Il no di Elly Schlein alla nomina di un consigliere di amministrazione Rai del Pd è stato commentato dal “circolo del Whist” degli editorialisti politici (le donne possono accedere solo alla foresteria), come «un problema di leadership» o «un capriccetto». Eppure, se è vero che nella storia repubblicana quel che avviene in Rai anticipa i processi politici, bisogna chiedersi cosa ci sia dietro questo strappo. E l'assetto del sistema politico che si scorge dietro le nubi polemiche di queste ore.

Il primo effetto ottico è che la maggioranza di destra si presenta unita all'appuntamento del potere, nonostante le divisioni che hanno costretto a rinviare le nomine di mesi, mentre le opposizioni si sono spaccate, con un'onda d'urto arrivata fino alla Liguria. Come se questi due anni fossero passati invano, come se fossimo ancora al 2022 della disfatta.

Conte e Renzi

A sentire ieri Giuseppe Conte e Matteo Renzi si direbbe che è così. Due leader accomunati dall'odio reciproco, ma anche dalla singolare parabola dei movimenti che guidano. Quando apparvero sulla scena, l'antipolitica del Movimento 5 stelle di Grillo-Casaleggio e la rottamazione di Renzi avevano alle spalle un vento che spazzava via il bipolarismo centrodestra-centrosinistra della Seconda Repubblica, Berlusconi da un lato, la Ditta post-Pci-Pds-Ds-Pd dall'altro, considerati fallimentari.

Da posizioni opposte, rappresentavano una classe media impaurita, incazzata, che individuò il capro espiatorio nella casta politica, affollando gli scaffali dell'apposito volume, senza assumersi la benché minima responsabilità dell'accaduto, sia chiaro. La dichiarazione di morte presunta per i corpi intermedi, dai partiti ai sindacati, l'ostilità per i professori e per l'informazione indipendente, erano alimentate dal consenso maggioritario della società italiana.

Oggi per i due contendenti è cambiato tutto. Renzi ha da tempo smarrito il suo elettorato, l'avvocato Conte alle elezioni europee è rimasto senza popolo, o quasi. La differenza con il 2022 è che due anni fa il Pd era considerato una terra di conquista. Un pezzo di elettorato e di gruppo dirigente sarebbe finito nel Terzo polo, un altro più consistente si sarebbe consegnato a Conte, primi fra tutti i figli del dio minore del vecchio Pci, da sempre rassegnati a esercitare il potere per interposta persona non essendo in grado di aspirare alla leadership. In mezzo sarebbero rimasti parlamentari, amministratori locali di un Pd ridotto, in balia di qualsiasi alleanza.

Un Pd credibile

La segreteria di Elly Schlein, con la sua capacità inaspettata di tenere unito il suo partito, ha rimesso in discussione un destino segnato. Oggi la leader del Pd può attraversare con credibilità una piazza non facile come quella che il 25 settembre ha protestato contro l'ennesimo ddl Sicurezza che mortifica il diritto di dissenso, trasformando l'Italia in un ircocervo illiberale come ha denunciato qui il direttore del Domani Emiliano Fittipaldi, tra i pochi a farlo.

Nelle stesse ore Conte, dopo un fugace capolino in piazza, tornava nell'habitat a lui ora più congeniale, le trattative sulle nomine nel palazzo, che ieri andava scoperchiato con l'apriscatole e oggi è l'ultima spiaggia. Un mondo rovesciato rispetto al 2022. Il Pd non è più in attesa di spoliazione, sul partito di Elly Schlein pesa la responsabilità di costruire l'alternativa alla destra di Giorgia Meloni.

C'è chi è tornato rapidamente nello schema del bipolarismo: Renzi nel centrosinistra, ma anche il duo Gelmini-Carfagna nel centro-destra. Ma tutto questo fa parte delle micro-manovre di ceto politico. Mentre fuori il referendum sulla cittadinanza, 500mila firme in pochi giorni, comparse si direbbe dal nulla, incuranti della sbandata estiva degli editorialisti per lo ius scholae di Tajani che non ci sarà mai, più la mobilitazione sull'autonomia differenziata, raccontano di un pezzo di paese che chiede rappresentanza politica.

Le ragioni di un no

Per restare alla questione informazione, mentre ci si accapiglia su una poltrona del servizio pubblico Rai, non ci si accorge che intanto testate che nell'editoria privata hanno fatto la storia dell'informazione democratica sono vendute o dismesse, i giornalisti ridotti al silenzio, interi territori restano senza una voce indipendente. Gli editori globali brindano all'innovazione nell'alto dei cieli, mentre giù in terra precipitano le auto e le copie vendute. Ma se l'informazione è un bene pubblico, questa è un'altra grande questione democratica.

Chi interpreta oggi quella parte di società che vuole il cambiamento? Per farlo servono pazienza, determinazione, progetto, persone. Il no a una poltrona in Rai, il no di un giorno, può trasformarsi in una prova di leadership se rappresenta un investimento sul futuro, l'Aventino di un momento per incrociare attese, esigenze, domande, di un pezzo di Italia che vuole partecipare, che sull'Aventino non vuole stare più. E non per capriccio.

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