Non ci sono più alibi per la messa a gara delle concessioni balneari. Tuttavia, il governo pare voglia concedere ancora dei margini agli attuali gestori, con una proroga automatica generalizzata fino a dicembre 2025, e poi con un’ulteriore estensione al 2027 o al 2029. Il piano presenta molti profili critici in punto di diritto
Non ci sono più alibi per la messa a gara delle concessioni balneari. Le pronunce dei giudici, dal Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia dell’Unione europea alla Corte costituzionale, sono concordi. Tuttavia, il governo pare voglia concedere ancora dei margini agli attuali gestori. L’idea sarebbe quella di prorogare fino al 31 dicembre 2025 le concessioni in essere, e intanto dettagliare qualitativamente la mappatura delle coste: nelle regioni in cui risultasse meno del 25 per cento di spiagge libere, le gare andrebbero fatte nel 2027; dove, invece, si riscontrasse una percentuale superiore, la durata delle concessioni si protrarrebbe a tutto il 2029.
Le nuove proroghe
Il governo pare non considerare che una estensione automatica della durata al 31 dicembre 2025 contrasterebbe con la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, nel novembre 2021, ha fissato al 31 dicembre 2023 la scadenza delle concessioni e affermato che qualunque proroga automatica oltre tale termine è da considerarsi illegittima. L’illegittimità è stata confermata dalla Corte europea nell’aprile 2023.
Quanto all’allungamento della durata addirittura fino al 2030, l’intento di palazzo Chigi si fonda su uno specifico passaggio della pronuncia della Corte Ue: nel verificare la scarsità delle spiagge, presupposto per l’applicazione della direttiva Bolkestein, lo stato membro può operare una valutazione «valida per tutto il territorio nazionale» oppure «privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero» o «combinare tali approcci». Quindi, il governo reputa che, ove dalla mappatura emerga che in alcuni tratti non c’è scarsità, la proroga non sarebbe preclusa.
L’obbligo di messa a gara
L’esecutivo, tuttavia, non considera quanto affermato dal Consiglio di Stato nel maggio scorso: anche qualora si dimostrasse che «in alcuni casi specifici non c’è scarsità», si dovrebbe ugualmente procedere alle gare. Queste ultime – affermano i giudici – sono comunque imposte dal Trattato sul funzionamento dell’Ue (art. 49 Tfue) quando c’è un interesse transfrontaliero certo per le relative concessioni. Interesse riconosciuto già nel 2021 dallo stesso Consiglio, che ha rilevato la «eccezionale capacità attrattiva» che «da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica».
E se non ci fosse né scarsità delle spiagge né interesse transfrontaliero, è lo stesso diritto nazionale a prescrivere la gara. Infatti, le concessioni – prosegue il Consiglio – sono «provvedimenti per loro natura limitati nel tempo, soggetti a scadenza, e comunque non automaticamente rinnovabili in favore al concessionario uscente», ma da assegnarsi con una «procedura comparativa ispirata ai fondamentali principî di imparzialità, trasparenza e concorrenza».
Dunque, dalle gare non si sfugge.
Prelazione e indennizzo
Ulteriori elementi del piano del governo emergono dalle parole di Matteo Salvini, che vuole tutelare gli attuali balneari mediante prelazione e indennizzo.
La prelazione, ha spiegato il ministro dei Trasporti, significa che se un partecipante alla gara offre una certa somma per il canone di locazione, il concessionario uscente, qualora sia disposto a pagare la stessa somma, deve avere «l’ultima parola» e vincere la gara stessa. Ma ciò è contrario alla Bolkestein, che vieta di accordare «vantaggi al prestatore uscente» (art. 12). Per una norma che violava tale principio, l’Ue ha avviato una procedura di infrazione contro il Portogallo nel 2022. Diverso sarebbe prevedere tra i criteri dei bandi anche uno che valorizzi l’esperienza maturata nella gestione dei lidi.
Quanto all’indennizzo che chi subentra nella concessione dovrebbe versare a chi la lascia, a titolo di “rimborso” per gli investimenti fatti, il ministro non considera che in molti casi gli attuali gestori hanno avuto ampiamente il tempo di ammortizzare tali investimenti durante la lunga durata del loro contratto. Inoltre, disporre un indennizzo a carico del soggetto entrante rischia, da un lato, di disincentivare i potenziali interessati dal partecipare alla gara, con buona pace della concorrenza sancita dalla direttiva Bolkestein; dall’altro lato, di violare il citato divieto di attribuire vantaggi ai concessionari uscenti.
Insomma, alto è il rischio che il piano del governo sulle concessioni marittime si infranga contro gli scogli di norme e sentenze. Ma a Meloni ciò sembra non importare: le sanzioni derivanti dalla procedura di infrazione Ue le pagherebbero comunque i cittadini contribuenti. La presa in giro sui balneari può proseguire.
© Riproduzione riservata