L’eurodeputato e leader dei riformisti dem: «In Emilia-Romagna, Iv è al governo con noi, M5s no». «Non si fa un’alleanza sui nomi, ma sui contenuti. Vincere in 3 regioni serve a tutti i progressisti»
Stefano Bonaccini (presidente ed europarlamentare Pd, ndr), dopo la Liguria, Conte ha messo il veto su Italia viva anche in Emilia-Romagna e in Umbria. Renzi ha risposto che resta nella coalizione. Che succede? Salta tutto?
Parliamoci chiaro: in Emilia-Romagna, Iv è stata al governo con noi, negli ultimi cinque anni. Qualcuno ha visto un problema politico? No. I Cinque stelle, viceversa, erano all’opposizione, per scelta loro. Peraltro, riconosco, un’opposizione costruttiva, che consente oggi di fare un passo avanti e allargare a tutte le forze del centrosinistra, compresi M5s, l’alleanza con cui Michele de Pascale si presenterà alle regionali del 17 e 18 di novembre. Veti e pregiudiziali personali non sono accettabili: tutti insieme, proprio in Emilia-Romagna, abbiamo appena vinto in tantissime città.
Conte, come dice Renzi, non vuole la leadership di Schlein?
Elly Schlein, che è la leader del principale partito di opposizione, sta dedicando tutte le proprie energie, e con lei il Pd, per creare le condizioni per battere le destre. Tra poche settimane si vota in Liguria. E tra un mese e mezzo in Umbria ed in Emilia-Romagna. Se vincessimo in quelle regioni ne trarrebbero un beneficio tutte le forze di centrosinistra e, conseguentemente, un colpo le destre. Di questo dovremmo occuparci adesso, dei programmi per governare bene le regioni al voto.
Non è che invece alla fine il no a Renzi è una condizione che il Pd dovrà accettare?
Ho ripetuto mille volte che coi veti e i personalismi si fa solo il gioco della destra. Ogni discussione che comincia e finisce con il nome di una persona o di una forza politica è un regalo a Meloni. I cittadini ci chiedono di costruire un’alternativa credibile alla destra che abbia al centro la sanità e la scuola pubbliche, il lavoro di qualità e i diritti, una politica industriale che sostenga la transizione ecologica. È su queste cose che si decide chi ci sta, non sui veti.
I riformisti del Pd, che lei guida, chiedono che Renzi resti nell’alleanza?
Non si fa una alleanza sui cognomi, ma sui contenuti. I riformisti del Pd sono impegnati al fianco della segretaria Schlein a costruire una coalizione larga su un programma alternativo e migliore rispetto a quello del governo, per mandare a casa la destra alle prossime politiche. Abbiamo rinviato l’appuntamento nazionale di Energia popolare a dopo le regionali proprio a dimostrazione che questo impegno è comune e condiviso. Lì, a fine novembre, avanzeremo proposte per rafforzare la sanità pubblica e la politica per le imprese e il lavoro, per un’Europa più forte, moderna e giusta dopo il Next generation. Chiederemo al Pd di fare fino in fondo il Pd, non di meno.
Ma perché il riavvicinamento con Renzi non è stato concordato con gli alleati?
Così torniamo alle figurine, alle alchimie, e non se ne esce.
Ucraina, Trump, Commissione: a sinistra le distanze sembrano incolmabili. Crede davvero che a livello nazionale l’alleanza si farà?
Guardi che la destra ha contraddizioni ben più grandi su quei dossier. E su altri ancora. Eppure stanno insieme: governano male, ma questo è un altro discorso. Le alleanze si fanno tra diversi, trovando la sintesi migliore e possibile. E sì, credo che l’alleanza si farà.
A questo punto per il Pd non sarebbe consigliabile riunire il centrosinistra e darsi un metodo?
Sì. Penso sia giunto il momento di riunire le forze di opposizione e aprire un cantiere per un nuovo centrosinistra. E credo che a questo cantiere serva anche un’anima popolare, nel territorio, perché l’Italia non comincia e non finisce né a Roma né nei palazzi romani. E un’apertura al civismo, per raccogliere energie, intelligenze e competenze al di là delle sigle. Intendiamoci: se guardo alle amministrative del giugno scorso, vedo bene il passo avanti rispetto alle tornate dell’anno prima. Così come sono fiducioso che un altro passo avanti lo faremo adesso, nel voto delle tre regioni. Ma serve uno scatto perché il prossimo anno si voterà nel doppio delle regioni. E bisogna anche prepararsi al voto delle politiche, per quando ci sarà: la destra sta galleggiando, si addensano nubi e lo spogliatoio si è rotto. Dobbiamo farci trovare pronti.
Intanto la premier Meloni invita von der Leyen al congresso di Ecr: un tentativo di cementare l’asse in Ue fra destra e Ppe?
Nel parlamento europeo c’è una maggioranza chiara, che non comprende la destra: Ecr non ha sostenuto von der Leyen e se lo avesse fatto la presidente non avrebbe avuto i numeri. Un conto è la presenza in Commissione a tutti i governi, come previsto, altro è la chiarezza del mandato della Commissione. Interpreto l’invito di Meloni come un bagno di realismo: se isoli il nostro paese in Europa fai un danno all’Italia. La nostra premier sa di essere politicamente fuori gioco nel Parlamento europeo e sa di avere un problema enorme nella maggioranza che la sostiene.
La destra è evasiva sul piano Draghi: accettare quel piano sarà una condizione per il vostro voto alla Commissione?
Mario Draghi ha illustrato un’agenda chiara e condivisibile per rilancio dell’Ue. Le forze che sostengono in parlamento von der Leyen sono pienamente europeiste e si aspettano, come da mandato, un’agenda di rilancio, non di ripiegamento. La destra è poco chiara perché ha un obiettivo opposto: per questo non ci possono essere ambiguità.
Israele invade il Libano, l’Iran lancia 200 missili su Israele: l’Europa resta a guardare?
È parte del problema di cui sopra. Serve un’Europa forte che giochi un ruolo nello scacchiere internazionale. Occorre uno scatto nella politica estera e di difesa comune. Altrimenti l’Europa tradisce la sua natura: essere un soggetto attivo di pace. Pace che oggi appare sempre più lontana, con un rischio drammatico di escalation. Questi sono i veri problemi che ci assillano, altroché.
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