguria»
Dal momento della grandinata di arresti eccellenti, nella mattinata di ieri, a partire dai domiciliari a cui viene ristretto il presidente della Liguria Giovanni Toti, il Pd non ci mette molto tempo a chiedere le elezioni subito. La presunzione di innocenza è una formula dovuta («la magistratura farà il suo corso rispetto alle singole responsabilità») ma la richiesta è «chiudere la stagione del centrodestra in Liguria.
Toti si dimetta e ci siano subito nuove elezioni» perché «quanto emerso dalle indagini certifica un modo disgustoso di fare politica». Brando Benifei, candidato alle europee nella circoscrizione Nord ovest e spezzino parla dell’emersione di «uno scenario gravissimo» e di «un’inquietante e diffuso sistema di corruzione». L’ex segretaria Cisl, Annamaria Furlan, e l’ex segretario del Pd ligure, Lorenzo Basso, oggi entrambi senatori, parlano di un «tornado che investe il nostro territorio. Da ogni agenzia trapelano intrecci perversi tra politica e affari, clientele e istituzioni, addirittura sentori di infiltrazioni mafiose, creando un quadro inquietante e opaco che va subito chiarito».
Il segretario regionale dem Davide Natale parla di un «collasso», indipendentemente da quelli che saranno i risultati dell’indagine, anzi anche oltre: «In questi anni abbiamo denunciato i danni che questa gestione della politica ha causato alla sanità, al lavoro, alle infrastrutture, ai servizi sociali. Porto e supermercati sono stati trasformati in centri di pratiche e comportamenti torbidi». Conclusione: «Serve un cambio di passo, la Liguria ha bisogno di avviare un processo di rigenerazione».
Anche il M5s e le sinistre chiedono le dimissioni di Toti. E non è solo il riflesso condizionato dell’opposizione. È vero che le misure cautelari non sono un fulmine a ciel sereno: le notizie dell’inchiesta a Genova circolavano da tempo. Ma la preoccupazione più forte, per il Pd, è che il «collasso» del cosiddetto “sistema Toti” ora porti al rallentamento se non alla paralisi delle altre risorse investite nella regione. Soprattutto quelle del Pnrr. «Non possiamo permetterci di perdere neanche un euro», avverte Natale.
Se la destra tira a campare
Il timore è che, sospeso per impedimento (ma non decaduto) il presidente in forza della legge Severino, e reggente il suo vice Alessandro Piana, leghista, la maggioranza si disponga a tirare a campare. A Toti forse converrebbe dimettersi, fatto che potrebbe far venire meno la necessità delle misure cautelari.
Ma la destra è nel pallone. Non è pronta per nuove elezioni: FdI da tempo rivendica la successione di Toti (che ha provato a ottenere il terzo mandato, ipotesi respinta da Giorgia Meloni in persona), la Lega punta sul plenipotenziario ligure Edoardo Rixi, ma l’idea incontra il gelo dell’alleato maggiore.
Intanto il ministro della Giustizia Carlo Nordio entra a gamba tesa sui pm liguri: «Sono perplesso sui tempi della misura cautelare». Affermazione anche ragionevole, se non arrivasse dal titolare di via Arenula. «Per quanto entrino nel merito dell’inchiesta, sconcertano le affermazioni del Guardasigilli.
Sembrano quelle della difesa del presidente Toti, non di chi dovrebbe agire con leale collaborazione istituzionale», replica Debora Serracchiani. Le parole di Nordio raccontano l’aria che tira nella maggioranza a Roma.
Per questo ora a Genova il Pd teme «l’immobilismo» e le sue conseguenze su tutti gli investimenti regionali. In assenza di novità (ovvero delle dimissioni di Toti), martedì prossimo sarà il giorno della verità: è convocato un consiglio regionale, a Piana le opposizioni chiederanno conto delle intenzioni della giunta. E le dimissioni, in blocco.
Il Pd un’ipotesi di candidato presidente ce l’ha da qualche mese, non è un mistero, è Andrea Orlando, spezzino, più volte ministro e da sempre presente nelle vertenze regionali. Elly Schlein gli ha chiesto di correre per le europee, ma lui ha preferito restare al suo posto di deputato, «disponibile», come si è detto, alla corsa, che però sembrava lontana, nel 2025, «se tutti sono d’accordo». Adesso quella scadenza potrebbe avvicinarsi all’autunno.
Ipotesi Orlando
Sul suo nome nei mesi scorsi è arrivata qualche apertura anche dagli alleati. Persino Raffaella Paita, donna forte di Italia viva in Liguria, su lui ha speso parole possibiliste: magari una scelta tattica – Iv a Genova è in maggioranza con la destra – comunque non una chiusura preventiva.
Ieri Orlando ha usato toni severi: il quadro che emerge dall’inchiesta è «desolante ma non sorprendente. Che ci fosse una eccessiva promiscuità tra funzioni istituzionali e circoli economici è un dato che era stato denunciato anche da noi». Ma al di là degli eventuali reati, tutti da dimostrare, «adesso bisogna evitare che questo cortocircuito molto grave pregiudichi gli interessi della regione e i grandi investimenti che la riguardano.
È necessario evitare che la situazione vada allo sbando», serve «un forte processo di rigenerazione nell’interesse della regione e dei liguri», se fossero confermate le ipotesi dell’accusa, «il vulnus politico sarebbe grande e mi pare difficile che possa proseguire una esperienza di governo così fortemente colpita. A prescindere dalle responsabilità strettamente penali».
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