Tutelare le forze di polizia da aggressioni e minacce o individuare gli agenti in caso di condotte scorrette, evitare di mettere alla gogna e sfiduciare le forze dell’ordine o garantire massima trasparenza sul loro operato.

Sono le visioni opposte che si stanno scontrando nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia alla Camera, in una battaglia tra maggioranza e opposizioni a colpi di emendamenti al ddl Sicurezza per inserire i codici identificativi e le bodycam sulle uniformi degli agenti in Italia. 

Il no ai codici alfanumerici

In realtà sui codici alfanumerici – in vigore in quasi tutto il continente – il governo e le forze di maggioranza sono state categoriche, respingendo le proposte di Riccardo Magi, leader di +Europa. «Sono strumenti contro le forze di polizia», ha detto il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, secondo cui «incentivano le denunce facili» contro i poliziotti e li espongono «a una situazione di maggior pericolo e rischio». Parole seguite a ruota dai sindacati come il Sap, che con il segretario generale Stefano Paoloni ha parlato di un rischio di trasformare i poliziotti in «bersagli».

I partiti di destra da tempo fanno proprie le critiche dei sindacati di polizia che osteggiano l’adozione dei codici identificativi. Gli agenti temono di poter diventare riconoscibili a tutti, anche alla malavita o alla criminalità organizzata. In realtà, dal numero sul casco un cittadino qualunque non potrebbe risalire al nome dell’agente in questione, perché non sono dati di dominio pubblico.

Ma visto che i codici potrebbero togliere mano libera ai poliziotti, con qualsiasi persona che potrebbe diventare testimone di episodi controversi e inquadrare con un cellulare il numero relativo a un agente, i sindacati si oppongono. Niente codici identificativi. Poco importa se così facendo sarà più difficile individuare agenti scorretti che screditano tutto il sistema.

Magi, già firmatario di una proposta di legge da cui è partito per formulare l’emendamento poi bocciato, a Domani ha ribadito che l’avversione dei sindacati ai codici, a cui va dietro la destra, è sintomo di una «mancanza di cultura dello stato di diritto», di «una impostazione poco moderna e lesiva del rapporto di fiducia», perché così facendo la trasparenza tra le forze dell’ordine e i cittadini viene meno.

Il sì alle bodycam

Tuttavia, nonostante il no ai codici, il governo ha aperto pubblicamente all’adozione delle videocamere agli agenti, per bocca dello stesso Molteni.

«Ci sarà un emendamento del governo e della maggioranza per prevedere le bodycam sulle divise, a tutela degli operatori delle forze di polizia che mai si sottraggono e si sono sottratte a verità e trasparenza» ha detto il sottosegretario.

Una dichiarazione inusuale per modi e tempi, fatta poco prima della seduta nelle commissioni di giovedì pomeriggio – durante la quale la tensione si è alzata – e dopo che erano state già bocciate le proposte delle opposizioni. L’annuncio di Molteni ha incassato il sostegno dei sindacati di polizia perché, a differenza dei codici, le videocamere restano uno strumento più o meno sotto il controllo delle forze dell’ordine.

Avs e lo stesso Magi hanno reagito con scetticismo, ribadendo come sia necessario comunque integrare le eventuali videocamere con i codici identificativi. Per il Pd, invece, il governo dovrebbe basarsi sull’emendamento firmato dal deputato Matteo Mauri, che rivendica la paternità della proposta.

L’emendamento misterioso

Attualmente l’uso delle bodycam è stato lanciato nel 2022 dal ministero dell’Interno: una sperimentazione limitata, con meno di mille videocamere fornite ad alcuni reparti di polizia e carabinieri.

Secondo quanto detto da Molteni, invece, il loro utilizzo dovrebbe essere esteso. Ancora non si sa come, però: le regole di ingaggio cambieranno? Quali e quanti agenti le indosseranno? Chi decide sul loro utilizzo? Chi potrà visionare le immagini registrate e per quanto tempo?

L’emendamento governativo non è stato ancora presentato ufficialmente alle commissioni, ma è stato elaborato e nella pratica sarà una riformulazione di quello del leghista Igor Iezzi.

Fonti governative, però, a Domani riportano come la proposta al momento non preveda in nessun modo l’obbligo di usare le bodycam, ma solo una generica possibilità. Il che renderebbe tutto molto elastico e dagli effetti astratti.

Inoltre, nella riformulazione dell’emendamento Iezzi sembra sparire la previsione dei fondi necessari a fornire alle forze dell’ordine le videocamere. Insomma, il governo sembra pronto a dire sì alle bodycam, ma senza impegno. La prossima seduta sarà martedì 30 luglio, quando forse se ne capirà di più.

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