Era finito in un cono d’ombra dopo la débâcle elettorale in Emilia-Romagna. Ma Galeazzo Bignami, amico di vecchia data di Giorgia Meloni, era comunque uno dei pochi nomi ritenuti spendibili a disposizione nel carniere del toto-capogruppo alla Camera.

Una mancanza di soluzioni plausibili che ha portato a un’operazione-blitz da parte di Meloni. Niente attese snervanti, zero possibilità di confronto.

Ambizioni frustrate

E pazienza per chi è rimasto male della “bocciatura”. Il prescelto è stato annunciato in concomitanza dell’ufficializzazione della nomina di Tommaso Foti come sostituto di Raffaele Fitto. A dispetto anche della foto di Bignami – risalente a un addio al celibato nel 2005 – con indosso una divisa nazista.

Uno scatto che il dirigente meloniano ha derubricato a «goliardia» chiedendo scusa per la leggerezza. E sulla sua selezione non ha pesato nemmeno la sbandata berlusconiana che ha caratterizzato una fase della sua carriera politica: con lo scioglimento del Popolo delle libertà, aveva aderito a Forza Italia, restando con gli azzurri per circa 6 anni, prima di tornare alla casa-madre, al caldo della fiamma di Fratelli d’Italia dove è stato accolto a braccia aperte.

In ossequio all’inossidabile formazione nella destra radicale bolognese, figlio di Marcello Bignami, esponente emiliano del Movimento sociale italiano. I malumori non mancano. Dentro FdI c’è chi mastica amaro, dopo aver accarezzato il sogno di approdare alla presidenza del gruppo. In rampa di lancio c’era l’ex sottosegretaria all’Università, Augusta Montaruli, una fedelissima di Meloni, che l’avrebbe pure promossa volentieri. Solo che sulla parlamentare piemontese grava la condanna definitiva per peculato per le spese fatte quando era consigliera regionale in Piemonte.

L’incarico delicato da capogruppo avrebbe alimentato le polemiche, prestando il fianco agli affondi delle opposizioni. E resta frustrata pure l’ambizione di Manlio Messina, attuale vicecapogruppo, che sarebbe stato l’erede naturale di Foti alla luce della gerarchia a Montecitorio.

Anche in questo, però, Meloni ha dovuto fare i conti con le pecche della sua classe dirigente. Messina, come ricostruito dal Fatto Quotidiano, ha avuto un diverbio con Giovanni Donzelli in seguito alle vicende dei fondi pubblici in Sicilia – rivelati da Domani – che hanno riguardato Carlo Auteri, consigliere all’Ars e notoriamente uomo molto vicino a Messina. Tanto da averlo definito un «amico», anzi «un fratello».

Un altro nome tramontato rapidamente è stato quello di Francesco Filini, pupillo del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che lo ha voluto a capo del centro studi del partito, ritenuto uno snodo strategico del partito. Nemmeno la sponsorizzazione deluxe del consigliere di Meloni è stata sufficiente. Filini è alla prima legislatura, troppo inesperto per assumere la guida di un drappello nutrito e variegato di deputati.

Già Foti, che pure è una vecchia conoscenza del parlamento, a inizio legislatura ha faticato a fare il capogruppo. Sottovoce c’era chi sussurrava che non fosse all’altezza del compito ereditato da Francesco Lollobrigida, che da presidente dei deputati ha brillato più che da ministro dell’Agricoltura. Foti ha poi preso le misure e si è imposto come ventriloquo dei desiderata del partito. Fino a diventare ministro.

Scelta forzata

Fatto sta che, già nel primo pomeriggio di martedì 3 dicembre, Fratelli d’Italia chiuderà la pratica con la convocazione dell’assemblea del gruppo alla Camera, che voterà Bignami al posto di Foti, catapultandolo nel vortice della manovra. Dalla prossima settimana, infatti, dovrebbero iniziare le votazioni degli emendamenti alla legge di Bilancio. E bisognerà tenere il polso fermo.

Ancora una volta, comunque, Meloni ha dovuto fare i conti con la difficoltà di attingere a una deficitaria classe dirigente del partito. «I nomi dei big sono tutti al governo», ammettono dai vertici di palazzo Chigi. Costringendo la presidenza del Consiglio a mettere mano al delicato puzzle con lo spostamento di Bignami dal ruolo di viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che richiederà la necessità di individuare un sostituto. E peraltro da qualche mese il nome di Bignami rimbalzava come possibile ministro del Pnrr e delle politiche di coesione. L’opzione è stata scartata.

Le sue quotazioni erano date in discesa: si racconta che a via della Scrofa non abbiano gradito l’andamento delle regionali in Emilia-Romagna con la brutta sconfitta nel territorio d’elezione del futuro capogruppo.

Da come è maturata, insomma, la scelta di Bignami è stata forzata. Lo testimonia il fatto che il vero primo candidato, per rimpiazzare Foti, fosse Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia.

Lo stesso Donzelli, però, non è sembrato entusiasta di rinunciare al suo ruolo nel partito. In pratica è il numero due, alle spalle delle sorelle Meloni. Insomma, ci sarebbe stato un effetto domino pericoloso. «Anche se di fronte al diktat di Giorgia Meloni avrebbe accettato», spiegano da FdI. La premier ha fatto le sue valutazioni. Virando sull’amico Bignami.

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