- Il sì del Parlamento europeo alla proposta della Commissione di vietare la vendita di auto a combustione dal 2035 ha destato una certa agitazione in Italia e polemiche accese, soprattutto da parte della filiera dell’auto.
- Un attore è rimasto però defilato, quasi un fantasma di cui si avverte la presenza ma che nessuno vede: il maggior produttore italiano di automobili.
- La transizione elettrica è però un problema per Stellantis, che soprattutto nella sua parte ex FCA ha accumulato un notevole ritardo rispetto ai migliori concorrenti; e a sua volta il ritardo di Stellantis è un problema per l’Italia
FOTO
LaPresse
Il sì del Parlamento europeo alla proposta della Commissione di vietare la vendita di auto a combustione dal 2035 ha destato una certa agitazione in Italia e polemiche accese, soprattutto da parte della filiera dell’auto. Un attore è rimasto però defilato, quasi un fantasma di cui si avverte la presenza ma che nessuno vede: il maggior produttore italiano di automobili.
La transizione elettrica è però un problema per Stellantis, che soprattutto nella sua parte ex Fca ha accumulato un notevole ritardo rispetto ai migliori concorrenti; e a sua volta il ritardo di Stellantis è un problema per l’Italia, perché rischia di aggravare il bilancio occupazionale dell’inevitabile transizione ecologica e perché influisce sulle politiche pubbliche, frenando un più rapido passaggio alla mobilità elettrica.
Il ritardo nella filiera e di Marchionne
L’Osservatorio sulla componentistica 2018 dell’Anfia, nell’ipotizzare una possibile accelerazione del processo di elettrificazione (prima che si parlasse di bando al 2035, quindi) , individuava tra le cause principali del potenziale ritardo della filiera «l’ancora elevato grado di dipendenza da Fca, che non ha di fatto ancora avviato un piano concreto di sviluppo nel campo delle motorizzazioni elettrificate».
L’ex Fca ha investito pochissimo sull’elettrico, di fatto fino alla fusione con Peugeot. Eppure Fiat era stata un pioniere delle ricerche sull’auto a batterie: la Panda Elettra fu lanciata sul mercato oltre 30 anni fa, sia pure con autonomia ridotta (100 km), costi elevati e due soli posti a sedere per fare spazio agli ingombranti accumulatori.
Con queste caratteristiche un successo commerciale era impossibile, e dopo un altro paio di esperimenti, la grande crisi a cavallo del 2001 mise fine ai progetti.
Arrivato nel 2004, per quasi tutti i suoi 14 anni al Lingotto Sergio Marchionne rimase un deciso avversario dell’elettrificazione, che definiva «un’arma a doppio taglio con molti limiti legati ai costi, all’autonomia, ai tempi di ricarica e alla rete di rifornimento». Tutte osservazioni corrette e in parte valide ancora oggi.
Nel frattempo, però, i concorrenti continuavano a sondare il mercato con prodotti sempre più validi.
La Renault Zoe è del 2012, la BMW i3 del 2013; nel 2012 viene lanciata anche la Tesla Model S. Fca lanciò nel 2013 una versione elettrica della 500 destinata al mercato americano, venduta quasi solo in California. «Spero di venderne il meno possibile, perché su ogni esemplare perdiamo più di 10.000 dollari», ripeteva spesso Marchionne.
Intendiamoci, Marchionne non era l’unico manager dell’auto a scommettere contro l’auto a batterie:
Toyota, forte del successo dei suoi motori ibridi, ha proceduto a passo lento e lancia proprio in questo giorni in Europa la sua prima auto elettrica “pura”. Alcuni dei costruttori partiti per primi, come Renault e BMW, hanno subito forti perdite (la prima) o hanno fatto parziali marce indietro (la seconda).
Avanti veloce agli anni Venti di questo secolo. La tecnologia ha fatto grandi passi, e l’urgenza politica di combattere il riscaldamento del pianeta ha indotto una decisa accelerazione alle vendite di auto elettriche, grazie a incentivi finanziari e non.
La prima elettrica di Fiat della nuova era è un’altra 500, lanciata nel 2020, che è attualmente una delle auto a batterie più vendute in Europa.
Tavares ha presentato un anno fa un piano che prevede la conversione all’elettrico di tutti i marchi con velocità diverse, ma entro il 2030. Purtroppo però la 500 resta per ora l’unica auto a batterie nella gamma della vecchia Fca.
Particolarmente svantaggiosa è la totale assenza di modelli elettrici in marchi di alta gamma come Alfa Romeo e Maserati: dopo il successo della Tesla, infatti, i concorrenti hanno capito che è più facile vendere auto elettriche potenti e costose che non auto da città.
Effetto incentivi
Il ritardo nel lancio di modelli a batterie prodotti in Italia da Stellantis ha probabilmente influito sul sistema di incentivi alle vendite varati il mese scorso dal governo: solo poco più di un terzo dei fondi sono dedicati all’elettrico “puro”, un terzo agli ibridi ricaricabili – meno ecologici ma prodotti in quantità significati a Melfi con il marchio Jeep; e quasi un terzo a veicoli non ricaricabili, auto che si venderebbero comunque e che nessun altro paese europeo incentiva.
Le vicende di Fca hanno avuto un impatto negativo sulle prospettive della filiera auto italiana per un altro motivo. Di crisi in crisi la produzione di auto nel nostro Paese, che vent’anni fa era di 1,27 milioni di auto, è scesa oggi a poco più di un terzo: 454mila nel 2021, ancora quasi interamente Fca.
Siamo un paese che, pur conservando marchi prestigiosi come Ferrari e Maserati, produce meno auto di Romania e Slovacchia, metà del Regno Unito, un quarto della Spagna e poco più del 10 per cento della Germania.
Questo ha ridotto drasticamente la domanda di componenti per i produttori locali; solo i migliori sono riusciti ad andare a caccia di commesse all’estero.
Inoltre rischia di indurre una fuga dei colossi stranieri come Bosch, TRW, Adient, Valeo, Continental, ZF, che arrivarono in Italia negli anni 80 e 90 per fornire le fabbriche Fiat e potrebbero trovare ora più conveniente “servirle” da altri paesi europei.
Esemplare in questo senso il caso della Gkn, che ha chiuso l’anno scorso la fabbrica di semiassi di Campi Bisenzio che riforniva all’80 per cento la ex Fca.
In un articolo su Interauto News del maggio 2022 Francesco Zirpoli, professore di Economia gestionale a Ca’ Foscari, scrive che nel contesto di crisi della componentistica, le chiusure di stabilimenti e le scelte di localizzazione «saranno nel breve periodo frutto di due elementi: l’andamento delle commesse Stellantis e il trend di contrazione della produzione in Europa».
I posti a rischio
Stellantis ha attualmente in Italia circa 49mila dipendenti, compresi nei poco meno di 170 mila della filiera industriale diretta dell’auto. Ha cinque stabilimenti di assemblaggio finale, con circa 19.500 dipendenti, e cinque stabilimenti di motori/cambi che danno lavoro a 6/7.000 persone.
Il gruppo ha già tagliato 5mila posti nel 2021, e nuovi tagli – con prepensionamenti e incentivi alle dimissioni – sono già stati concordati con i sindacati anche per il 2022. Questi tagli non hanno nulla a che fare con l’elettrificazione delle vetture.
L’impatto della transizione all’elettrico riguarda in senso stretto gli impianti di motori e cambi.
Per quanto riguarda i motori, per ora Stellantis ha annunciato che lo stabilimento di Termoli – il più grande, con i suoi 2mila occupati – verrà trasformato in una fabbrica di batterie della Acc (joint venture fra Stellantis, Mercedes e Total). Non è ancora chiaro quanti degli attuali dipendenti potranno essere assunti.
Un elemento positivo per gli occupati Stellantis, ma potenzialmente neutro per la filiera, è l’intenzione di “riportare in casa” una percentuale maggiore delle produzioni finora delegate ai fornitori; è una strategia comune ad altri gruppi, per esempio Volkswagen, e può ridurre l’impatto delle trasformazioni sui costruttori di auto, ma a spese dei fornitori.
La strategia di Fca ha pesato negativamente sul processo di transizione elettrica anche per un’altra via: nel 2019 Fca ha venduto la Magneti Marelli, maggior produttore italiano di componenti auto con attività come motori elettrici, elettronica di bordo, infotainment, a forte potenziale di sviluppo. Marelli è ora proprietà di una finanziaria americana.
Il resto del mondo Stellantis
Una buona notizia, almeno in teoria, è che la parte francese di Stellantis è messa meglio nella corsa all’elettrico, con un numero maggiore di modelli già sul mercato e una buona posizione in classifica in Europa: secondo l’analista Matthias Schmidt, nei primi 4 mesi del 2022 Stellantis ha venduto 61mila veicoli a batterie (+31 per cento), seconda in classifica dopo il gruppo Volkswagen e davanti a Tesla e Hyundai/Kia. Delle 61mila unità, 18mila erano 500 elettriche.
Nel 2023 dovrebbe partire la produzione di piccoli Suv in Polonia, mentre l’anno successivo sarà la volta di auto medie a Melfi con i marchi DS, Opel e Lancia. A Cassino, Alfa Romeo promette “solo elettrico” dal 2027, mentre la prima elettrica di Maserati dovrebbe arrivare l’anno prossimo.
Meno incoraggiante per l’Italia è che, a parte la 500, la tecnologia sarà in gran parte franco-tedesca, così come lo saranno le “piattaforme” per veicoli elettrici di varie dimensioni, tutte adattabili anche a veicoli con motore a scoppio, che Stellantis ha annunciato per gli anni dal 2024 in poi.
Piattaforma franco/tedesca vuol dire maggior probabilità che i fornitori siano franco/tedeschi, anche se gli stabilimenti in cui le nuove auto saranno costruite comprendono quelli ex-Fiat.
Resta infine un dubbio sulla strategia di breve termine di Carlos Tavares.
Il manager Stellantis da un lato dice che l’azienda è pronta alla sfida elettrica, dall’altro è tra i più attivi nel contestare le scelte UE e nel chiedere più tempo per la transizione. Quanto peserà questa posizione ambigua sulle scelte di investimento?
© Riproduzione riservata