Il capodelegazione a Bruxelles: «Serve una reazione fortissima, è proprio così che è stato costruito il modello ungherese, una crepa alla volta». «Al mio partito serve una nuova classe dirigente, se vogliamo rifondarlo, la prima fila non può essere occupata da quelli che lo hanno governato negli ultimi dieci anni»
Brando Benifei, lo scorso week end a Roma lei ha riunito un bel gruppone di under 40 del Pd. Non dovreste essere voi, giovani dem, a guidare la rivolta contro le norme liberticide?
Siamo pronti a scendere in piazza già in questi giorni se il governo non farà immediatamente marcia indietro: queste norme non servono per i rave, mettono invece a rischio la libertà di manifestare e di riunirsi senza la paura di essere individuati come pericolosi per l'ordine pubblico e persino incarcerati. Giorgia Meloni ci spinge dritti verso la voragine orbaniana. Serve una reazione fortissima perché è proprio così che è stato costruito il modello Orbán, una crepa alla volta fino a fare una voragine.
Benifei, capodelegazione Pd a Bruxelles si è messo a capo di un qualcosa che si chiama «Coraggio Pd» – sigla ammiccante all’Emilia Coraggiosa di Elly Schlein – che, spiega, «nasce dalla necessità molto sentita da tanti, soprattutto miei coetanei (è del 1986, ndr), di dare una scossa e prendere sul serio la fase costituente. Le tante autocandidature rischiano di vanificare l'idea che il Pd ha bisogno, prima di tutto, di una discussione seria sulla sua identità politica: dobbiamo essere ancora quelli del 2008 e 2013? Abbiamo lanciato la mobilitazione di quello che può essere il futuro gruppo dirigente nazionale. Un gruppo dirigente che c’è già nei territori, da Monza a Milano a Verona a Roma: una generazione di amministratori, dirigenti politici, segretari di federazione, consiglieri, assessori, anche persone legate a mondi associativi e sindacali.
E a nome loro lei si candida alla segreteria?
Le candidature le decideremo a gennaio, come da regolamento. Prima dobbiamo la discussione sulla fase costituente. Non possiamo escludere nulla: valuteremo se ci sono candidature che ci convincono o se dovremo esprimerne una noi.
Siete in nuovi rottamatori?
No, non escludiamo nessuno, ma il Pd non può essere quello che è stato fin qui. Dobbiamo essere il partito del socialismo europeo e riprendere la battaglia sui temi della democrazia su cui abbiamo fatto gravissimi errori in questi anni: il taglio del finanziamento pubblico ai partiti, il taglio dei parlamentari, quello delle province. E il jobs act.
Sul jobs act nel Pd ci sono idee diverse: vi peserete e poi sarete di nuovo punto e a capo?
La fase costituente non sarà un “volemose bene”. Il jobs act aveva una cultura di fondo che noi oggi dobbiamo rigettare, quella della disintermediazione e del disprezzo verso il sindacato.
Ha nominato leggi volute da Enrico Letta e Graziano Delrio. Devono passare la mano?
Sono state gravi errori. Va aperto un confronto pubblico. Ma soprattutto non è possibile che gli stessi si propongano di guidare una nuova fase. Ma lo ha detto anche Enrico Letta: non si ricandiderà e darà una mano a una nuova generazione. Non saremmo credibili se la nostra rifondazione politica venisse portata avanti dagli stessi. Che hanno fatto cose positive, ma anche errori.
Intende i capicorrente che governano il Pd dal dopo-Renzi, Franceschini, Orlando e Guerini: dovrebbero fare un passo indietro?
Lo hanno già fatto. Resta che sono figure che hanno un bagaglio di esperienza e competenza fondamentale per il futuro del partito. Ma oggi la prima fila del partito non può essere la stessa che ha guidato le fasi precedenti. E va apprezzato molto lo sforzo di Orlando di promuovere nuova classe dirigente. Ma oggi abbiamo bisogno di un dibattito in libertà e apertura, e senza meccanismi di cooptazione dall'alto.
Lei non è della corrente guidata da Orlando?
Ora parte un congresso, dobbiamo discutere su cosa vogliamo fare nella fase costituente. Le candidature verranno messe in campo da gennaio e ridisegneranno anche il quadro politico interno. Parlare delle correnti del passato oggi non ha senso.
Però sembra un discorso da rottamatori.
No, anzi questa categoria nasconde l’idea che se non c'è una forma di cooptazione o delfinato qualunque iniziativa autonoma che mette insieme mobilitazione e consenso è una forma di rottamazione. Che invece è un concetto sbagliato, la sostituzione furbesca di avversari con amici, sempre con la cooptazione e non sempre di grande qualità.
Serve un Pd più radicale e di sinistra?
Sì. Di fronte a una destra che fa la destra, che ci spinge verso la voragine orbaniana, le persone hanno bisogno di sentire un’alternativa netta e chiara. Di un Pd che fa la sinistra.
Il Pd che ha in mente guarda a ai Cinque stelle o a Carlo Calenda?
A livello territoriale noi spesso governiamo insieme, in coalizioni larghe che tengono insieme tutte le attuali opposizioni parlamentare, penso al Lazio, e dobbiamo dare forza e autonomia alle scelte dei nostri territori. Sul piano nazionale il tema è coordinarci con le altre opposizioni. Di alleanze si parlerà dopo che avremo ridefinito noi stessi e una nuova leadership.
Con i Cinque stelle fareste la parte della destra del centrosinistra?
No, Conte rifiuta di persino di dire la parola sinistra, dice progressisti.
Lei è il capo della delegazione Pd a Bruxelles, vorrebbe un Pd socialista?
Serve un'identità socialista europea più definita. I socialisti spagnoli, portoghesi, la Spd in Germania, hanno sono esempi di rigenerazione politica dopo le sconfitte con un nuovi gruppi dirigente e nuove leadership. Il Pd si deve collocare in maniera più netta nel socialismo europeo e per l'idea di una Europa politica più unita.
La Germania guidata dalla Spd non sta dando precisamente segnali di solidarietà europeista.
Non direi così, la scelta di Scholz di finanziare con grande quantità di danaro pubblico una risposta all'aumento delle bollette è stata poi mitigata dalla sua apertura a nuove forme di indebitamento comune e di prestiti agevolati che creino una leva finanziaria comune per gli europei. Non sono favorevole alle scelte nazionali ma la risposta non può che essere fare insieme di più. Nella Ue serve un salto di qualità politico.
Non è che questo salto di qualità ce lo farò fare Meloni?
Meloni si è sempre battuta per un'idea confederale, e cioè per un'Europa più debole. Un impianto contrario agli interessi nazionali. Forse ora, al governo, sta correggendo la rotta. La vedremo alla prova. Ma in questi anni ha votato sempre contro le misure parità salariale uomo-donna, contro il diritto universale all'interruzione di gravidanza, e mentre noi, con David Sassoli, ci battevamo per il Next Generation Eu, lei proponeva che l'Italia facesse un prestito dal Fondo monetario internazionale, quando in America governava Trump.
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