Passato il brivido del voto europeo, la maggioranza torna con la testa in parlamento. La campagna elettorale per Bruxelles è stata giocata sull’equa ripartizione delle riforme: il premierato di Fratelli d’Italia, l’autonomia come rivendicazione della Lega e la giustizia come bandiera di Forza Italia.

Se è vero che l’esito elettorale non ha modificato i rapporti di forza tanto da incidere sull’assetto del governo – FI avanti di mezzo punto sulla Lega è un sorpasso importante ma non netto – è però anche vero che le percentuali hanno dato qualche indicazione su come procedere. L’agenda non cambia, ma può ben cambiare l’ordine delle priorità.

L’autonomia

L’autonomia differenziata, che è una legge ordinaria, è tornata in aula per il via libera definitivo alla Camera. La riforma ha natura procedurale, la sostanza – legata alla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni – deve venire disciplinata da un provvedimento del ministero dell’Economia. Al netto del merito, però, è stata la bandiera della Lega in campagna elettorale e di conseguenza il voto ne ha fotografato la percezione, con risultati tutt’altro che rassicuranti per il centrodestra.

Il collegio Sud – in cui la maggior parte dei governatori anche di maggioranza sono critici con l’autonomia - è stato l’unico in cui il Pd ha superato FdI. In Veneto e in Lombardia, regioni storicamente leghiste e guidate dai due alfieri dell’autonomia Attilio Fontana e Luca Zaia, la Lega è stata più che doppiata da FdI, perdendo consensi anche rispetto alle politiche del 2022. Un segno che è stato interpretato da molti come la dimostrazione che le regioni del nord premino la stabilità offerta da Giorgia Meloni più che la bandiera autonomista sventolata dalla Lega. «L’autonomia arriverà, ma grazie al governo di FdI», è la sintesi della dirigenza meloniana del nord, che nega passi indietro ma calcolerà bene a quale velocità attuarla.

«È cominciato l'ultimo miglio di una riforma che cambierà l'Italia», ha commentato Zaia a margine della giornata. «Secessione dei ricchi? No, crescita e modernità per tutti». Eppure, la sensazione diffusa è che il voto europeo abbia fatto perdere mordente alle pretese leghiste: Forza Italia, che controlla le principali regioni del Sud a partire dalla Calabria guidata da Roberto Occhiuto, si è sempre mostrata cauta e ora che il voto ha ribaltato il rapporto di forza con il partito di Salvini questo surplus di riflessione verrà ulteriormente caldeggiato.

Proprio in questo solco hanno puntato a incunearsi le opposizioni: «Il sostanziale ridimensionamento elettorale della Lega di Matteo Salvini impone un immediato stop al progetto spacca-Italia», è stato il commento di Filiberto Zaratti, capogruppo di Avs in commissione Affari costituzionali della Camera. Un’interpretazione che, con altri toni, alberga anche nella parte più meridionalista della maggioranza.

Premierato e giustizia

Sulle altre due riforme costituzionali è arrivata come un fulmine a ciel sereno la dichiarazione a Repubblica del ministro di FdI, Guido Crosetto: «Mi pareva di aver capito che si volesse dare in questa fase la priorità alla riforma della giustizia, perché quella del premierato andava maturata e spiegata al meglio».

Queste parole hanno influito sul clima in cui il premierato è tornato martedì 11 in aula al Senato, appesantito anche dalle mani avanti messe dalla premier in campagna elettorale con quel «chissenefrega» alla domanda su una bocciatura al referendum.

L’agenda rimarrà invariata e il premierato ne è al centro, assicurano fonti di FdI. Tuttavia quel «maturata meglio» pronunciato da Crosetto non sarebbe stato usato a caso: il testo zoppica ancora e margini di ritocco potrebbero essere trovati alle giuste condizioni. In ogni caso, ora che le elezioni europee sono passate senza scossoni, l’esigenza di procedere a passo di marcia non esiste.

Anche per questo, parallelamente, il fronte della giustizia potrà essere aperto. La riforma costituzionale di separazione delle carriere e smembramento del Csm deve ancora arrivare in parlamento ma presto inizierà il suo iter e le sensazioni dentro la maggioranza sono buone. Anche perché, a differenza del premierato, c’è già una convergenza con Azione e Italia viva che darebbe concreti margini di poter arrivare al sì senza il rischio del referendum.

Non solo: la dinamica politica più congegnale alla narrazione del governo Meloni è quella di trovare un nemico e le toghe sono perfette per il ruolo. O meglio le toghe «correntizzate», come ha detto Nordio. Sferrato l’attacco, ora aspetta la risposta.

Arriverà il 15 giugno, quando l’Anm ha convocato un direttivo urgente per decidere come procedere. In campo c’è ancora l’ipotesi dello sciopero, che alzerebbe il livello di tensione ma che rischia l’effetto boomerang. L’ultimo sciopero organizzato nel maggio 2022 contro la riforma Cartabia, infatti, ha raggiunto appena il 48 per cento di adesioni. Se così fosse di nuovo, le toghe darebbero un’arma formidabile al governo, finendo per rafforzare invece che bloccare la riforma.

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