- La leader di Fratelli d’Italia non ha mai davvero cercato di costruire un feeling politico con l’ex presidente del Consiglio. Portando a compimento l’obiettivo di Gianfranco Fini: la rottamazione di Berlusconi.
- Un dato accertato è che FdI è nato, nel 2012, con una scissione nel Pdl in dissenso con la decisione berlusconiana di annullare le primarie del centrodestra.
- Il punto di non ritorno è stato sicuramente raggiunto all’inizio di quest’anno, nei giorni in cui Berlusconi ambiva all’elezione al Quirinale. Ma la leader di FdI non sostenne pienamente la sua candidatura.
Il foglio scritto a mano di Silvio Berlusconi a palazzo Madama e la replica all’insegna del «non sono ricattabile» di Giorgia Meloni sono solo l’ultimo atto di un feeling politico mai sbocciato. E che la leader di Fratelli d’Italia non ha mai davvero cercato di costruire, portando nei fatti a compimento quello che era l’obiettivo di Gianfranco Fini: la rottamazione del Cavaliere.
Le cronache di questi giorni consegnano un ribaltamento della scena: adesso è Berlusconi a pronunciare, metaforicamente, il «che fai mi cacci?», di finiana memoria, dal governo. L’operazione di Meloni prevede dei passaggi ben precisi: mettere ai margini Forza Italia nella squadra dei ministri, che saranno scelti in base al proprio gradimento.
Ripicche e insulti
Ma al netto di quel che sarà nelle prossime settimane, è la storia a raccontare di una relazione sempre sul filo del rasoio. Con un peccato originale: la mancata fascinazione da parte di Meloni verso il padre nobile del centrodestra, come ama definirsi l’ex presidente del Consiglio.
Le ragioni sono molteplici. Ci sono aspetti personali, per esempio il carattere molto diverso, e generazionali, con una evidente differenza anagrafica, 45 anni lei e 86 anni lui. E infine c’è un dato politico: la numero uno di FdI è consapevole di aver conquistato la guida della coalizione senza aver dovuto chiedere il permesso all’anziano leader forzista. Verso di lui non ha dunque alcuna sudditanza psicologica. Berlusconi non ha mai tollerato questo approccio, considerandolo un affronto.
Anche per questo ha mostrato, spesso in maniera plateale, la propria preferenza nei confronti di Matteo Salvini. Un caso significativo risale a marzo, nel corso della cerimonia che ha suggellato, seppure non ufficialmente, il legame con la deputata Marta Fascina.
In quell’occasione, tra gli invitati, c’è un’assenza pesante: Giorgia Meloni. E Berlusconi non perse l’occasione per definire Salvini «il leader più sincero». Un modo per tracciare il parallelo a distanza con Giorgia Meloni, che era già stata etichettata come «ingrata e irriconoscente». Aggettivi che rappresentavano il preludio, per certi versi soft, al «supponente e arrogante», affibbiato nell’ormai celebre foglietto compilato sui banchi del Senato.
Nella galleria delle ripicche c'è l'affermazione del presidente degli azzurri, che recitava: «Giorgia farà la fine della Le Pen», in riferimento alla capacità di aumentare i consensi senza poi poterli tradurre in possibilità di governare.
Addirittura nei primissimi giorni di campagna elettorale Berlusconi sosteneva una tesi polemica: «Meloni spaventa gli elettori», resistendo all’ipotesi di cederle la guida del centrodestra. Da parte sua, la premier in pectore ha assunto una linea chiara verso Berlusconi: «Non gli devo niente»; lasciando così intendere che il ruolo da ministra delle Gioventù, nel governo formato nel 2008, non fu una gentile concessione, bensì il frutto di un accordo politico.
Spaccatura Quirinale
Il punto di non ritorno è stato sicuramente raggiunto all’inizio di quest’anno, nei giorni in cui Berlusconi ambiva all’elezione al Quirinale. Aveva chiesto una prova di compattezza all’intera coalizione per presentarsi come un profilo credibile, appoggiato titubanze dal centrodestra.
Puntava a realizzare il sogno di una vita: la scalata al Colle. Per questo convocò gli alleati a Villa Grande, proponendo le fotografie con sorrisi a favore di telecamere. Il tentativo era palese: ostentare una granitica compattezza. Il progetto è naufragato in malo modo. In quelle ore il leader di Forza Italia percepì lo scetticismo della presidente di FdI, che del resto non aveva perso tempo a dichiarare: «Se Berlusconi rinuncia, abbiamo altri nomi», scalfendo il muro creato sul nome del leader forzista.
Non che in passato ci sia stato un idillio. Anzi, sempre al Quirinale, proprio all’interno del palazzo, nel 2018 si è verificato un altro momento di tensione acuta.
Erano i giorni delle consultazioni dopo le elezioni politiche. Matteo Salvini, come previsto, parlò con i giornalisti a nome della coalizione, al termine dell’incontro con il presidente Sergio Mattarella. Al suo fianco c’era Berlusconi che fece lo show con l'enumerazione dei punti del discorso del leghista. E chiuse la conferenza stampa con un altro fuori programma: spostò Meloni, prendendosi il microfono e rivolgendosi ai cronisti con l’invito a «fare i bravi». Un gesto con cui si prese definitivamente la scena del momento.
Pochi minuti dopo, un video svelò come, parzialmente coperti da una tenda, Meloni e Berlusconi stessero animatamente discutendo mentre Salvini assumeva un’espressione perplessa e infastidita. Nulla di nuovo, peraltro.
Le cronache del 2016 riportano alla memoria il modo con cui Berlusconi chiuse all’ipotesi di puntare su Meloni per la corsa a sindaco di Roma, adducendo come motivazione la sua imminente maternità. «È una cosa chiara a tutti che una mamma non può dedicarsi a un lavoro che, in questo caso, sarebbe terribile perché Roma è in una situazione disastrosa», disse l’ex premier che sponsorizzava con forza la candidatura di Guido Bertolaso.
Tutto nasce con una scissione
Ma non è certo un caso isolato. Un fatto politico ne è diretta testimonianza: Fratelli d’Italia è nato da una scissione nel Popolo delle libertà, causata dalla fuoriuscita di Meloni e di altri esponenti come Guido Crosetto, nome caldo del totoministri, e il neo presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Fu un’iniziativa di dissenso verso Berlusconi, che nonostante le dimissioni da presidente del Consiglio volle ripresentarsi come leader del centrodestra alle elezioni del 2013, annullando le primarie che erano già state convocate. La spaccatura è in parte finita nel dimenticatoio, ma fin da allora il rapporto si è deteriorato.
Certo, c’è qualche traccia nella storia di Meloni che ha usato parole a favore di Berlusconi. Per esempio all’epoca dell’inchiesta sul caso Ruby. In quell’occasione, l’allora ministra per le Politiche della gioventù soccorse il premier: «Si sta delineando un'operazione giudiziaria che non sembra interessata a perseguire dei reati, ma solo a sfregiare l'immagine del premier eletto dai cittadini italiani».
E agli atti resta qualche dichiarazione di stima berlusconiana nei confronti di Meloni, come nell'intervista del 2017 al settimanale Tempi: «Di Giorgia ho sempre apprezzato determinazione, la competenza, il coraggio intellettuale, la capacità di analisi». Una delle eccezioni, di complimenti generosi, che confermano la regola di tensioni costanti. All’insegna del non c’eravamo mai amati.
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