«Serve una grande manifestazione di uomini. È nel giro maschile che deve essere sentita la responsabilità di combattere la violenza contro le donne. Non bastano gli editoriali pensosi, serve una presa di responsabilità chiara, specifica, pubblica». «La cultura della destra è reazionaria, sui diritti civili dobbiamo combattere»
Nel 2023 in Italia siamo al femminicidio numero 84 secondo alcune stime. Secondo altre siamo arrivati a oltre 100. Emma Bonino, per cento volte il giorno dopo resta la stessa domanda: ma perché?
Per alcune ragioni, non solo una. La prima è che la violenza domestica, anche allargata, è un fenomeno che le donne denunciano da tanto tempo. Ma in Italia è stato lungo e difficile far accettare il concetto della violenza domestica. Ricordo per esempio che nel 2008, in vista delle elezioni, ogni telegiornale apriva con uno stupro addebitato a un immigrato clandestino, possibilmente di pelle nera, ma degli stupri e delle violenze che avvenivano in famiglia non si parlava.
Poi finite le elezioni, finivano anche gli stupri. Oggi partiamo dalla compassione, dalla pena per Giulia e dalla vicinanza con la famiglia di Giulia. Ma oggi la mia preoccupazione è anche che fra qualche giorno si dimentichi tutto, in attesa della prossima violenza. O che tutto si risolva in un inasprimento delle pene, in questa ondata di panpenalismo che va molto di moda in questo governo. Peraltro dal ministro Nordio non me lo aspettavo proprio. Nei convegni del sabato e della domenica critica il panpenalismo, ma dal lunedì al venerdì il suo governo – certo, anche qualcuno di quelli precedenti – o si inventa un nuovo reato o inasprisce le pene. Le pene già ci sono. Sono anche alte. Anche per lo stalking, che la ministra Carfagna volle chiamare all’inglese ma non rende: va chiamato persecuzione. Ma non mi sembra che le pene alte abbiano sostanzialmente cambiato i dati della persecuzione.
Cosa potrebbe fermare la strage delle donne?
La matassa è difficile da sbrogliare. Per lo stalking spesso vai a raccontare alla polizia e non ti credono. Capita così anche per la violenza domestica. È ancora difficile denunciare, per questo. Oggi viene proposto di inserire nelle scuole percorsi di educazione affettiva. Non mi è chiarissimo cosa sia, mi auguro che chi scriverà la legge lo abbia chiaro e ce lo spieghi. La mia paura è che se non succede qualcosa di rivoluzionante, fra tre giorni piangeremo daccapo un’altra donna. Certo è sconvolgente che la famiglia di Giulia non si fosse accorta di nulla, salvo la sorella. E neanche la famiglia del “bravo ragazzo”, come sempre.
Cosa sarebbe “qualcosa di rivoluzionante”?
Lo dico da tempo. Una grande manifestazione organizzata da maschi per i maschi, figli, zii e mariti. Poi ci vadano anche le donne, per carità, non sono mai stata separatista. Ma in tutta questa storia manca un attore importante. L’ho detto e ripetuto, non ho più il fiato: e adesso spero che avvenga. Non sono le donne che devono proteggere sé stesse, o almeno anche, e lo fanno quando possono, ma se è un dato culturale, è la cultura degli uomini. È nel giro maschile che deve essere sentita questa responsabilità. Non bastano gli editoriali pensosi, serve una presa di responsabilità chiara, specifica, pubblica.
Cosa dovrebbero fare?
Esporsi pubblicamente, ragionare sulla responsabilità maschile. Chiedere a tutti di esporsi pubblicamente. Come fin qui hanno fatto tante donne.
Oggi anche il ministro dell’Istruzione Valditara dice che bisogna inserire l’educazione affettiva nei programmi scolastici.
Bene, lo faccia. Intanto bisognerà formare gli insegnanti, sempre che questa disciplina sia intellegibile. Io mi accontenterei del rispetto delle persone. Poi bisogna intensificare la formazione delle forze dell’ordine. Ripeto, cose concrete, altrimenti tra tre giorni ricominciamo a piangere un’altra tragedia.
La segretaria Pd Elly Schlein chiede alla premier Meloni di mettere via per una volta i conflitti della politica e di lavorare insieme su questo tema.
Auguri.
Secondo lei non è possibile un ragionamento bipartisan? O la cultura politica delle destre – dal generale Vannacci al leghista Sasso per il quale l’educazione sessuale è una “nefandezza” – non consente un linguaggio comune, e ne rimuove l’impatto sulla vita delle persone?
La destra tenda a minimizzare, è la sua cultura politica. Tende a credere che si risolve tutto in nuovi reati e nuove pene. Poi c’è la tesi del raptus, che spesso si sente nei tribunali. Poi c’è l’evergreen del se l’è andato a cercare, anche questo ancora molto in voga.
Lo disse Giambruno, l’ex compagno della premier, in tv: «se non ti ubriachi, il lupo lo eviti».
Poi c’è l’idea di una donna crocerossina che salva il bruto con il suo amore. Tutte cose da cancellare: non c’è amore se c’è un uomo violento, il nostro amore va devoluto in cause migliori.
È il tema della libertà femminile, difficile da far radicare?
Il tema del possesso, il “tu sei mia”, è l’opposto della libertà, la libertà responsabile. Ma ripeto, è un problema di maschi.
La prima premier donna può compiere un gesto simbolico contro la violenza maschile, magari alla vigilia della giornata internazionale del 25 novembre?
Se vuole. Ma non è che perché è donna debba occuparsi delle donne. Elena Cattaneo è un’ottima scienziata, non si occupa di donne ma con quello che fa parla anche alle donne, il messaggio è non fatevi mai dire che la scienziata non è un mestiere per donne. Lo stesso Samantha Cristoforetti. Non è detto che la premier abbia questa vocazione. A me viene spontaneo, per la mia formazione politica radicale, per cui il rispetto per l’altro è sacro, e se l’altro è donna ci metto anche un po’ di emozione.
Lei è una radicale da sempre. I radicali sono stati pionieri del movimento di Liberazione delle donne. A distanza di cinquant’anni, in giorni come questo, dopo 100 femminicidi, qual è il sentimento che prova?
Non mi scoraggio, se è quello che mi sta chiedendo. La strada è lunga e tortuosa. Su questo ci sono stati anche periodi di sonnolenza femminile, poi la ripresa con il MeToo.
Io dico questo alle ragazze: i diritti, anche quelli scritti sulle tavole della legge, non sono conquistati una volta e per sempre. Se non li coltivi, non ne prevedi altri, ti svegli una mattina e non li trovi più. Questo è stato l’errore anche della sinistra che sui diritti civili peraltro è sempre stata timida, e dico timida perché sono educata. Stamattina parlavo con una coppia di amiche lesbiche che con l’eterologa ha avuto un bellissimo bambino: ma ci ricordiamo quante battaglie per smontare la schifezza proibizionista della legge 40? Avevamo perso il referendum. C’è voluta la tigna dell’avvocata Filomena Gallo e dell’associazione Coscioni. La strada dell’attivismo dei diritti civili, che sono anche diritti sociali, va ripresa subito.
Con un governo di destra-destra, lei crede che sia possibile un avanzamento?
Il nazionalismo è reazionario sui diritti individuali. Dio patria famiglia dice tutto. Ma si deve provare. Questa coppia adesso deve iniziare il lungo percorso dell’adozione, perché il bambino risulta figlio solo di una madre. C’è sempre da combattere. E non vedo segnali dalla maggioranza. Certo sono abbastanza furbi da non toccare la legge 194, ma cercano di svuotarla dall’interno.
In molti consultori sei costretta a sentire il battito del cuore del feto prima di decidere di interrompere la gravidanza. Si sono persino inventati il reato universale di gestazione per altri.
Sui diritti civili sono semplicemente illiberali: i diritti civili non sono un obbligo per nessuno: aborto, divorzio, si può pensare “io non lo farei” e quindi anche tu non lo devi fare”, ma è decisamente reazionario e illiberale.
Lei ha parlato della cultura maschile. Ma perché le nostre ragazze ancora oggi non scappano via al primo segnale di pericolo?
Molte vivono immerse in una condizione che le porta a non vedere, a minimizzare. Ed è questo che con molta delicatezza ci fa capire il film di Paola Cortellesi: la madre non se ne va di casa, cosa per cui tifiamo tutte, ma comunque va a votare, e il padre violento, interpretato dal bravissimo Mastandrea, la insegue fino al seggio. Poi c’è il tema della denuncia, lo vediamo negli attuali processi per stupro: ancora oggi le ragazze vengono trattate da colpevoli, vittime per la seconda volta dopo la violenza. Mi ricordo una manifestazione di parlamentari, soprattutto di destra, tutte con i jeans stretti, per una sentenza che sosteneva che se i jeans erano stretti non si poteva parlare di stupro.
A lei è mai capitato di incontrare un uomo violento?
No, statisticamente sono una delle pochissime. O forse sì, forse una volta, chi lo sa se era violento. Tornavo di notte a casa, ero dietro piazza Navona, si avvicina un signore con un impermeabile, allora succedevano queste cose. Apre l’impermeabile e mi dice: “Che bella figa”. Gli ho detto “Che brutto spettacolo”. Se n’è andato subito.
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