La proroga automatica delle concessioni balneari è illegittima. Dopo il Consiglio di Stato e la Corte di Giustizia Ue, l’ha affermato anche la Corte costituzionale, chiamata a valutare una legge della Regione Sicilia. La sentenza consente di evidenziare il pasticcio causato dall’esecutivo nazionale che non si adegua alla direttiva Bolkestein. Pasticcio che danneggia sia gli operatori del settore sia chi frequenta le spiagge italiane
La proroga automatica delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo, cosiddette concessioni balneari, è illegittima. L’ha affermato la Corte costituzionale in una sentenza (n. 109) pubblicata il 24 giugno scorso, con riguardo alla legge di Stabilità 2023-2025 con cui la Regione Sicilia, nel febbraio 2023, ha disposto la proroga al 30 aprile 2023 del termine per la presentazione delle domande di rinnovo delle concessioni e di quello per la conferma, in forma telematica, dell’interesse all’utilizzazione del demanio marittimo.
Con tale proroga, secondo la Corte, la Regione ha indirettamente confermato il termine del 31 dicembre 2033, stabilito nel 2019 da una legge regionale (n. 24), per la validità delle concessioni balneari, «perpetuandone il mantenimento» da parte degli attuali concessionari e creando così una «barriera in entrata per nuovi operatori economici».
La questione di legittimità era stata sollevata dal governo, che rimproverava al legislatore siciliano di essere andato oltre le proprie competenze e violato l'articolo della Costituzione (art. 117) che vincola anche il legislatore regionale al rispetto degli obblighi posti dall’Ue, sanciti in questo caso dalla direttiva Bolkestein.
Le concessioni balneari nella legge e nelle sentenze
La sentenza assume particolare rilievo in quanto, dopo il Consiglio di Stato e la Corte di Giustizia dell’Unione europea, anche il giudice delle leggi afferma che le concessioni demaniali in scadenza vanno messe a gara, nel rispetto del principio di concorrenza, cardine della Bolkestein.
Nel novembre 2021, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con due sentenze gemelle (CdS, n. 17 e n. 18) – una è stata annullata dalla Cassazione, ma l’altra è passata in giudicato - aveva stabilito che la proroga automatica delle concessioni balneari fosse in contrasto con il diritto dell’Ue; che le concessioni sarebbero rimaste efficaci sino al 31 dicembre 2023, decadendo dopo tale data; e che le norme nazionali di proroga andassero disapplicate sia dai giudici sia dagli organi amministrativi.
La legge sulla concorrenza dell’agosto 2022 (n. 118), predisposta dal governo di Mario Draghi, si era adeguata alla decisione del CdS, abrogando le norme che estendevano le concessioni al 31 dicembre 2033 e fissando la scadenza al 31 dicembre 2023 (o 2024 per difficoltà oggettive).
Ma, con emendamenti al decreto Milleproroghe, nel febbraio 2023 il governo di Giorgia Meloni aveva disposto un'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2024 (o al 2025 per difficoltà oggettive).
«Anche nell’ordinamento della Regione Siciliana – afferma la Corte – la materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo è stata segnata, negli anni più recenti, da analogo percorso, incentrato essenzialmente sulle proroghe automatiche dei rapporti in essere».
Nel marzo del 2023 era poi intervenuta una sentenza della Corte di giustizia Ue (causa C-348/22) la quale, confermando l’applicabilità diretta della Bolkestein (self-executing), aveva ribadito – come già in pronunce precedenti – che le concessioni balneari «non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente».
Il caos creato dal governo
La pronuncia della Consulta consente di rilevare diverse contraddizioni del governo di Giorgia Meloni.
Nell’aprile 2023 ha fatto ricorso contro la legge siciliana anche per violazione della Bolkestein, ma a propria volta, anziché applicarla, come imposto dalle molte sentenze citate, ha provato ad aggirarla con una mappatura delle coste, finalizzata a escluderne la scarsità, presupposto per l’applicazione della direttiva.
La mappatura si è risolta in una farsa, come attestato dalla Commissione Ue in un parere del 16 novembre scorso: l’Italia ha spacciato come disponibili aree ove è impossibile o vietato collocare stabilimenti balneari. In questi mesi sono proseguite le “interlocuzioni” con la Commissione Ue, ma di esse non si ha più notizia. Evidentemente, si aspetta l’insediamento della nuova Commissione, sulla cui “benevolenza” Meloni fa forse affidamento. Ma intanto non si arresta la procedura di infrazione a carico dell’Italia e si susseguono le pronunce del CdS che continuano a ribadire l’illegittimità delle proroghe.
La recente sentenza della Consulta, che comporta un intervento di “rattoppo” da parte del legislatore siciliano, consente di evidenziare, ancora una volta, il pasticcio causato dall’esecutivo nazionale che non si adegua alla Bolkestein, creando un’incertezza normativa e operativa che danneggia sia gli operatori del settore sia chi frequenta le spiagge italiane. Per un governo che afferma di valorizzare il turismo made in Italy, non proprio un buon risultato.
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