La storia delle concessioni balneari, e della loro mancata messa a gara, necessita che saltuariamente si faccia il punto della situazione. Specie perché da ultimo sono accaduti alcuni fatti che vanno messi in relazione fra di loro, riannodandone i fili.

Le ultime sentenze del Consiglio di Stato

Le norme che dispongono proroghe delle concessioni balneari sono illegittime e, pertanto, vanno disapplicate. Il Consiglio di Stato (CdS) ha ribadito con tre recenti pronunce quanto già affermato in sentenze precedenti. Ma stavolta ha lasciato il governo privo di alibi normativi.

È inutile – affermano i giudici – continuare a invocare la «questione della scarsità delle risorse», presupposto per l’applicazione della direttiva Bolkestein. Scarsità che il governo di Giorgia Meloni tenta di comprovare mediante la mappatura di un Tavolo tecnico. Innanzitutto, anche qualora si dimostrasse che «in alcuni casi specifici non c’è scarsità» – dice il CdS – le norme che attualmente dispongono le proroghe vanno disapplicate perché riguardano tutti i casi, quindi precludono in assoluto le gare, vanificando la direttiva.

Inoltre, anche ove si ritenesse che le spiagge non siano una risorsa generalmente scarsa, le procedure selettive sarebbero comunque imposte dal Trattato sul funzionamento dell’Ue (art. 49 Tfue) in presenza di un interesse transfrontaliero certo per le relative concessioni. Interesse rilevato già nel 2021dall’Adunanza plenaria del CdS, che aveva sottolineato la «eccezionale capacità attrattiva» verso le imprese di altri Stati membri che «da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica».

E se non ci fosse né scarsità della risorsa né interesse transfrontaliero, è lo stesso diritto nazionale a prescrivere in ogni caso una procedura selettiva. Le concessioni – precisano i giudici – sono «provvedimenti per loro natura limitati nel tempo, soggetti a scadenza, e comunque non automaticamente rinnovabili in favore al concessionario uscente», ma da assegnarsi con una «procedura comparativa ispirata ai fondamentali principî di imparzialità, trasparenza e concorrenza».

Nella giornata di ieri, il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, ha inviato una lettera al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, chiedendo di sollevare presso la Corte costituzionale il conflitto di attribuzione nei riguardi del CdS. Quest’ultimo, imponendo la disapplicazione delle norme che prevedono la proroga delle concessioni, a prescindere da qualunque intervento del legislatore, avrebbe invaso la sfera di quest’ultimo. Perciò si chiede che sia la Corte costituzionale a pronunciarsi circa il corretto esercizio della potestà giurisdizionale.

Secondo Foti, le pronunce del CdS contraddicono «lo spirito stesso della legislazione di derivazione comunitaria, che prevede che una Direttiva (in questo caso la Bolkestein) venga recepita con specifiche norme di legge». Forse Foti non rammenta che l’Adunanza Plenaria del CdS, nel 2021, si era già espressa sulla diretta applicabilità della direttiva Bolkestein e che le sue conclusioni erano state confermate dalla Corte di Giustizia Ue nell'aprile 2023: le norme di quest’ultima sono sufficientemente dettagliate e non richiedono l’intervento del legislatore per essere applicate. Per cui le norme nazionali che contrastano con la direttiva devono essere disapplicate dai giudici nazionali e dalle pubbliche amministrazioni.

Gli indennizzi ai concessionari uscenti

Dunque, ben tre normative – direttiva Bolkestein, art. 49 Tfue e diritto nazionale – impongono le gare, e il governo deve prenderne atto.

Invece, cosa fa la maggioranza? Anziché indirle immediatamente, anche per bloccare la procedura di infrazione già avviata in sede Ue, inizia dalla fine, cioè dagli indennizzi ai concessionari uscenti, per offrire loro un salvagente, forse per la consapevolezza che dalle gare ormai non si sfugge. Un disegno di legge di Fratelli d’Italia prevede l’abrogazione dell’articolo 49 del codice della navigazione, secondo cui, al cessare della concessione, le opere non amovibili degli stabilimenti vengono acquisite dallo Stato senza indennizzo ai concessionari uscenti.

Gli indennizzi erano stati già previsti, nell’agosto 2022, dalla legge sulla concorrenza varata dal governo di Mario Draghi (n. 118), che individuava alcuni criteri per la messa a gara delle concessioni balneari e delegava il governo a definirli in appositi decreti. L’esecutivo di Giorgia Meloni, però, aveva lasciato scadere i termini della delega. Ora il disegno di legge recupera e valorizza il principio dell’indennizzo, ma non i criteri per le gare. A ciò supplisce il CdS che, nelle ultime sentenze, ribadendo la necessità di bandire subito procedure competitive, afferma che comunque si potranno utilizzare «i principi della legge 118/2022 ancorché non santificati in decreti attuativi».

Ancora un elemento. La norma sui mancati indennizzi che si vuole abrogare è ora al vaglio della Corte di Giustizia dell’Ue, che si pronuncerà a breve sulla sua compatibilità con il diritto europeo (artt. 49 e 56 Tfue). Prima di modificarla, forse sarebbe meglio attendere la pronuncia.

La stagione balneare 2024

Secondo le citate sentenze del CdS, per la stagione balneare 2024 è ammissibile «la sola proroga “tecnica”», prevista dalla legge sulla concorrenza del 2022, «per il tempo strettamente necessario» a concludere le gare. Per fruire di tale proroga – dicono i giudici – le autorità amministrative «devono avere già indetto la procedura selettiva o comunque avere deliberato di indirla in tempi brevissimi». In tutti gli altri casi, la maggior parte, le concessioni sono illegittime. Per ribadire questo punto, gli attivisti di Mare libero stanno occupando in modo pacifico – con asciugamani e ombrelloni – varie spiagge, Papeete e Twiga tra le altre.

Chissà se queste iniziative riusciranno a sensibilizzare sul tema gli altri bagnanti, e i cittadini in generale, in modo più efficace delle sentenze.

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