- L’approvazione del testo dell’autonomia differenziata leghista arriva giusto in tempo per essere una bandiera da sventolare alle prossime Regionali, ma l’approvazione in Consiglio dei ministri rischia di scontrarsi con problemi imminenti.
- Una delle conseguenze dirette del testo di Calderoli riguarda i comuni, che per ottenere i fondi a cui hanno diritto dovranno rivolgersi non più allo stato centrale, ma alle Regioni.
- Succede già oggi per una serie di questioni che già maneggiano le Regioni, ma rischia di acuire lo stallo tra comuni e Regioni di colore diverso.
L’autonomia differenziata di Roberto Calderoli rischia di partire zoppa. Il ministro per gli Affari regionali ha portato a casa nel Consiglio dei ministri di ieri il via libera al testo che gli stava più a cuore, quello che dà maggiori competenze alle regioni, da anni cavallo di battaglia della Lega.
È un traguardo di cui il Carroccio ha forte bisogno per fronteggiare le elezioni regionali in programma tra due settimane: soprattutto in Lombardia, feudo leghista, le prospettive del partito di Matteo Salvini sono cupe. I parlamentari mettono in conto un risultato al di sotto del dieci per cento, con la possibilità che Fratelli d’Italia li doppi, o peggio.
La bandiera dell’autonomia è l’ultima delle frecce all’arco di Salvini: di qui la necessità di correre in Consiglio dei ministri e far pressione sulla presidente del Consiglio. L’obiettivo era ottenere il via libera del governo nonostante la volontà di Giorgia Meloni di far procedere il provvedimento di pari passo con il presidenzialismo, priorità di Fratelli d’Italia e contrappeso designato dell’autonomia.
Ma i meloniani dovranno pazientare, la ministra Maria Elisabetta Casellati ha promesso il primo testo di riforma costituzionale non prima di giugno. Ma la fretta della Lega potrebbe essere cattiva consigliera. Per la norma di Calderoli si preannuncia infatti un processo di approvazione travagliato, soprattutto in conferenza unificata, l’organo che raccoglie stato, comuni e regioni.
La ragione è nelle conseguenze che ricadrebbero sui comuni, che adesso hanno come punto di riferimento per l’erogazione dei denari che competono loro lo stato centrale. È vero che poi praticamente alcuni fondi passano già oggi attraverso le regioni, creando talvolta anche ritardi nel flusso, ma con la delega di ulteriori funzioni l’interlocutore esclusivo dei comuni diverrebbe soltanto la regione.
Il dissenso dei comuni
Una circostanza che, temono gli amministratori locali, rischia di moltiplicare la burocrazia e sottrarre competenze. C’è anche un nuovo metodo da introdurre, anche perché i fondi destinati ai comuni vengono calcolati già da anni con uno strumento, i fabbisogni standard, che per le Regioni sono ancora tutti da elaborare. La paura è che il nuovo sistema possa mettere a rischio l’azione perequativa portata avanti fino a oggi dai comuni, che hanno cercato di sostenere in autonomia anche le realtà più in difficoltà. Se il testo di Calderoli venisse convertito così com’è, le Regioni prenderebbero il controllo del finanziamento della gestione operativa dei comuni.
«Le funzioni fondamentali dei comuni sono tutelate e non è previsto un appesantimento burocratico», dice un parlamentare di maggioranza che conosce bene il dossier dell’autonomia. Dal punto di vista della destra, si tratta soltanto di un ampliamento delle materie per cui i comuni dovranno far riferimento alle regioni invece che allo stato. Per i dettagli dei singoli flussi di denaro stanziati, poi, bisogna aspettare i Livelli essenziali di prestazione, che non saranno pronti prima di sei - otto mesi.
Ma spostare il punto di riferimento dei comuni da Roma alle regioni aumenta anche il potenziale di scontro tra amministrazioni di colore diverso: i comuni con una linea politica diversa potrebbero sentirsi penalizzati dalle decisioni di regioni di schieramento opposto. Allo scetticismo dei presidenti delle regioni del sud, che annunciano già opposizione in conferenza stato-regioni e promettono azioni per sottolineare l’incostituzionalità del testo di Calderoli si aggiunge quindi in prospettiva il dissenso dei comuni. Potrebbero far leva sulle sponde parlamentari, magari quelle di Fratelli d’Italia, i cui parlamentari restano perplessi sull’urgenza dell’approvazione del provvedimento leghista.
Dall’opposizione poi Stefano Bonaccini, uno dei candidati alla segreteria del Pd, già promette battaglia sul provvedimento. Ma lo scontro si accenderà in anche in conferenza unificata, dove il testo dovrà passare prima di tornare in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Regioni e comuni dovranno esprimersi anche sui decreti della presidenza del Consiglio alla base delle singole intese regionali. Uno spunto per le argomentazioni dei comuni si trova già nell’intervento della premier all’ultima assemblea dell’Anci di fine novembre, a Bergamo: in quell’occasione, Meloni aveva promesso ai sindaci che il governo sarebbe stato al loro fianco. «Il governo darà una nuova centralità ai comuni, custodi delle nostre specificità», aveva detto.
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