Come l’editoriale di Stefano Feltri, anche la fondatrice ed ex presidente del Pd Rosy Bindi in un’intervista a La stampa raccomanda lo scioglimento dei dem: «Ci risparmi la resa dei conti interna, perché la ritualità del congresso è ormai accanimento terapeutico»
In un'intervista a La stampa, la fondatrice ed ex presidente del Pd Rosy Bindi chiede lo scioglimento del Pd. Bindi ha promosso, insieme ad altri intellettuali della sinistra, un appello in cui chiede che l’analisi della sconfitta non si esaurisca in un nuovo congresso che scelga un nuovo segretario. «Ci risparmi la resa dei conti interna, perché la ritualità del congresso è ormai accanimento terapeutico», dice.
Anche il direttore Stefano Feltri ha espresso lo stesso concetto nel suo ultimo editoriale. Per salvare il Pd, dice Bindi, bisogna «essere tutti pronti a mettersi a disposizione, fino allo scioglimento dell'esistente, per costruire un campo progressista coinvolgendo quelle realtà sociali che già interpretano il cambiamento e non trovano rappresentanza politica».
Gli errori
Per l’ex presidente del Pd, l’errore è stato quello di appiattirsi sull’agenda Draghi, senza svilupparne una propria ed emanciparsi dal governo uscente in campagna elettorale. Nessuna possibilità, ai suoi occhi, nemmeno da un possibile cambio di leadership: «Ci evitino questo spettacolo».
«Quando Letta divenne segretario, mi permisi di dargli un consiglio – racconta Bindi –. Il Pd sostenga con lealtà il governo Draghi, ma non si dica al paese che questo è il nostro governo. Il Pd non doveva identificarsi con l'agenda Draghi, ammesso che sia mai esistita, perché si trattava di un governo di larghe intese. Bisognava garantire lealtà, sì, ma guardando al futuro».
La fondatrice traccia un parallelo con la guerra: «Non doveva esserci nessun dubbio da che parte stare, ma come starci forse sì, per esempio rivendicando l'autonomia dell'Europa nell'Alleanza atlantica. Se ti appiattisci sul governo Draghi, è naturale che non puoi fare alleanze con chi lo fa cadere».
Bindi non ha parole tenere neanche per il segretario dimissionario Enrico Letta, nonostante, sottolinea, il giudizio sia «più severo con i suoi predecessori». L’ex presidente lo biasima per essersi limitato a portare il partito a un congresso ordinario e per aver puntato molto sul timore del ritorno del fascismo in campagna elettorale. «Non credo sia stato corretto in campagna elettorale sbandierare la paura dei fascisti, ma certe frange estremistiche spero siano tenute a bada. Io però non ho paura del passato, sono preoccupata del futuro: fisco, scuola, sanità».
© Riproduzione riservata